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«Come fai a lavorare con questo caldo?» chiese. «È insopportabile.»

«Non me n’ero accorto» disse Stoner.

«Non te n’eri accorto? Sei sudato come un cavallo. Hai la camicia inzuppata.»

Lui abbassò gli occhi, staccò dal petto la camicia fradicia.

«Sarà il mio addestramento Zen, La mente che domina la materia.»

Jo batté un dito sulla propria camicetta. «Be’, “questa” materia fa un salto alla spiaggia per una nuotata prima di cena. Vieni?»

Lui le sorrise. «Ho del lavoro da fare, Jo.»

«Può aspettare. E dai, puoi venire domattina presto. È quello che faccio io. Arrivo sempre in ufficio alle sette.»

Stoner le scoccò un’occhiata scettica.

«Ecco…» Jo scoppiò a ridere. «Prima delle otto, okay? Ci credi?»

«Ogni tanto.»

La ragazza si chinò su di lui. «Non so nemmeno tentarti? Conosco certe spiagge “molto” deserte, dove nessuno va mai.»

«Jo, abbiamo solo poche settimane per preparare tutto.»

«Tu lavori troppo. E alle cose sbagliate.»

Stoner sentiva la fragranza del corpo di lei, Appoggiandosi all’indietro sulla poltroncina, lontano da Jo, le propose: «Senti, ho un sacco di cose da fare. Possiamo vederci per cena? Verso le sette?»

«Dovrò andare a nuotare da sola?» Jo fece una smorfia.

«La vita è dura» disse Stoner.

«E tu sei un uomo difficile, Keith Stoner» disse Jo, scendendo dalla scrivania.

Lui, tutto serio, rispose: «Non sto cercando di essere difficile, Jo. Te lo giuro.»

«Oh, lo so! Vorrei solo che mettessi le tue necessità personali un pochino più in alto sulla tua lista di priorità.»

Stoner non ribatté. Jo si guardò attorno, vide che la palude era praticamente deserta, si protese e lo baciò sulle labbra. Prima che lui potesse reagire, lei era già alle scale, sorridente.

Stoner le restituì il sorriso. Poi tornò al lavoro. Il sorriso scomparve quando, quasi solo nella stanza caldissima, ricominciò a studiare le analisi spettrografiche.

Fuori, sulla strada inondata dal sole, se non altro c’era la brezza marina a mitigare il caldo. Jo trasse un profondo respiro; poi, anziché avviarsi alla spiaggia, tornò verso il centro computer.

Incontrò Markov a mezza strada, sbucato dalla direzione opposta.

«Ah, la mia amica dal cuore infranto. Come va stamattina?»

Jo fu costretta a ridere. «Il cuore è sempre spezzato. E tu?»

«Idem.»

Ferma sotto il sole, la ragazza scrutò il centro computer, poi riportò l’attenzione sul russo, Markov le stava sorridendo, gentile, dolce, ansioso.

“Okay, Keith è un fanatico, ma non c’è motivo che lo sia anch’io” pensò Jo. “Ho la mia vita, in fondo.”

«Sai portare la canoa?» chiese a Markov.

Lui socchiuse gli occhi. «Chiedo scusa. A volte la mia comprensione dei vostri eufemismi…»

«Una canoa ricavata da un tronco d’albero» disse Jo. «Ce ne sono parecchie sulla spiaggia, più in su della pista d’atterraggio. Potremmo avventurarci sulla laguna e trovare una bella isoletta tutta per noi.»

Il viso di Markov s’illuminò. «E niente squali?»

«Niente squali.»

«Portami alle canoe» disse Markov, offrendole il braccio. «Remerò tanto in fretta che ti sembrerà di essere in groppa a un delfino!»

Nella palude era rimasto solo Stoner quando entrarono Jeff Thompson e il vicecomandante Tuttle. Tuttle si guardò attorno, perplesso.

«Perché avete spento i condizionatori?» chiese.

«Sono accesi» rispose Stoner.

Tuttle indossava l’uniforme cachi, e la camicia si stava già inzuppando di sudore.

«Bisogna che vi tiriamo fuori di qui» disse il vicecomandante. «Come fate a lavorare in un clima del genere?»

«Senso del dovere.»

«Adesso sapete come riesce a bere tanta birra senza ingrassare» disse Thompson, sfilandosi la camicia dalla cintura dei calzoncini.

Stoner spense lo schermo del computer, si appoggiò all’indietro sulla poltroncina cigolante. Aveva la schiena bagnata.

«Cosa la porta qui?» chiese a Tuttle.

Rispose Thompson: «Hai sentito il discorso del presidente?»

«L’ho seguito tutto sull’attenti.»

Tuttle prese una sedia a rotelle dalla scrivania vicina e si accomodò. “Com’è piccolo” pensò Stoner. “Ho sempre pensato che Jeff fosse piccolo, ma al suo confronto Tuttle sembra un bambino.”

«Il professor McDermott ha ricevuto ordini da Washington appena prima che il discorso venisse trasmesso» disse Tuttle.

«Per la missione di rendez-vous?»

«Esatto. A Washington, i nostri stanno discutendo con l’ambasciata russa. Presumo che il professor Zworkin avrà ordini da Mosca entro stanotte.»

«Quindi, si farà.»

Thompson annuì con aria grave. «Voi andrete incontro al nostro visitatore. Su una nave russa, a quanto sembra.»

«Big Mac scoppierà di felicità» mormorò Stoner.

«Il professor McDermott…» Tuttle lanciò un’occhiata a Thompson, poi continuò. «Il professor McDermott è quasi in stato di shock. Temo che per il futuro non potremo più affidarci alle sue decisioni.»

«Sta male?»

«Ha bisogno di riposare» disse Thompson.

«Il dottor Thompson assumerà gli incarichi amministrativi di McDermott. D’ora in poi, Thompson e il professor Zworkin dirigeranno in coppia il Progetto Jupiter.»

«Vedo. Buona fortuna, Jeff.»

«E lei» proseguì Tuttle «assumerà la direzione dei preparativi per la missione di rendez-vous.»

Stoner annuì.

«Dovremo spostarla da qui, trasferirla a un ufficio migliore…»

«Che ne dice dell’ufficio di Big Mac?» propose Stoner, serissimo.

Tuttle restò a bocca spalancata.

«Sta scherzando» intervenne precipitosamente Thompson. «Può prendersi l’ufficio vicino al mio. Troveremo un altro posto per quelli che ci lavorano adesso.»

«Okay» disse Tuttle.

«Voglio che il professor Markov lavori con me» disse Stoner.

«Markov?»

«Il linguista» spiegò Thompson.

«Infatti» disse Stoner. «Ha idee più aperte di tutti gli altri sui processi mentali degli alieni. E poi può aiutarmi a cavarmela coi russi che mi faranno da collaboratori.»

«I processi mentali degli alieni?» ripeté Tuttle.

«Linguaggio, psicologia, come preferite. Il fatto è che stiamo per incontrare qualcosa, o qualcuno, che non possiede punti in comune con nessuna lingua o razza o cultura terrestre.»

«Non penserete che quella cosa abbia un equipaggio, eh?» Tuttle spalancò gli occhi.

«Ne dubito» ammise Stoner. «Se è giunta sin qui da un’altra stella, un altro Sistema Solare, dovrebbe essere gigantesca per avere un equipaggio. Persino un solo uomo richiederebbe un’infinità di scorte alimentari, carburante, sistemi di mantenimento…»

«Come potrebbero tenere in vita un equipaggio per migliaia d’anni?» chiese Thompson.

«Ibernandolo» rispose Stoner. «Il risveglio potrebbe avvenire automaticamente una volta giunti a destinazione.»

«A destinazione?» La voce di Tuttle era un soffio. «Lei pensa che siano arrivati qui deliberatamente?»

Stoner scosse la testa. «No. Non vedo come avrebbero potuto individuare il nostro pianeta su distanze interstellari, così come noi non possiamo individuare il loro.»

«Però sono qui. Ci hanno trovati.»

«Questo è vero.»

«Forse hanno puntato su una stella simile alla loro» ipotizzò Thompson. «Una stella gialla, stabile, di tipo G.»

«Ammesso che provengano da una stella di tipo G.»

«Come minimo, è probabile.»

«Forse. Però riflettiamo su quello che ha fatto la nave quando è entrata nel nostro sistema solare» rilevò Stoner. «Per prima cosa, si è diretta verso il pianeta più grande del sistema, quello circondato dal campo magnetico più forte.»