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«Ehi, è vero!»

«E dopo avergli girato attorno per un po’, è ripartita verso il pianeta interno col campo magnetico più forte.»

«Terra» sussurrò Tuttle.

«Allora è “questo” che cercano» disse Thompson. «Devono venire da un mondo che possiede una magnetosfera di buone dimensioni, e hanno pensato che solo pianeti schermati da forti campi magnetici possano ospitare la vita.»

«Potrebbe darsi» disse Stoner. «Pare logico.»

«Ma è una nave con equipaggio o automatizzata?» chiese Tuttle. «Ci sono creature a bordo, o no?»

«La mia ipotesi è che non abbia equipaggio» disse Stoner. «Perché mandare un equipaggio in una missione senza ritorno per l’ignoto? È ovvio che stanno solo dando qualche occhiata in giro, in cerca di segni di vita.»

«Però sono più di settantacinque anni che le nostre trasmissioni radio e televisive arrivano nello spazio» obiettò Thompson. «Potrebbero aver captato i nostri segnali da dozzine di anni luce di distanza.»

Stoner rise «Mi è un po’ difficile credere che una missione stellare parta sulla base di Perry Mason.»

«Non si sa mai» sorrise Thompson. «Forse c’è un comitato di supervisione interstellare che vuole farci smettere di inquinare l’etere.»

«Sì, molto sensato» convenne Stoner.

«Se però c’è un equipaggio» rifletté Thompson, tornando serio «pensa alla tecnologia che devono possedere per tenerlo in vita su tempi e distanze interstellari.»

«Impossibile!» sbottò Tuttle. «Dev’essere senza equipaggio! “Deve!”»

«Soffri molto?» chiese Cavendish.

Più che dolore, però, gli occhi di Schmidt riflettevano stanchezza, sonnolenza. Il giovane girò la testa sul cuscino, guardò fuori dalla finestra dell’ospedale.

«Mi senti? Ti do fastidio? Se vuoi me ne vado» disse Cavendish.

«No, no» disse Schmidt. «È… È solo che non so cosa dire.»

Schmidt non capiva le sofferenze che avevano trasformato il viso di Cavendish in una maschera tesa, scheletrica. Per il giovane astronomo, l’inglese era solo un vecchio con gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno e un tic nervoso alla guancia.

«Hai passato un brutto momento» disse Cavendish, con voce roca, rotta.

«È stata solo colpa mia» ribatté Schmidt.

«Assolutamente no» si costrinse a dire Cavendish. «Qualcuno ti ha venduto la droga. Un americano, scommetterei.»

«Diversi americani.»

«Visto?»

Schmidt chiuse gli occhi. Era insonnolito. «Voi siete l’unico che viene a trovarmi, a parte il dottor Reynaud. È ricoverato qui anche lui. Gli ho rotto un braccio.»

«È una frattura da poco» disse Cavendish «e Reynaud ha raccontato a tutti che se l’è rotto da solo inciampando sul tuo letto.»

Schmidt scosse lentamente la testa. «Ho demolito la stanza. Me l’hanno detto. Io non ricordo nulla.»

«Non è colpa tua» insistette Cavendish. «Non devi prendertela con te stesso.»

«E con chi, allora?»

Cavendish fece per rispondere, ma le parole non volevano uscire. Si alzò dalla sedia su cui era appollaiato, raggiunse a fatica la finestra, guardò fuori. Il sudore gli imperlava la fronte.

Ti costringono a farlo, urlava una parte della sua mente. Ti hanno dato ordine di farlo. Ma tu puoi ribellarti. Non sei obbligato a ubbidire.

Il respiro gli si bloccò. Boccheggiò di dolore.

«Non posso» mormorò.

«Cos’ha detto?» chiese Schmidt dal letto.

Cavendish si girò verso l’astronomo. Gli tremavano le gambe, e lo stomaco era squassato dal dolore.

«Non… Non è colpa tua» ripeté, e il dolore diminuì un poco. «Gli americani… ti hanno costretto a venire qui, ti hanno strappato alla tua casa, ai tuoi studi…»

«Anche alla mia ragazza.»

«Sì. Vedi?» Continuare a parlare era un sollievo; il dolore svaniva gradualmente, «Non puoi darti la colpa di quello che è successo. Sono i maledetti yankee che hanno condotto il gioco fin dall’inizio.»

Schmidt annuì. «Potrei essere a casa, felice e contento. In vita mia non ho mai preso niente di più forte dell’erba, prima di arrivare qui.»

Come una marionetta mossa da fili invisibili, Cavendish raggiunse la sedia accanto al letto. Anziché sedersi, appoggiò le mani sullo schienale.

Un’ondata di dolore lo travolse; quasi cadde in ginocchio.

«Stoner!» esclamò.

«Cosa?»

Fissando il giovane astronomo con occhi velati di dolore, Cavendish disse: «È Stoner che sta dietro a tutta questa faccenda.»

«Stoner? L’americano?»

«Sì…» Con un respiro tremante, Cavendish continuò: «Non fosse per lui, saremmo tutti a casa, McDermott voleva chiudere il progetto e lasciarci ripartire, ma Stoner ha insistito per continuare.»

«Vuole attribuirsi tutti i meriti, vero?» chiese Schmidt, assumendo la solita espressione imbronciata.

«Sì.» Era più un gemito che non una parola.

Schmidt si accorse finalmente della sofferenza del vecchio. «Cosa c’è? Non si sente bene?»

«Emicranie» sussurrò rocamente Cavendish. «Io… soffro di emicranie.»

«Devo chiamare un dottore?»

«No. No, adesso passa.» Cavendish frugò nelle tasche dei calzoni, tirò fuori un flaconcino di plastica. «Mi hanno dato degli anestetici. Sono ottimi.»

Schmidt si era rizzato su un gomito. «A me non danno niente per il dolore» disse. «Niente di più forte dell’aspirina.»

Tenendo il flacone davanti agli occhi del giovane, Cavendish ripeté: «Queste capsule sono ottime. Non contengono narcotici. Non danno assuefazione.»

«Sul serio?»

«Sì» mentì l’inglese.

«Di notte è peggio» disse Schmidt, «Soffro di più.»

«Forse non ci sarebbe niente di male se ti dessi qualcuna di queste…»

Schmidt annuì. Cavendish svitò il coperchio, fece cadere quattro capsule nel palmo tremante.

«Sicuro che non servono a lei?» chiese Schmidt.

«Posso… farmene dare altre…»

Schmidt prese le capsule gialle ovali, le tenne nella mano, le guardò.

Il corpo di Cavendish era in fiamme. «Provane una» sussurrò. «Vedrai che… il dolore… sparirà.»

Schmidt esitò solo un attimo, poi afferrò la tazza d’acqua che aveva sul comodino e inghiottì la capsula. Bevve, deglutì.

Pochi secondi dopo, era riverso sul letto, a occhi sbarrati.

Cavendish, tremante come se un flusso di corrente elettrica stesse passando nei suoi centri cerebrali, si avvicinò al letto e sussurrò all’orecchio di Schmidt: «È tutta colpa di Stoner. Se ti alzi da questo letto e trovi Stoner, potrai tornare a casa, essere felice. Stoner vuole farti del male. Stoner vuole ucciderti. Devi fermarlo prima che ti uccida.»

Mentre le parole uscivano dalle sue labbra, Cavendish strabuzzò gli occhi. Era come se stesse parlando qualcun altro che usava, a mo’ di trasmettitore, la bocca di Cavendish: una macchina completamente sottratta al suo controllo.

Terrificato da ciò che stava accadendo, si scostò con un balzo dal letto. Un’occhiata alla finestra lo informò che era pomeriggio avanzato. Cavendish uscì dalla stanza di Schmidt, allontanandosi il più in fretta possibile dall’ospedale. Non si accorse che, sulla laguna tranquilla, una canoa con due persone a bordo si era capovolta.

32

L’ultimo Congresso Ufologico ha offerto i soliti vecchi luoghi comuni a un pubblico che da tempo conosce i pro e i contro dell’ufologia.

Tutte le relazioni presentate sembravano tese allo scopo di far accettare gli UFO alla comunità scientifica. Eppure, nonostante gli sforzi di persone come Alan Holt, astrofisico della NASA, non sembra che la comunità scientifica sia disposta ad accettare nulla.