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«No!»

«Non raccontarmi bugie, Maria Kirtchatovska! Cavendish era un informatore del KGB, ed è morto. L’hai ucciso tu con quella macchina infernale.»

Lei scosse la testa. «Era solo un impianto di comunicazione, una specie di radio…»

«Balle! Tu comunichi con Mosca attraverso quelle lettere stupide che spedisci ogni settimana. Questo lo so. In un modo o nell’altro, quella macchina ha ucciso Cavendish.»

«Non è possibile…»

«Ho visto la tua espressione quando ti ho sorpresa! Tu stavi trasmettendo solo dolore e morte! Non cercare di negarlo.»

«Kirill, io…» Maria si passò una mano nei capelli, improvvisamente agitata, sull’orlo delle lacrime. «Cosa potevo fare? Dovevo seguire gli ordini. Che altro potevo fare?»

«Assassinio. Torture. È questo che fai da sempre, eh? In tutti questi anni non hai fatto altro.»

Adesso lei stava piangendo. Le lacrime le solcavano le guance. «No. L’ho fatto solo adesso. E non volevo. Sono stata costretta. Era l’unico modo per sopravvivere…»

«E in tutti questi anni io ho tenuto gli occhi chiusi. “Sapevo” che tutte le storie che si sussurrano sono vere, ma continuavo a ripetermi: “Non la mia Maria. Non farebbe mai cose del genere. Lei lavora alla sezione crittografica. Non è coinvolta in arresti e interrogatori e omicidi…”»

«È vero!» gemette lei. «Non l’ho mai fatto fino a che questa… questa… “cosa” ci è piombata addosso.»

«Non hai mai fatto arrestare qualcuno? Non sei mai stata coinvolta in interrogatori? Omicidi?»

«No! Non direttamente!»

Markov si mise a passeggiare nella stanza, agitando le mani. «Merda. Non direttamente. Hai le mani pulite… Più o meno. Disgustoso. Disgustoso! Pensare che io ho vissuto con te tutti questi anni e ho tenuto gli occhi chiusi.»

Lei sollevò la testa. «Io ho tenuto gli occhi chiusi sulle tue avventure. Se tu…»

«Le mie avventure!» Markov si girò a guardarla. «Io facevo “l’amore”, donna! Cercavo bellezza e dolcezza e piacere! Non facevo l’elettroshock a qualche poveraccio chiuso nei sotterranei di un ospedale-prigione.»

«Non ho mai…» La voce di Maria affogò tra i singhiozzi.

«È finita» disse Markov, secco. «Mi senti? È tutto finito. Non dividerò la mia vita con una torturatrice, un’assassina.»

«Cosa vuoi dire?»

«O lasci il KGB, o lasci me. A te la scelta.»

Maria strabuzzò gli occhi. «Non posso dare le dimissioni! Non è permesso.»

«Mettiti in pensione, dai le dimissioni, trovati un altro lavoro. Se no, io non vivrò più con te. Mai più! Non potrei!»

«Kir, se tu mi lasci ci saranno domande, un’inchiesta…»

«Digli che mi hai piantato per le mie avventure. Ti crederanno.»

«Non voglio lasciarti» disse lei. «Non voglio che tu mi lasci.»

«Allora devi rinunciare al tuo lavoro.»

«Non posso…»

Lui andò a sedere sul divano, accanto alla moglie. Maria aveva smesso di piangere, ma le lacrime le avevano rigato il viso.

«È vero che non volevi fare quello che hai fatto? Che ti hanno costretta?»

«Mi hanno dato ordini, e io ho obbedito. Non avevo scelta.»

«Ti hanno ordinato di fare cosa? Di uccidere Stoner?»

Lei uscì in un gemito di sorpresa. «No… Vogliono impedire a Stoner di comandare la missione di rendez-vous. Vogliono fermarlo, a qualunque costo.»

«Ma il nostro governo collabora con gli americani, adesso!» disse Markov. «Zworkin, l’accademico Bulacheff, lo stesso segretario generale…»

Maria scosse la testa, piano. «Io so solo quali sono i miei ordini. Vogliono fermare Stoner.»

Markov sospirò. «Maria… Come posso vivere con qualcuno che… che segue questi ordini? È impossibile!»

«La colpa è tua quanto mia» disse lei. «Io non ho mai voluto trovarmi coinvolta in questa storia.»

Markov era disperato. «Cosa dobbiamo fare, Maria? Cosa dobbiamo fare?»

35

Washington

Se i nostri scienziati dovessero veramente entrare in contatto diretto con la nave aliena, qualunque cosa sia, e se tutto dovesse andare per il meglio, se il mondo intero ne beneficiasse, il presidente diventerà un santo, e la sua aureola getterà una luce molto favorevole sul nostro partito nelle prossime elezioni.

Però, se la nave aliena porterà problemi, che Dio ci aiuti.

Diario personale dell’onorevole Walden C. Vincennes, Segretario di Stato

Jo fissava lo schermo del terminale. Numeri e lettere non avevano significato; non riusciva a concentrarsi. Si alzò, raggiunse la balconata che correva attorno agli uffici. Giù nel Pozzo, il computer ronzava, accendeva e spegneva luci secondo uno schema complicato, troppo veloce per essere comprensibile all’uomo.

Tornò in ufficio, prese dalla scrivania la vecchia borsetta di pelle e cominciò a scendere.

Si fermò alla toilette, si passò un pettine nei capelli, controllò il trucco. Poi partì verso il nuovo ufficio di Stoner.

La porta era aperta. Lui era al telefono. Jo aspettò appena oltre la soglia.

«Certo» stava dicendo Stoner. «Possono farmi tutte le visite che vogliono qui all’ospedale della base. Se la NASA vuole usare i suoi medici, può mandarli qui. D’accordo? Bene. Okay. Grazie. Arrivederci.»

Lui fece ruotare la sedia per riappendere il ricevitore, e vide Jo.

Un lampo d’incertezza gli solcò il viso. «Ciao, Jo.»

«Ciao.» Lei entrò nell’ufficio, che aveva ancora un’aria nuova, spoglia. Le voci echeggiavano sulle pareti dipinte di fresco. Metà degli scaffali erano vuoti; sugli altri c’erano mazzi di fotografie e qualche blocco per appunti. Tre scatole di cartone, chiuse, erano appoggiate sulla moquette, vicino all’armadietto dell’archivio. Anche la scrivania era d’acciaio, però verniciata in color noce. Sopra c’erano solo un telefono e un’assurda noce di cocco.

«Siediti» disse Stoner, senza alzarsi.

Jo scelse la sedia più vicina: cromo e plastica, fredda, scomoda.

«Stai bene?» gli chiese.

Lui annuì lentamente. «Un po’ di dolori e qualche ferita, però sto bene. Mezz’ora fa ho chiamato l’ospedale. Le condizioni di Schmidt sono stabili. I polmoni non hanno subito danni. Ha solo qualche osso rotto. Se la caverà.»

Jo intrecciò le mani in grembo. «Mi sento molto in colpa.»

Stoner non disse nulla.

«Insomma… Se non avessi tardato per cena, tu non saresti andato al Circolo, e Schmidt non ti avrebbe trovato.»

Il viso di lui assunse quell’espressione fredda, quasi rabbiosa, che escludeva chiunque altro. «Mi avrebbe trovato comunque. L’isola è piccola, e Schmidt cercava me.»

«Ma perché? Per quale motivo?»

«Tu dov’eri?» chiese Stoner.

Il cuore di Jo accelerò i battiti. “Vuole saperlo! Gli interessa!”

«Ero in laguna» rispose, e un sorriso cominciò a incresparle le labbra. «Ho fatto un giro in canoa con Markov.»

«Con Kirill?»

Lei annuì. «Abbiamo preso una canoa, e tra tutti e due non siamo riusciti a tenerla in acqua. Avresti dovuto vederci! Bagnati fradici.»

«Kirill è innamorato di te» disse Stoner senza ostilità.

«Come Cyrano era innamorato di Rossana» ribatté Jo. «Con lui sono perfettamente al sicuro.»

«Ammesso che gli squali non vi mangino.»

«Siamo tornati senza problemi.» Il sorriso di Jo si trasformò in una smorfia di scusa. «Però era tardi. Quando sono arrivata al Circolo…»

«Non è colpa tua» si affrettò a dire Stoner. «Non devi pensarlo. Qualcuno ha imbottito Schmidt di polvere degli angeli e gli ha ordinato di uccidermi.»

«Chi potrebbe essere stato?»