Migliaia di persone s’inginocchiarono, pregarono, chiesero perdono in un brande urlo collettivo.
«Tutti coloro che ci hanno scherniti» urlò un noto ufologo «si facciano avanti e ammettano di avere sbagliato! Non siamo soli, e non lo siamo mai stati!»
La folla ruggì la propria approvazione.
Alla fine, dopo altri inni e gospel intonati in coro, dopo l’esibizione assordante di un gruppo rock iperamplificato, dopo che l’oscurità ebbe ammantato le luci dello stadio, gli altoparlanti annunciarono solennemente: «Signore e signori, l’uomo la cui voce è risuonata nel deserto, il messaggero dei grandi giorni che verranno, l’evangelista urbano… WILLIE WTLSON!»
Come un colossale animale con centomila voci, la folla si alzò e ruggì quando Willie Wilson, in un vestito azzurro di cotone, traversò il campo e salì gli scalini di legno che portavano al microfono.
“Non posso farlo” si disse, mentre afferrava il microfono. Contagiato dalla forza della folla che aveva attorno, dal senso d’attesa che caricava d’elettricità l’aria, Wilson scosse la testa. “Non posso deluderli. Non posso permettere al governo di interferire con la Parola del Signore.”
Alzò le braccia e ruotò lentamente nel cerchio di luce, suscitando l’urlo di approvazione della folla, che fece tremare il terreno.
In alto, invisibili nel bagliore dei riflettori, i due elicotteri della televisione volavano instancabili sullo stadio, riprendevano quel momento eccezionale, mentre il reporter recitava il suo commento nel microfono.
«Grazie a tutti e che Dio conceda la Sua benedizione a ognuno di voi» urlò Willie nel microfono, dopo averlo tolto dal supporto per potersi girare liberamente in ogni direzione.
La folla si calmò, tornò a sedere. Restarono in piedi solo gli spettatori sul campo attorno alla piattaforma.
«Il mio messaggio è molto semplice» iniziò Willie. «Dio vi ama. Ama ognuno di voi. Dio vi conosce a uno a uno, individualmente, sa cosa avete nel cuore e nella mente. E vi ama. Ama ognuno di voi. Nonostante i vostri difetti. Nonostante i vostri sbagli. Il Signore Dio Gesù Cristo ama te…» Willie puntò l’indice tra la folla. «…e te, e te, e ognuno di voi.»
Gli spettatori mormorarono, sussurrarono. Qualche “Amen” risuona nella notte.
«E poiché Dio vi ama» continuò Willie «ha messo un segno in cielo, per ricordarci chi è Lui e chi siamo noi… Un segno che è al tempo stesso un ammonimento e un annuncio… Un segno che è inconfondibile.» Una pausa drammatica. Una parte della mente disse a Willie che il fisco gli sarebbe stato addosso entro ventiquattro ore.
«Guardate il cielo!» annunciò. «E ammirate la gloria del Signore!»
Nello stadio si spensero tutte le luci, e la folla guardò in cielo. Non si udiva un solo suono. I minuti trascorsero in silenzio, mentre lo splendore dell’aurora boreale si accendeva lentamente in cielo, sotto gli occhi degli spettatori.
Poi gemettero. Sussultarono. Sospirarono. Willie stesso, immobile sulla piattaforma, sentiva rizzarsi i capelli sulla nuca.
“Non tirarla troppo in lungo” si ricordò. “Intervieni quando la tensione è al massimo…”
In quel silenzio innaturale, Willie udì uno strano ronzio che sembrava quasi un gemito: i rotori di un elicottero. Girandosi in direzione del suono, vide lampeggiare le luci di navigazione di un elicottero che stava sorvolando lo stadio a bassa quota.
«Sono loro!» urlò qualcuno.
«Sono qui!»
«Sono arrivati! Sono arrivati!»
Il grande animale che era la folla fu travolto dal panico. Prima che Willie potesse capire cosa stesse accadendo, una marea umana si riversò nello stadio. La gente strillava e urlava e correva.
«No, fermi!» urlò Willie nel microfono. «Non c’è niente da temere…»
Ma l’animale era accecato dal terrore. La gente veniva spinta alle uscite. Tutti fuggivano. L’ondata di bestie impaurite raggiunse la piattaforma, la sommerse; la piattaforma oscillò, traballò, urlò e cedette, sommersa da un mare di gemiti, di panico, di sangue.
E sotto le assi squarciate, sotto i piedi che correvano freneticamente, Willie Wilson giacque immobile, mentre migliaia di persone impazzite calpestavano la sua forma riversa e gli crollavano addosso.
WILSON E ALTRE 126 PERSONE UCCISE DAL PANICO
ANAHEIM: Il reverendo Willie Wilson è tra le 127 persone morte ieri notte quando il panico ha investito l’iperaffollato stadio di Anaheim. I feriti sono più di tremila.
Il reverendo Wilson, l’evangelista urbano, era l’oratore più atteso del gigantesco raduno di revival religioso. La polizia dice che lo stadio era affollato molto oltre la capacità legale per il raduno che ha richiamato molti dei maggiori leader nazionali del protestantesimo, ufologi, ricercatori nel campo dell’occulto e religiosi di fedi più ortodosse.
Stando alla polizia, il panico si è diffuso quando un elicottero della televisione è passato a bassa quota sopra lo stadio, inducendo qualcuno a credere che un UFO stesse per atterrare.
L’enorme folla si è riversata disordinatamente verso le uscite, e migliaia di persone sono rimaste travolte.
Il reverendo Wilson, che a più riprese ha messo in rapporto le aurore boreali provocate dall’astronave aliena in avvicinamento alla Terra con un messaggio di Dio, era nato…
36
Markov sedeva, in cupo silenzio, sul portico buio del bungalow. Una zanzara gli sfiorò l’orecchio, ma lui non la scacciò.
“Forza, bevi il mio sangue” disse fra sé. “Non sarai l’unica.”
La porta cigolò leggermente quando Maria l’aprì. La donna sedette all’estremità opposta del divano di vimini, il più lontano possibile dal marito.
«Allora?» chiese lui.
Per diversi secondi lei non rispose. Poi disse, con voce incolore: «Ho spedito il rapporto a Mosca. Ho raccontato che Cavendish si è suicidato e che io ho distrutto l’apparecchio per evitare che gli americani potessero scoprirlo.»
«Hai detto che vuoi dare le dimissioni?»
«No, ovviamente.»
«Hai chiesto di essere trasferita a una sezione che non venga coinvolta in queste cose atroci?»
«Kir, ti ho già detto mille volte che normalmente la nostra sezione non si occupa di agenti segreti e d’interrogatori. È solo questo… questo oggetto alieno che ci ha spinti in questa situazione.»
«Voglio che tu lasci il KGB. Maria Kirtchatovska» disse Markov. «Voglio che tu sia la moglie di un professore universitario, e niente di più.»
Maria si girò verso il marito, una smorfia caparbia in viso. «Ti piacerebbe, eh? Io me ne resto a casa, prendo la pensione, e tu passi ogni notte con una studentessa diversa. Un’esistenza meravigliosa! Per te.»
«Credi che torturare e uccidere esseri umani sia un modo tanto bello di vivere?»
«Non ho mai fatto niente del genere!»
Lui batté le mani sulle cosce, si alzò. «Maria, tu menti. Menti a me e persino a te stessa. Se tu riesci a sopportare quello che hai fatto, così sia. Ma io non posso. Io non posso sopportarlo.»
«L’hai sopportato per quasi vent’anni» ribatté lei.
Markov la scrutò. «Sì, ho tenuto gli occhi chiusi per vent’anni. Adesso li ho aperti.»
«Cosa vuoi da me?» chiese Maria. La sua voce era diversa: non più aspra e imperiosa, ma quasi implorante.
«Te l’ho detto cosa voglio.»
«“Non posso” dare le dimissioni. Non lo permetterebbero mai. Non capisci quello che sta succedendo in questo periodo? Col segretario generale ammalato e il Cremlino scosso da terremoti interni?»
«Per me, l’unica alternativa è il divorzio» disse Markov.
«Il divorzio? Dopo tanti anni?»
«Non posso accettare quello che stai facendo» disse lui. «Lo so che cerchi di impedire a Stoner di eseguire la missione di rendez-vous. Stoner è mio amico, Maria. Se gli fai del male, ti metti contro di me.»