«Questo posto è molto più piccolo rispetto alle dimensioni esterne della nave. Dev’essere solo un compartimento. Le macchine sono nascoste dietro paratie.» Stoner rabbrividì. «“E fa freddo”. Più freddo di fuori. Com’è possibile?»
«Cosa vedi?»
Stoner si girò verso il feretro rialzato e la creatura che vi giaceva sopra. Fece un passo avanti, poi si fermò.
Le pareti ricurve del compartimento cominciavano a illuminarsi. Non era la luminosità del metallo che si fonde, ma il chiarore soffuso di un cielo al chiaro di Luna. Sotto gli occhi stupefatti di Stoner, il metallo diventò bianco, poi traslucido, e alla fine trasparente come vetro.
«Shtoner! Rispondimi!» Stava urlando Federenko. «Mi senti?»
«“Ti vedo”, Nikolai» rispose lui, travolto dallo stupore. «L’intero scafo è diventato trasparente. Come il portello. Vedo lo spazio fuori!»
Una pausa. Poi Federenko mugugnò: «Da qui è tutto come al solito. Metallo scuro, non trasparente.»
«Un vetro unidirezionale» mormorò Stoner. «Cristo, chissà cosa darebbe Corning.»
«Chi?»
Con un sorriso, Stoner scrutò il centinaio di metri di vuoto che lo separavano dalla Soyuz. Adesso la nave russa gli appariva tozza e brutta, il prodotto primitivo di un mondo primitivo.
«Devono avere conoscenze scientifiche enormi, questo è chiaro.»
«Shtoner, parla.»
«Questa parte della nave è lunga all’incirca sette metri, diciamo sette metri e mezzo. È larga quasi cinque metri, ma alta solo due e mezzo, tre. Il pavimento è solido e opaco. Idem la paratia che chiude il compartimento. Ma il muso e le pareti attorno sono perfettamente trasparenti. Come se lo scafo non esistesse. Vedo benissimo fuori.»
Timidamente, si avvicinò allo scafo e protese una mano. Le sue dita guantate toccarono la parete invisibile: era spugnosa, morbida.
«Lo scafo c’è ancora, però. Non è svanito completamente come ha fatto il portello. E qui dentro fa molto freddo. Sembra che l’energia possa uscire dallo scafo, ma non entrare dall’esterno. Questa cosa dev’essere stata progettata dal demone di Maxwell.»
Girandosi verso l’alieno, Stoner lo fissò alla luce debole delle stelle. Poi ricordò che alla cintura era allacciata una torcia elettrica, e l’accese.
Si chinò sul corpo dell’alieno. Era molto lungo, e magro, emaciato, disseccato.
«È alto più di due metri, direi. Niente vestiti. È magrissimo. Ci sono parecchie costole che sporgono. Il corpo è coperto da un pelo arancione-marrone, Sembra un po’ la lanuggine del velluto, più o meno.»
«La figura è umana?» chiese Federenko.
«All’incirca. Due braccia, una testa. Il corpo è molto più lungo del nostro… Le gambe partono dove noi abbiamo le ginocchia. E ne ha quattro, di gambe. Tutte molto nodose, con qualcosa che sembrano zoccoli arrotondati alle estremità.»
«Aspetta…» disse Federenko. «Tyuratam mi comunica che le tue parole vengono trasmesse in Unione Sovietica, Europa, America, Asia, e in altri posti.»
«Sono in diretta, Nikolai? In Russia?»
Federenko esitò, poi rispose: «In URSS, la trasmissione è in differita di quindici minuti. I nostri censori devono accertarsi che non vengano dette cose pericolose.»
«E in America?»
«In diretta, immagino.»
«Allora dovrò stare attento alle parolacce.»
Federenko non rispose.
Stoner riportò l’attenzione sull’alieno. «Le braccia sono più lunghe delle nostre. Le mani hanno solo due dita ciascuna, e alle estremità ci sono quelle che sembrano ventose, come quelle dei polipi.»
«La testa? Il viso?»
«Mi sembra che abbia due occhi, ma sono chiusi. Non vedo naso, però c’è la bocca… Le labbra, cioè. Lunghe e strette.» Stoner non aveva il coraggio di toccare la creatura, anche se avrebbe disperatamente voluto scoprire cosa ci fosse dietro quelle labbra, dietro quelle palpebre chiuse. «Una peluria morbida gli copre tutto il viso, persino le palpebre. La testa è rotonda, col cranio grosso e molto liscio. Non riesco a vedere con cosa respirasse.»
«Adesso respira?»
«No. È morto. “Lo sento.” Qui dentro non c’è atmosfera. Questo locale contiene solo il vuoto da millenni. E fa freddo. Mi si sta appannando la visiera.»
«Accendi l’impianto termico.»
«Lo sto facendo.» Il ventilatore miniaturizzato inserito nel casco ronzò un po’ più forte.
Quando la brina si sciolse sulla visiera, Stoner vide che sul feretro, accanto al corpo dell’alieno, c’erano delle scritte. E degli oggetti: una coppa di metallo, una sfera trasparente grande come un pallone, un bastoncino che sembrava fatto di legno. Cercò di prendere il bastone, che però restò incollato al feretro. Mentre descriveva tutto al microfono, tentò di spostare gli altri oggetti. Nemmeno uno si mosse.
«È un sarcofago, Nikolai. Una tomba. Lo so. Questo essere è morto un milione di anni fa e ha fatto lanciare il suo corpo nello spazio… Come un faraone egiziano. Si è fatto lanciare in un sarcofago.»
«Ma perché?»
«Per fare da ambasciatore!» Stoner intuì coscientemente la verità nell’attimo in cui rispose. «Certo! Un ambasciatore! Quale modo migliore per entrate in contatto con razze intelligenti sconosciute e disseminate su migliaia di anni luce?»
«Ambasciatore?»
«Sì!» Stoner sapeva di aver ragione. «Ci sta dicendo: “Eccomi qui, voglio che mi vediate, che sappiate che esisto, che la mia civiltà esiste. Non siete soli nell’universo. Prendete il mio corpo. Studiatelo; studiate gli oggetti che ho portato con me. Studiate la mia nave. Imparate da me.” Quale modo migliore per dividere con noi la sua scienza? Per dimostrarci che i suoi scopi sono assolutamente pacifici, amichevoli?»
Federenko restò in silenzio, a riflettere.
Stoner tornò alla sua descrizione. «La mascella mi pare praticamente identica a quella umana. Niente orecchie, però ai lati della testa sono in evidenza due cerchi… Sembrano sporgenze ossee. Piatte? Devono essere organi sensoriali.»
«E gli organi sessuali?» chiese Federenko, poi aggiunse: «Lo vogliono sapere i biologi.»
Stoner sorrise. «Me l’immaginavo. Al solito posto non vedo niente, però c’è una sporgenza a metà circa del torso. E lì attorno il pelo è di un colore diverso, più giallo.» “Cristo, deve essere morto in erezione” pensò Stoner.
«Aspetta» disse Federenko. «Sta arrivando una comunicazione da Terra.»
Stoner fece il giro della Piattaforma funebre, barcollando leggermente per l’assenza di gravità. Sul lato opposto dell’alieno c’erano altri oggetti: in particolare, un quadrato disseminato di puntini collegati fra loro da linee sottili. “Una mappa astronomica?” si chiese lui. “Questa nave è l’arca del tesoro; ha portato con sé tutta la sua civiltà.”
La voce di Federenko interruppe le sue riflessioni. «Passa sulla frequenza due, Shtoner.»
Stoner cambiò canale. Il russo gli disse: «Shtoner, questa frequenza è riservata a noi. Non viene ritrasmessa in televisione.»
«Okay.»
«Il comando missione sta preparando una nuova traiettoria per riportarci a casa. Stanno per lanciare un’altra cisterna.»
«Lo sapevo che avrebbero escogitato qualche cosa.»
«Accenderemo i retrorazzi per uscire dalla traiettoria attuale. Molto presto.»
Stoner sentì squillare un campanello d’allarme. «Presto quanto?»
«I computer ci stanno lavorando. Ma tu devi tenerti pronto a rientrare sulla Soyuz quanto te lo ordinerò.»
«Certo.»
«Adesso fotografa tutto. Il tempo incalza.»
«Okay. Torno sulla frequenza uno. Voglio che tutti sentano quello che ho da dire.»
Federenko grugnì: «Secondo la stima di Tyuratam, più di un miliardo di persone stanno ascoltando la tua voce.»
“Bene” pensò Stoner. “Ora sapranno.”