Выбрать главу

«È importantissimo! Vitale!» La voce di Reynaud tremava d’eccitazione. «Potremo organizzare un’altra missione spaziale e portare la nave su un’orbita in prossimità della Terra!»

Stoner scosse la testa. «Occorrerebbero anni per costruire apparecchiature in grado di rimorchiare questa nave. Siamo arrivati qui a stento, e sono occorsi mesi di preparativi. E la missione è stata un mezzo fallimento.»

«Ma abbiamo a disposizione anni!» insistette Reynaud. «Allontanandosi dal Sole, la nave rallenterà. Passeranno forse cinque anni prima che raggiunga l’orbita di Plutone…»

«Cinque anni» fece eco Stoner.

«È possibile un altro contatto» disse Reynaud. «Non c’è nessun bisogno che lei resti lì.»

Li interruppe la voce possente di Federenko. «Due minuti, Shtoner. Devo mettere in funzione l’ordinatore automatico di sequenza.»

«Okay…»

«Riportami la macchina fotografica» ordinò Federenko. «Devo portare le foto sulla Terra. Sono troppo preziose.»

«Possiamo tornare in contatto con la nave aliena» ripeté Reynaud.

La voce di Jo si inserì sulla stessa frequenza. «Torna da me, Keith. Te ne prego, torna.»

S’intromise anche Markov. «Keith, mio caro amico, non essere così testardo. Gli eroi morti non servono a nessuno. Hai sentito cosa dice Reynaud? Tra qualche anno potrai rimetterti in contatto col nostro visitatore.»

Stoner, scosso da brividi di freddo, si accorse di avere ancora in mano la macchina fotografica stereo.

«Le foto, Shtoner. Adesso.»

Tese le mani, toccò la paratia della nave, si spostò verso il portello. “Dov’è?” si chiese. L’intero scafo era così trasparente…

Poi incontrò il cerchio che si apriva sullo spazio. Agganciandosi alla cintura la macchina fotografica, cominciò a spingersi fuori dalla nave aliena.

Markov continuava a parlare.

«Potremo costruire nuovi missili e addestrare nuovi equipaggi. E tu, logicamente, sarai il direttore del progetto. Devi tornare a guidarci. Abbiamo bisogno di te.»

«Ti prego, Keith» implorò la voce di Jo.

Quando era già uscito a metà dal portello, Stoner si girò a guardare l’alieno, che da ere immemorabili riposava in quel sonno silenzioso. E la sua mente si riempì delle voci stridule, dei visi ripugnanti di tutti i burocrati che aveva incontrato. E di McDermott. E di Tuttle. Rivide Dooley, gli agenti e i poliziotti e i politici che non capivano, che avevano paura, che opponevano resistenza, che non avrebbero accettato la realtà nemmeno a sbattergliela in faccia.

E vide Cavendish, torturato e distrutto da quella gente. E Schmidt, massacrato dalle sue stesse mani.

«Shtoner, accensione dei retrorazzi tra un minuto. Procedura automatica. Non posso fermarmi più a lungo.»

«Tutto a posto, Nikolai» disse lui, rientrando nello scafo trasparente. I suoi piedi aderirono al pavimento, vicinissimi all’alieno.

«Torna sulla Terra, Nikolai. Io resto qui.»

«Keith!» Un urlo strozzato di Jo.

«Non suicidarti» implorò Markov.

«Non è un suicidio» rispose Stoner, a tutti, «Voi pensate che io mi stia uccidendo, ma non è vero. Vi do un incentivo, un motivo in più per tornare qui il più in fretta possibile, a questa arca delle meraviglie. Io sarò qui, congelato. Forse sarà morto, Ma forse… Forse sarò in animazione sospesa, in attesa di essere riportato in vita.»

«Cosa stai dicendo?»

«Qui dentro c’è il vuoto. Manca l’atmosfera. La temperatura è vicina allo zero assoluto. L’alieno si è conservato per Dio solo sa quanti millenni. Anch’io dovrei restare intatto, per un paio d’anni.»

Respirò a fondo, ricordò che la loro risposta non poteva giungergli che dopo molti secondi, e continuò: «Quando spegnerò l’impianto termico, il freddo mi congelerà. Volerò con l’alieno per qualche anno. Se davvero v’importa, di me, verrete a riprendermi prima che tutt’e due usciamo dal sistema solare.»

«Keith, non puoi…» La voce di Jo si perse tra i singhiozzi.

«Non sarò morto» le disse lui, dolcemente. «Ti aspetterò, sospeso tra la vita e la morte. Aspetterò che tu arrivi qui e mi riporti in vita. Come nella favola della Bella addormentata, con le parti invertite.»

La voce di Markov traboccava d’angoscia. «Non riesce più a parlare, Keith. Vorrebbe, ma non ci riesce.»

«Kirill… Jo, ascoltatemi. Costringeteli a lavorare assieme. Create una forza comune per le imprese spaziali. Obbligate gli uomini politici a fare quello che bisogna fare. Coinvolgete l’intera razza umana. Abbiamo la possibilità di arrivare alle stelle, tutti quanti, di uscire dal bozzolo in cui abbiamo vissuto. Costringeteli a capire, a guardare le stelle.»

L’intervallo di tempo sembrava diventare più lungo ogni volta.

«E come potremo?» gemette la voce di Markov. «Noi siamo solo persone normali. Abbiamo bisogno di te, Keith. Devi tornare a guidarci!»

«No, Kirill» ribatté lui. «Dovrete guidarli voi. Adesso siete voi ad avere questo compito. Tu, e Jo.»

Stoner aspettò una risposta.

«Dieci secondi all’accensione dei retrorazzi» intervenne la voce tetra di Federenko.

«Io non potrei riuscirci» rispose Markov. «Devi tornare. Devi!»

«Troppo tardi, Kirill. È tutto nelle vostre mani. Dovete trasformarli, dal primo all’ultimo. Cambia il mondo per me, Kirill.»

Federenko s’inserì nella comunicazione. «Addio, Stoner. Sei un uomo molto coraggioso e molto sventato. Buona fortuna.»

«Arrivederci, Nikolai. Tieniti in allenamento.»

«Keith!» implorò la voce di Markov.

Stoner spense la radio e fissò la Soyuz. Nel silenzio più perfetto, con una breve fiammata sullo sfondo buio dello spazio, i retrorazzi si accesero. La nave si allontanò, accelerò, divenne sempre più piccola, scomparve fra le stelle.

Stoner si girò di nuovo verso l’alieno e deglutì, per vincere la secchezza che aveva in gola. Cercò di sfregarsi gli occhi indolenziti, ma la sua mano urtò sulla visiera del casco. Allora ricominciò a descrivere tutto ciò che vedeva.

E, mentre parlava, si chiese: è possibile che anche lui sia solo ibernato? Che non sia morto? Riusciremo a riportarlo in vita, un giorno?

Sapeva che la scienza medica degli uomini non conosceva ancora il modo di far rivivere un corpo congelato, non senza danneggiare le cellule e uccidere il soggetto. La sua ipotesi era valida solo per il futuro. Con un sorriso amaro, Stoner pensò: forse li costringerò a fare progressi anche in questo campo.

Gli occhi di Jo erano ormai privi di lacrime. Le uniche tracce delle sue emozioni erano le guance rigate. Gli altri tecnici cercavano di non guardare nella sua direzione; e intanto dirigevano il volo di Federenko verso la zona di atterraggio di Karaganda, seicento chilometri a est di lì.

Markov sedeva al suo fianco, stravolto, gli occhi lontani un milione e mezzo di chilometri. La voce di Stoner continuava a uscire dagli altoparlanti, sempre più debole e coperta di scariche. Stava descrivendo l’interno della nave aliena con lo stesso distacco di un archeologo che descrivesse i reperti di una tomba antica.

Markov parve tornare in sé. Frugandosi in tasca in cerca delle sigarette, mormorò: «Ha preso la sua decisione. Non c’è nulla che noi possiamo fare.»

La ragazza guardò il russo, vide che i suoi occhi erano colmi di lacrime.

«Non è morto» disse dolcemente Jo. «Non morirà… Se non lo tradiremo. Possiamo tornare da lui, riportarlo qui, riportarlo in vita.»

Con un’occhiata alle guardie che li circondavano, Markov disse: «Allora ci aspetta un lavoro enorme.»

«Sì. Però possiamo farcela. Possiamo cambiare il mondo.»

Markov annuì, con espressione truce. «Non avrei mai pensato di dover diventare un predicatore… Un evangelista.»

«Ma lo farai, vero?»