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Il pomeriggio del quarto giorno vedemmo una nuvola di polvere scendere rapidamente dal Nord verso di noi. Presto udimmo il suono dei tamburi uiguri. Poi, dalla polvere, emerse un esercito di cavalieri. Erano due o trecento, con le lance scintillanti, e molti avevano anche ottimi fucili. Si fermarono davanti al campo, disponendosi in semicerchio. Il capo dagli occhi freddi che era stato il mio principale istruttore smontò e si fece avanti, conducendo per la briglia un magnifico stallone nero. Era un cavallo grande e forte, diverso da quelli snelli che gli altri montavano: un cavallo che poteva portare facilmente il mio peso.

L’uiguro piegò un ginocchio a terra e mi porse le redini dello stallone. Le presi automaticamente. Il cavallo mi scrutò, mi fiutò, e mi appoggiò il muso sulla spalla. Subito i cavalieri alzarono le lance, gridando qualcosa che non afferrai, poi balzarono di sella e rimasero in attesa.

Il capo si alzò. Trasse dalla tunica un cubetto di antica giada. Tornò a piegare il ginocchio e me lo porse. Sembrava compatto ma, quando lo strinsi, si aprì. Dentro c’era un anello. Era d’oro massiccio, spesso e largo: recava incastonata una pietra gialla trasparente, quadrata, di circa quattro centimetri di lato. E in quella pietra c’era la figura di una piovra nera.

I tentacoli si aprivano a ventaglio intorno al corpo. Sembravano protendersi in avanti, attraverso la pietra gialla. Riuscivo a scorgere persino le ventose sulle punte. Il corpo era definito meno chiaramente: era nebuloso, e sembrava perdersi in distanza. La piovra nera non era stata intagliata nella gemma: stava all’interno.

Provavo una strana mescolanza di sensazioni… la repulsione e un bizzarro senso di familiarità, come quello scherzo della mente che causa ciò che viene chiamato doppia memoria, l’impressione di avere già sperimentato la stessa cosa in passato. Senza riflettere, m’infilai l’anello al pollice, dove calzava perfettamente, e lo alzai verso il Sole per scorgere la luce attraverso la pietra. Immediatamente tutti gli uomini si buttarono ventre a terra, prostrandosi davanti all’anello.

Il capitano uiguro mi parlò. Avevo avuto la certezza subconscia che dal momento in cui mi aveva offerto il cubetto di giada lui mi aveva osservato attento. Mi sembrò che adesso, nei suoi occhi, ci fosse un timore reverenziale.

«Il tuo cavallo è pronto…» Usò di nuovo la parola sconosciuta con cui mi avevano acclamato i cavalieri. «Mostrami ciò che vuoi portare con te, ed i tuoi uomini lo prenderanno.»

«Dove andiamo… e per quanto tempo?» chiesi.

«Da un sant’uomo del tuo popolo,» rispose lui. «Per quanto tempo… lui solo può dirtelo.»

Provai un’irritazione momentanea per la disinvoltura con cui si stava disponendo di me. E mi chiesi anche perché mai diceva che i suoi uomini e il suo popolo erano i miei.

«Perché non viene lui da me?» domandai.

«È vecchio,» mi rispose. «Forse non riuscirebbe a completare il viaggio.»

Guardai i cavalieri, che adesso si erano rialzati e stavano accanto ai loro destrieri. Se avessi rifiutato di andare, sicuramente il campo sarebbe stato devastato, se i miei compagni avessero cercato di opporsi alla mia cattura. E poi, ardevo dalla curiosità.

«Devo parlare ai miei compagni, prima di partire,» disse.

«Se piace a Dwayanu…» Questa volta afferrai la parola. «… dire addio ai suoi cani, lo faccia.» C’era un lampo di disprezzo nei suoi occhi mentre guardava il vecchio Fairchild e gli altri.

Decisamente non mi piaceva quello che aveva detto, né il modo.

«Aspettami qui,» feci brusco, e mi avvicinai a Fairchild. Lo condussi nella sua tenda, e Barr e gli altri membri della spedizione ci seguirono. Dissi loro quel che stava succedendo. Barr mi prese la mano ed esaminò l’anello. Poi fischiò, sommessamente.

«Non sa cos’è questo?» mi chiese. «È il Kraken… il sapiente, maligno, mitico mostro marino degli antichi norvegesi. Vede, non ha otto tentacoli, bensì dodici. Non veniva mai raffigurato con meno di dieci. Simboleggiava il principio ostile alla Vita… Non proprio la Morte, ma l’annientamento. Il Kraken… e qui in Mongolia!»

«Senta, capo,» dissi a Fairchild. «Lei mi può aiutare solo in un modo… se ho bisogno di aiuto: torni al più presto possibile al vecchio campo. Parli con i mongoli e faccia passare parola a quel capotribù che continuava a portare i lottatori… loro capiranno a chi mi riferisco. Lo convinca o lo corrompa perché porti al campo tutti i combattenti abili che riesce a trovare. Io tornerò, ma è probabile che torni di corsa. A parte questo, tutti voi siete in pericolo. Magari non per il momento, ma può darsi che le cose si mettano in modo tale da convincere questa gente che è meglio togliervi di mezzo. So quel che mi dico, capo. La prego di farlo per il mio bene, se non per il suo.»

«Ma questi sorvegliano il campo…» cominciò ad obiettare Fairchild.

«La smetteranno… non appena sarò andato con loro. Almeno per un po’ la smetteranno. Mi verranno tutti dietro.» Parlavo con assoluta sicurezza, e Barr annuì per dimostrare che era d’accordo con me.

«Il Re torna al suo Regno!» disse. «E tutti i suoi fedeli sudditi vanno con lui. Non corre alcun pericolo… finché è insieme a loro. Ma… Dio, se potessi venire con lei, Leif! Il Kraken! E l’antica leggenda dei Mari del Sud parla della Grande Piovra, che dorme e attende, fino a quando deciderà di distruggere il mondo e tutti gli esseri viventi. E la Piovra Nera è scolpita sulle rocce delle Ande, ad una quota di oltre cinquemila metri! Norvegesi… e isolani dei Mari del Sud… e andini! E lo stesso simbolo… qui!»

«Me lo promette, vero?» chiesi a Fairchild. «Può darsi che ne vada della mia vita.»

«Sarebbe come abbandonarla. Non approvo!»

«Capo, questo esercito sarebbe in grado di spazzarvi via in un minuto. Torni indietro, e raduni i mongoli. I tartari vi aiuteranno: odiano gli uiguri. Io tornerò, non abbia paura. Ma sarei pronto a scommettere che avrò alle mie calcagne tutti costoro, e anche altri. E quando arrivo, voglio un muro dietro il quale potermi nascondere.»

«Allora andremo,» disse Fairchild.

Uscii da quella tenda ed entrai nella mia. L’uiguro dagli occhi freddi mi seguì. Presi il mio fucile ed una pistola automatica, m’infilai in tasca uno spazzolino da denti e un rasoio, e mi voltai per andare.

«Non c’è altro?» C’era un tono di sorpresa, nella voce di quell’uomo.

«Se c’è, tornerò poi a prenderlo,» risposi.

«No, dopo che avrai… ricordato,» disse l’uiguro in tono enigmatico.

Fianco a fianco, ritornammo allo stallone nero, ed io mi issai in sella.

La schiera dei cavalieri girò per seguirci. Galoppammo verso Sud, e le loro lance formavano una barriera tra me e l’accampamento.

III

IL RITUALE DI KHALK’RU

Lo stallone si avviò ad un passo rapido, regolare. Portava facilmente il mio peso. Mancava circa un’ora al crepuscolo quando superammo il limitare del deserto. Alla nostra destra si levava una bassa catena di colline d’arenaria rossa. Davanti, non lontano, c’era una gola. Ci addentrammo e la percorremmo. Dopo circa mezz’ora uscimmo in un territorio cosparso di macigni, su quella che un tempo doveva essere stata un’ampia strada. Si stendeva davanti a noi, diritta, verso Nord-Est, verso un’altra catena, più alta, di arenaria rossa, distante all’incirca otto chilometri. La raggiungemmo proprio al cader della notte: e qui la mia guida si fermò, annunciando che ci saremmo accampati fino all’alba. Circa venti cavalieri smontarono, mentre gli altri proseguirono.

Quelli che erano rimasti attesero, guardandomi; era chiaro che aspettavano qualcosa. Mi chiesi che cosa avrei dovuto fare: poi, notando che lo stallone era sudato, chiesi qualcosa per asciugarlo, e poi foraggio e acqua per lui. A quanto sembrava, era proprio quello che si aspettavano. Il capo mi portò personalmente i pezzi di stoffa, il grano e l’acqua, mentre gli uomini bisbigliavano. Quando il cavallo fu rinfrescato, gli diedi da mangiare. Poi chiesi delle coperte per ripararlo, poiché le notti erano fredde. Quando ebbi finito, scoprii che nel frattempo era stata preparata la cena. Sedetti davanti al fuoco insieme al capo. Avevo fame e, come sempre quando ne avevo la possibilità, mangiai voracemente. Feci poche domande, e ricevetti quasi sempre risposte così evasive e riluttanti che presto rinunciai a insistere… Finita la cena, mi venne sonno. Lo dissi. Mi furono consegnate delle coperte, e mi avvicinai allo stallone. Gli stesi accanto le coperte, mi sdraiai e mi ravvoltolai.