— Che bella calligrafia! — ammirò la cassiera.
— Questo è niente, — disse il signor gatto. - Quando scrivo a macchina faccio anche di meglio.
— Lei è piú bravo ancora di se stesso, — disse la gatta.
— Cosa vuole, io sono un tipo cosí. Si figuri che quando vado in macchina riesco continuamente a sorpassarmi.
— Straordinario! Lo racconterò alla mia mamma. Lo sa che vuol sempre sentir parlare di lei?
Il signor gatto non disse se lo sapeva o no.
Alla fine, però, dovette sicuramente venirlo a sapere.
Difatti, il signor gatto e la gattina si sposarono e vissero felici e contenti, litigando dalla mattina alla sera. Si graffiavano il naso, si tiravano le scatole del veleno sul groppone, si rincorrevano brandendo minacciosamente l'apriscatole. I topi, a quello spettacolo, si divertivano tanto, e anche di piú. Anzi, uno di loro, si fece la tana proprio nel negozio e molti amici, parenti e conoscenti andavano a fargli visita solo per poter assistere ai litigi della bella e gentile famigliuola.
Il topo faceva pagare dieci lire per ogni guardatina.
Tutti dicevano che era caro. Però pagavano e guardavano.
Il topo diventò tanto ricco che cambiò nome e si fece chiamare Barone.
Riassunto della storia precedente.
Un gatto negli affari
C'era una volta un gatto col bernoccolo degli affari, mise su un bel negozio di generi alimentari.
Vendeva topi in scatola, questo era il suo mestiere, come un altro fa l'idraulico oppure il parrucchiere.
Aveva l'insegna al neon, una spaziosa vetrina, la cassa col campanello, cassiera la sua gattina.
Un cartello spiccava tra variopinte etichette:
«Diamo gratis l'apriscatole a chi compra tre scatolette».
C'era un guaio purtroppo, a guastargli la festa: i topi non volevano assolutamente mettersi in testa di entrare nelle scatole… Venivano a guardare la vetrina, sghignazzavano, e via senza salutare.
Il gatto fu costretto a cambiare professione, ma sempre negli affari, questa era la sua passione: vendeva veleno per i topi e per i ratti, i quali non erano per niente soddisfatti.
Ritratto del gatto
Il gatto non è amico di nessuno,
entra, mangia, si stira e torna via, crede che la casa sia un'osteria.
Non fa festa al padrone, non lo accompagna a spasso, non ti riporta il sasso che tu getti lontano, non ti viene a leccare la mano come fa il cane con quegli occhi buoni.
E quando miagola pare che stia raccontando una bugia.
Agostino
Agostino, gatto inesperto, mise una zampa nella nafta e subito per pulirla cominciò a leccarla.
Infezione. Paralisi.
Il veterinario lo portò via per darlo allo spazzino.
Morì per amore di pulizia.
Agostino, Agostino, anima nobile come nessuna.
Se avremo un altro gatto gli daremo il tuo nome.
Arturo
Arturo, gatto volante, va in un'ora da Roma a Torino (sul reattore, dentro un cestino…)
Gli piace guardare dal finestrino, mangiare un panino, suonare il violino, parlare di topi con il vicino.
Da grande farà il pilota guidando con la coda.
Gustavo
Gustavo, gatto artista, è un doppio pianista: difatti suona il piano a quattro zampe, mentre perfino Chopin lo suonava soltanto con due mani.
Per un bel piano a coda niente di più adatto che un pianista con la coda naturale — che sta molto meglio di quella del frac.
Gustavo danza con eleganza sui tasti neri, sui tasti bianchi, sullo spartito e sui candelieri.
Che anima sensibile! La sera Gustavo si suona la ninnananna e si addormenta sulla tastiera.
Gastone
Gastone è un gatto di sentimenti elevati.
Ama i luoghi rialzati, predilige le alture, come tutte le anime pure: dalla poltrona al tavolo, dal tavolo al divano, passeggia solamente tra le cime.
Alpinista solitario, scende a valle quando è proprio necessario, per bere il suo latte.
Poi torna tra le vette e s'addormenta, o riflette.
Carlomagno
Avevamo un gatto di nome Carlomagno.
Suonava il flauto, sputava le tagliatelle.
Viaggiava moltissimo in punta di piedi, tenendosi a distanza dalla vasca da bagno.
Bella bestia dal capo alla coda fin dove la coda finiva,
non rivolgeva la parola agli estranei; liberamente andava e veniva, liberamente se ne andò del tutto senza dare le dimissioni.
Scomparve, lasciandoci soltanto il suo nome da chiamare, da chiamare, non ci fece sapere perché non voleva tornare.
Ogni tanto arrivava una cartolina ma non era lui che ci scriveva, suonava il telefono, ma non era Carlomagno.
Era uno che aveva sbagliato numero e non diceva nemmeno scusa, quel maleducato.
Milano, Torino e Dirimpetto
C'era una volta un gatto di nome Milano.
Ce n'era anche un altro di nome Torino.
Il fatto probabilmente vi sembrerà strano: ci sono anche due città che si chiamano così, e i gatti di solito si chiamano Piumino.
Ma non c'è niente da fare: quei due gatti lì si chiamavano proprio come ho detto.
Poi c'era un terzo gatto di nome Dirimpetto.
Non è tutto. Aggiungerò, per essere più chiaro, che il gatto Torino abitava a Recoaro, il gatto Milano abitava a Messina
e Dirimpetto a Diano Marina.
Tutti e tre i loro padroni facevano il capostazione e da questo ebbe origine una certa confusione.
Il capo di Messina, con la paletta in mano, chiamava il suo gatto gridando: — Milano!
I viaggiatori diretti alla capitale lombarda scendevano a terra tutti contenti:
— Ma guarda, — si dicevano sorridendo, — presto arrivò questo treno, da Palermo a Milano in due ore e anche meno…
Questo è solo un esempio. Gli altri qui pro quo ognuno se li immagini come vuole e come può.
Morale: per evitare che si diventi tutti matti certe città dovrebbero smetterla di chiamarsi come i gatti…
Il nome del gatto
Una bambina ha un gatto, gli cambia il nome tutti i giorni il gatto, confuso, si volta a tutti i nomi; poi a tutte le parole, anche alla parola
Mascalzone, che gli resta (il solo mascalzone simpatico del mondo).
I gatti al bar
I gatti al bar gelateria ci vanno le sere d'agosto, sempre facendo finta di essere in un altro posto, così i camerieri non possono cacciarli via perché direbbero: «Ma guarda, credevamo fosse la cartoleria, dobbiamo comprare un temperino per rifare la punta agli artigli».
Con prudenza si aggirano fra i piedi dei tavolini.
Non danno noia ai bambini.
Non rompono le calze alle signore, perché d'estate le signore non portano calze.
Stanno lì con pazienza e con gli occhi semichiusi, ma se da un cono troppo pieno casca un poco di panna montata o da una coppa tenuta di traverso sgocciola fragola, crema, cioccolato, allora li vedete balzare come un sol gatto a leccare il selciato.
Ma non potete sentire che fanno le fusa, perché passa una motocicletta rombando a tutto gas.
Il gatto e la gallina Si dice che il gatto parlare non sa.
Errore. Sa benissimo.
Soltanto, non gli va.
Non gli va di raccontare al primo venuto se la carne era fresca, se il latte gli è piaciuto.
Non è vanitoso come la gallina che, se fa l'uovo, canta tutta quanta la mattina.
Per un uovo piccolo così si vanta, l'esagerata, come se avesse fatta un'intera frittata.
Autunno
Il gatto rincorre le foglie secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede) alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti scendono rosse e gialle sono certo farfalle che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell'anno non è per lui che un bel gioco, e per gli uomini che ne fanno al tramonto un lieto fuoco.