La stella Gatto
In quel tempo, a Roma, diverse persone andavano via con i gatti.
Pensatori che, a causa delle automobili, non trovavano più la quiete per pensare; vecchi che avevano delle storie da raccontare, ma nessuno li stava a sentire e in casa per loro non c'era più posto; donne rimaste sole in un appartamento vuoto: pigliavano su e sparivano. Di loro non si sapeva più nulla. Erano andati via con i gatti.
Come facevano? Questo si è saputo dopo, col tempo. Era una cosa molto semplice. Si faceva, più che altro, in piazza Argentina.
Questa piazza è fatta così: tutt'in giro ci sono strade, palazzi, automobili, filobus, chiasso, ma in mezzo alla piazza c'è uno spazio dove stanno alcuni gloriosi ruderi romani, le rovine di due o tre tempietti, mezze colonne rovesciate, praticelli, qualche pino, qualche cipresso. E i gatti. Non ci possono andare le automobili, là dentro e laggiù, nei sotterranei ombrosi, sotto i portici antichi.
come un'isola serena in mezzo al mare del traffico, da cui la separano una cancellata e pochi gradini. Si scendono quei gradini e si è in mezzo ai gatti. Sono molti, di tutte le razze. Ci sono giovani cuccioli che giocano ad acchiappare lucertole e vecchi gattoni che dormono tutto il tempo e si svegliano solo quando arrivano le «mamme dei gatti», coi loro cartoccetti di avanzi per la cena. Ogni gatto si sceglie il posto che più gli piace, si infila in una nicchia, si allunga ai piedi di una colonna, si acciambella sui gradini di un tempio.
Quelle persone scendevano i gradini, scavalcavano la bassa cancellata, diventavano gatti e cominciavano subito a leccarsi le zampe.
La gente che passava e guardava, mettiamo, dal finestrino di un filobus, vedeva soltanto gatti. Poteva distinguere quello con un occhio acciaccato da una sassata, quello che aveva perduto un orecchio in battaglia, il grigio, il rosso, il tigrato, il nero. Ma non sapeva che tra quei gatti c'erano dei gatti-gatti, nati di padre gatto e di madre gatta, e dei gatti-persone che prima, nel mondo di su, erano stati funzionari al ministero delle poste, capistazione, conducenti di autotreni o di tassì.
Veramente un modo per riconoscerli ci sarebbe stato. Per esempio, quando arrivavano le «mamme dei gatti» c'erano dei gatti che si precipitavano a disputarsi le frattaglie, le teste di pesce, le croste di formaggio, e questi erano i gatti-gatti. Ce n'erano altri che invece, senza parere, davano prima un'occhiata ai brandelli di giornale in cui quegli avanzi erano stati avvolti. Leggevano un mezzo titolo, dieci righe di una notizia strappata sul piú bello, guardavano la fotografia di una principessa che si sposava. Cosí, mettendo insieme le loro osservazioni, si tenevano al corrente delle cose del mondo di prima, sapevano quando il governo voleva aumentare le tasse e se era scoppiata in qualche posto una nuova guerra.
In quel tempo andò via con i gatti anche la signorina De Magistris, una maestra in pensione che non riusciva piú ad andare d'accordo con sua sorella e se ne andò via, lasciandole anche il suo amato gatto, che si chiamava Agostino. La signorina De Magistris, nella sua lunga vita, aveva insegnato a leggere a migliaia di bambini e aveva avuto decine di gatti, ma tutti di nome Agostino, perché cosí si era chiamato il suo primo gatto, morto sotto il tram, e lei non lo aveva mai dimenticato. Successero tante cose, tra i gatti, dopo l'arrivo della signorina De Magistris.
Una sera essa spiegava le stelle al signor Moriconi, già netturbino ed ora gatto nero con stella bianca sul petto. Altri gatti-persone e non pochi gatti-gatti seguivano le sue spiegazioni, guardando per aria quando lei diceva:
— Ecco, là, quella è la stella Arturo.
— Ho conosciuto uno che si chiamava Arturo, — diceva il signor Moriconi, — si faceva sempre prestare i soldi per giocare al lotto, ma non ha mai vinto.
— Vedete quelle sette stelle là, là e là? Quella è l'Orsa Maggiore.
— Un'orsa in cielo? — domandò, scettico, il gatto Pirata, un gatto-gatto soprannominato cosí perché, come molti pirati della storia, era cieco da un occhio.
— Anzi, — rispose la signorina De Magistris, — ce ne sono due: Orsa Maggiore e Orsa Minore. Anche di cani ce ne sono due: Cane Maggiore e Cane Minore.
— Cani, — sputò Pirata, con disprezzo. - Bella roba.
— Ci sono molte altre stelle con nomi di animali? — domandò il signor Moriconi.
— Moltissime. Ci sono il Serpente, la Gru, la Colomba, il Tucano, l'Ariete, la Renna, il Camaleonte, lo Scorpione…
— Bella roba, — ripeté il Pirata.
— Ci sono la Capretta, il Leone, la Giraffa.
— Ma allora è proprio un giardino zoologico, — commentò il Pirata.
Un altro gatto-gatto, tanto timido che balbettava, soprannominato Zozzetto — («zozzo», a Roma, vuol dire sudicio; ma Zozzetto non era sudicio per niente, si lavava venti volte al giorno; valli a capire, i soprannomi…) — Zozzetto, dunque, domandò:
— E c'è… cecè… c'è pu-pure il Ga-gatto?
— Mi dispiace, — sorrise la signorina De Magistris, — il Gatto non c'è.
— Fra tutte quelle stelle che si vedono, — fece il Pirata, — non ce n'è una sola che porti il nostro nome?
— Nemmeno una.
Ci furono dei mormorii di disapprovazione e di protesta.
— Buona, questa…
— Scorpioni, millepiedi, scarafaggi, sí; gatti, niente…
— Contiamo meno delle capre?
— Siamo i figli della serva, noi?
Ma l'ultima parola, per quella sera, toccò al Pirata: — Non c'è che dire, gli uomini ci vogliono proprio bene. Quando ci sono da pigliare i topi, micio di qui, micio di là, ma le stelle le danno ai cani e ai porci. Mi caschi anche l'occhio buono se da oggi in avanti tocco piú un topo.
Passò qualche tempo. Ed ecco che un giorno il signor Moriconi lesse in un pezzo di giornale odoroso di baccalà un titolo che diceva: «Gli studenti occupano l'uni…»
In quel punto il giornale era strappato.
— E che cosa mai avranno occupato? — si domandò ad alta voce.
— L'università, - gli spiegò la signorina De Magistris, che, essendo stata una maestra, sapeva tutto. - Non erano contenti di qualcosa e, in segno di protesta, hanno occupato l'università.
— Ma occupato come?
— Penso che sia andata cosí: sono entrati, hanno chiuso le porte e hanno cominciato a fare dei comunicati ai giornali, per far sapere che cosa vogliono.
— E… ecco, — balbettò Zozzetto, emozionatissimo.
— Ecco, e poi? — borbottò il Pirata.
— Ma sic… sicuro. co-cosí che do-dobbiamo fa-fare!
— Che cosa c'entriamo noi con l'università?
— Ma pe-per la ste… la ste…
— Ho capito, — interpretò il Pirata, — gli uomini non ci danno una stella, noi in segno di protesta occupiamo… Già, che cosa occupiamo?
La conversazione diventò ben presto un tumulto. Gatti-gatti e gatti-persone, afferrata l'idea di Zozzetto, discutevano con entusiasmo il modo di metterla in pratica.
— Bisogna occupare un posto in vista, che la gente se ne accorga subito.
— La stazione!
— No, no, niente disastri ferroviari.
— Piazza Venezia!
— Cosí ci arrestano perché intralciamo il traffico.
— La cupola di San Pietro!
— Sta troppo in alto, un gatto, là in cima, bisogna avere il binocolo per vederlo. Anche stavolta l'ultima parola toccò al Pirata.
— Il Colosseo, — disse. E subito tutti capirono che quella era l'idea giusta, che il Colosseo era il posto giusto da occupare.
Il Pirata prese subito il comando delle operazioni: — Noi dell'Argentina siamo pochi. Bisogna avvertire anche i gatti dell'Aventino, del Palatino, dei Fori, quelli del San Camillo…
— Si, quelli! Quelli non vengono, mangiano troppo bene.
Il San Camillo è un ospedale. Nei padiglioni ci stanno i malati, nei praticelli e nei cespugli che circondano i padiglioni ci stanno i gatti. All'ora dei pasti essi si schierano sotto le finestre, anche un quarto d'ora prima, e aspettano che i malati gettino loro gli avanzi del pranzo e della cena.