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L’ambasciatore non volle neppure sentirne parlare. — Respingete la nota — disse seccamente. — Non sono affari che li riguardino, e voi non avreste neppure dovuto lasciarvela consegnare, Howard.

— Ma come facevo a saperlo prima di leggerla? — disse lamentosamente l’Ufficiale Politico, e l’ambasciatore gli gettò un’occhiata che voleva dire: «Ne parliamo dopo», prima di sorridere.

— Come voi tutti sapete — disse, — la nave terrestre è in orbita da dieci giorni, e dovrebbe mandar giù la navetta da un momento all’altro. Mi sono messo in contatto con il capitano, e ci sono una buona notizia e una cattiva. La buona notizia è che hanno molta roba per noi: una troupe di ballerine esotiche, specializzate in disco e Black Bottom, come scambio culturale. Mitzi, voi vi occuperete di loro, naturalmente. Hanno anche dieci tonnellate di rifornimenti: Caffeissimo, Manzovero, nastri con gli ultimi spot, tutte le belle cose che aspettavate! — Espressioni di gioia e soddisfazione generali. Colsi l’occasione per prendere la mano di Mitzi, e lei non la ritrasse. L’ambasciatore continuò: — Questa è la buona notizia. La cattiva è che, come tutti sapete, quando la navetta ripartirà porterà con sé uno dei membri più amati della nostra grande famiglia. Gli diremo addio in maniera migliore la sera prima che ci lasci… ma nel frattempo, Tennison Tarb, volete alzarvi in maniera che possiamo dimostrarvi quanto ci mancherete?

Be’, non me l’aspettavo. Fu uno dei grandi momenti della mia vita. Non c’è nessun applauso paragonabile a quello dei propri pari, e questo scrosciò senza freni… perfino Hay Lopez applaudiva, anche se con aria corrucciata.

Non so cosa dissi, ma quando ebbi finito e tornai a sedermi, scoprii con sorpresa di non dover allungare la mano per prendere quella di Mitzi. Ci pensò lei.

Ancora al settimo cielo, mi chinai per sussurrarle all’orecchio che avevo rifilato il viaggio alla Colonia Penale a Hay, e così potevamo avere la stanza tutta per noi quella notte. Non riuscii a dirlo. Lei scosse la testa con un sorriso, indicandomi che l’ambasciatore aveva portato con sé i nuovi spot nella valigia diplomatica, e restammo tutti a guardarli in religioso silenzio.

Non riuscii mai a dirlo. Rimasi seduto, felice e con la testa fra le nuvole, un braccio sulle spalle di Mitzi, e non mi preoccupai minimamente che Hay Lopez ci guardasse con aria cupa e offesa… non fino a quando si avvicinò all’ambasciatore, appena finiti i filmati, e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. E a questo punto ormai era troppo tari. Quel figlio di puttana ci aveva pensato su. Non appena le luci si riaccesero si avvicinò, tutto sorrisi e strette di mano, e io sapevo già cosa stava per dire. — Accidenti, Tenny, c’è un maledetto guaio. Non posso più andare alla CPP al tuo posto. C’è una riunione con l’ambasciatore domani… Sono sicuro che capirai. Una maledetta seccatura, adesso che sei arrivato alla fine…

Non ascoltai il resto. Aveva ragione. Era una maledetta seccatura. E capivo. Lo capii meglio ancora quella notte, mentre cercavo di trovare una sistemazione comoda sullo schienale duro del volo supersonico diretto alla Colonia Penale Polare. Sarebbe stato molto più facile per me mettermi comodo, se non fossi stato così sicuro di sapere in quale letto si stava mettendo comodo Hay Lopez.

2

Alle otto in punto della mattina seguente ero seduto nella sala riunioni della prigione, di fronte al burocrate venusiano addetto all’Immigrazione e Controllo Passaporti. — Piacere di rivedervi, Tarb — disse senza sorridere.

— Il piacere è mio, Harriman — risposi. Nessuno di noi due diceva sul serio. Ci eravamo seduti l’uno di fronte all’altro ogni due o tre mesi, ogni volta che una nave prigione arrivava dalla Terra, per quattro anni, e sapevamo che non c’era niente di piacevole da aspettarsi.

La Colonia Penale Polare non era esattamente «polare», anche se si trovava sui monti Akna, circa dove avrebbe dovuto trovarsi il circolo polare artico, se Venere ne avesse avuto uno. Naturalmente non c’era niente di «artico». Non c’era neppure una grande differenza di temperatura rispetto al resto del pianeta, ma suppongo che le prime missioni esplorative dell’Agenzia si fossero illuse che ci fosse. Altrimenti perché rivendicare la proprietà di una delle zone meno desiderabili di Venere? Era proprietà terrestre, stabilita precariamente prima che i coloni venusiani fossero abbastanza forti da farci qualcosa, e mantenuta per abitudine, come i quartieri stranieri a Shanghai prima della ribellione dei Boxer. In quel momento ci trovavamo su territorio venusiano, in uno dei pochi edifici non sotterranei nel perimetro della Colonia. I Venusiani avevano tetti rigidi sulle valli. I prigionieri (noi li chiamavamo grek) vivevano nelle caverne. L’intera Colonia Penale era fuori dalle finestre, ma non si vedeva. Anche qui, dal momento che la roccia venusiana, friabile come se fosse stata cotta in una fornace, era facile da scavare, la prigione era stata scavata.

— Devo avvertirvi, Tarb — disse sorridendo, ma il tono non prometteva niente di buono, — che ho ricevuto diverse critiche dopo il nostro ultimo incontro. Dicono che sono stato troppo accomodante. Non credo che questa volta ci saranno molti compromessi.

Risposi immediatamente alla manovra. — Strano che diciate questo, Harriman, perché è capitata la stessa cosa a me. L’ambasciatore si è arrabbiato moltissimo perché vi ho lasciato prendere quei due truffatori. — In effetti l’ambasciatore non mi aveva detto una parola, ma se è per questo, neppure i capi di Harriman avevano detto qualcosa. Fece un cenno con la testa, accettando la fine del primo round a punti pari.

Harriman era un osso duro, infido e subdolo. E anch’io. Sapevamo entrambi che l’altro era lì per ottenere delle vittorie, solo che le vittorie migliori si ottenevano quando l’altro non si accorgeva cosa aveva perso. La Terra aveva vuotato le sue prigioni, scaricando qui il peggio della sua feccia. Assassini, violentatori, falsificatori di carte di credito, non erano certo i peggiori. Oppure sì, a seconda dei punti di vista. Il rapinatore occasionale non ci interessava, per esempio: costava troppo mantenerlo e farlo stare buono. E neppure lo volevano i Venusiani. Quelli che volevano i Venusiani, da ogni contingente di prigionieri, erano i traditori più vili. Conservazionisti. Truffatori condannati per rottura di contratto. Attivisti antipropaganda, quelli che deturpano i manifesti e mandano in corto circuito gli ologrammi. Volevano trasformarli in cittadini venusiani. Noi non volevamo lasciarglieli. Erano quelli che una volta venivano sottoposti a lobotomia cerebrale, e qualche volta lo facciamo ancora. Ma se erano tanto fortunati da trovare un giudice dal cuore tenero, che lasciava che se la cavassero con cinque o dieci anni di CPP, la nostra idea era che li dovessero scontare tutti. Quella gente si meritava la pena! Lasciarli andar liberi fra la popolazione venusiana non era una condanna. In pratica, si riduceva tutto a un mercato delle vacche. Entrambi cedevamo un po’, entrambi guadagnavamo un po’; l’arte della trattativa consisteva nel «dare» con riluttanza qualcosa che in realtà si desiderava ardentemente che l’altro si prendesse.

Toccai il tasto del display e scorsi i primi sei nomi. — Moskowicz, McCastry, Bliven, la famiglia Farnell. Immagino che li vogliate, ma non potrete averli prima che abbiano scontato almeno sei mesi a regime duro.

— Tre mesi — propose lui. Erano tutti segnati CC: Conservazionisti Criminali, ovvero il tipo di gente che i Venusiani accoglievano a braccia aperte.