Non fu un discorso molto convincente. La gente si scambiò occhiate preoccupate e furtive. Mentre ci alzavamo, riuscii ad accostarmi a Mitzi, e le sussurrai nell’orecchio: — Va bene se mi sistemo nel tuo appartamento?Lei si limitò a guardarmi e ad alzare le spalle.
Non ebbi occasione di continuare il discorso, perché a questo punto Val Dambois mi prese per le spalle. — Devo dirti una parola, Tenny — sibilò, e mi portò nell’ufficio di Mitzi… che adesso era diventato il suo. Chiuse la porta, accese lo schermo anti-spie, e disse: — Non diventare troppo autonomo, Tarb. Ricordati che io sarò qui a sorvegliarti. — Non avevo bisogno che me lo ricordasse. Quando non risposi, mi fissò negli occhi. — Puoi farcela? — chiese. — Stai bene?
Risposi nell’ordine: — Posso farcela — il che era più una speranza che una convinzione. E: — Mi sento come uno che ha due interi pianeti sulle spalle. — Il che era vero.
Lui annuì. — Ricorda solo, che se devi lasciarne cadere uno, deve essere quello giusto.
— Sicuro, Val — dissi. Ma qual era quello giusto?
Dal momento che Mitzi non mi aveva detto che non potevo andare nel suo appartamento, ci andai. Non mi aspettavo di trovarla quella notte, e infatti fu così. Ma non rimasi del tutto solo. Val Dambois si preoccupò di fornirmi compagnia. Mentre aspettavo un taxi, fuori dall’ufficio, notai un tipo tutto muscoli che bighellonava lì vicino, e ritrovai lo stesso individuo fuori dal condominio di Mitzi, quando uscii la mattina dopo. Non mi importava. In ufficio mi lasciavano solo, ma anche se non l’avessero fatto, probabilmente non me ne sarei accorto. Ero troppo occupato. Volevo togliermi dalle spalle quel peso di due mondi, e l’unico sistema era vincere quella guerra per loro… in qualche modo.
C’era una dozzina di importanti temi pubblicitari da preparare per le elezioni, e solo pochi giorni di tempo. Diedi l’incarico a Dixmeister di trovare gli spazi sulle varie reti e di occuparsi della produzione, mentre io mi dedicavo completamente alla ricerca degli attori e alla composizione dei copioni.
Normalmente, quando il capo di un progetto dice una cosa del genere, significa che c’è una mezza dozzina di cacciatori di teste che cercano gli attori per lui, e come minimo altrettanti redattori che si occupano dei copioni; quello che gli resta da fare, più che altro, è dare calci nel sedere per essere sicuro che facciano il lavoro. Nel mio caso, la cosa era leggermente diversa. Avevo lo staff, e li prendevo a calci nel sedere. Ma avevo anche dei progetti personali. Non che mi fossero molto chiari. Ed erano ben lungi dal soddisfarmi. E non c’era nessuno con cui potessi parlarne, per vedere che effetto facevano. Ma erano quelli che mi tenevano in ufficio sedici ore al giorno, invece delle dieci o dodici che sarebbero normalmente bastate. Non mi lamentavo: cos’altro avevo da fare?
Sapevo cosa avrei voluto fare. Ma Mitzi era… come dire? Fuori dalla mia portata? Non proprio. Andavamo a letto insieme tutte le volte che capitava in città. Ma in un certo modo sì, perché il letto era l’unico posto dove la vedessi, e neanche troppo spesso. Avevo scatenato un vespaio fra i Venusiani con le mie notizie, e adesso volavano come impazziti in tutte le direzioni. Quando Mitzi era in città. partecipava in continuazione a riunioni segrete ad alto livello; quando non era in riunione a New York, era in giro per il mondo. O fuori dal mondo, perché andò sulla Luna per una settimana intera, scambiando furtivi messaggi in codice con uno spedizioniere di Port Kathy, su Venere.
Una sera avevo perso ogni speranza di vederla, ed ero già andato a dormire, quando nel mezzo di un orribile sogno, in cui un brutto ceffo della Moralità Commerciale si infilava nel mio letto, mi svegliai e scoprii che qualcuno si era davvero infilato nel letto, e che era Mitzi.
Mi ci volle un po’ per svegliarmi del tutto, a causa della stanchezza, e quando ci riuscii, Mitzi si era già addormentata. Mi accorsi, guardandola, che doveva essere ancora più stanca di me. Se avessi avuto un briciolo di compassione, l’avrei abbracciata silenziosamente, e l’avrei lasciata dormire per tutta la notte, e io pure. Non potevo. Mi alzai, e preparai un po’ di quel caffè vero dal sapore strano, e mi sedetti sul bordo del letto, finché lei non sentì l’odore e cominciò a muoversi. Non voleva svegliarsi. Era sepolta sotto le lenzuola, e teneva fuori solo la punta del naso per respirare. C’era un odore caldo e dolce di donna addormentata, che si mescolava con quello del caffè. Si girò dall’altra parte, farfugliando qualcosa… le uniche parole che capii furono «sostituire i fusibili». Aspettai. Poi il ritmo del suo respiro cambiò, e capii che era sveglia.
Aprì gli occhi. — Ciao, Tenny — disse.
— Ciao, Mitzi. — Le porsi la tazza di caffè, ma lei l’ignorò per un momento, guardandomi molto seria.
— Vuoi davvero sposarmi?
— Puoi scommetterci, se…
Non aspettò che finissi la frase. Annuì. — Anch’io — disse. — Se. — Si mise a sedere e prese la tazza. — Bene — disse, cambiando argomento, — come va?
Dissi: — Ho preparato alcuni nuovi argomenti, piuttosto forti. Forse dovremmo vederli assieme.
— E perché? Sei tu il responsabile. — Anche quell’argomento venne abbandonato. Le toccai una spalla. Lei non si spostò, ma non reagì neppure. C’erano molti altri argomenti che mi sarebbe piaciuto discutere. Dove saremmo andati a vivere. Se volevamo dei bambini, e di che sesso. Cosa avremmo fatto per divertirci, e poi, argomento sempre caro a chi è appena fidanzato, quanto e in qual modo ci amavamo l’un l’altra…
Ma non dissi nessuna di queste cose. Invece chiesi: — Cosa volevi dire con «sostituire i fusibili», Mitzi?
Lei si raddrizzò di scatto, facendo rovesciare il caffè nel piattino e fissandomi. — Cosa diavolo mi chiedi, Tenny? — disse con voce dura.
— A me sembra che stessi parlando di sabotare qualcosa. Proiettori campbelliani, giusto? State infiltrando degli agenti nelle unità limbali per danneggiare le apparecchiature?
— Stai zitto, Tenny.
— Perché in questo caso — continuai con aria ragionevole, — non credo che funzionerebbe. Vedi, il viaggio fino a Venere è lungo, e ci saranno squadre di manutenzione tenute sveglie a rotazione. Non avranno altro da fare che controllare e ricontrollare l’equipaggiamento. Avranno un sacco di tempo per aggiustare quello che avrete sabotato.
Questo la scosse. Mise giù la tazza sul comodino, fissandomi.
— L’altra cosa che non mi convince, in questa faccenda — continuai, — e che quando scopriranno che c’è stato un sabotaggio, cominceranno a cercare i responsabili. È vero che i servizi di controspionaggio terrestre riposano sugli allori… e un sacco di tempo che non devono preoccuparsi di niente. Però voi potreste risvegliarli.
— Tenny — esplose Mitzi, — piantala. Fai il tuo maledetto lavoro. Lascia che ci preoccupiamo noi della sicurezza.
Così feci quello che avrei dovuto fare subito. Spensi la luce, mi infilai a letto e la presi fra le braccia. Non parlammo più. Mentre scivolavo nel sonno, mi resi conto che stava piangendo. Non ne rimasi sorpreso. Era un pessimo modo di passare il tempo per una copia di fidanzatini, quello, ma era 1 unico che avessimo. Non potevamo parlare normalmente, per il semplice fatto che lei aveva dei segreti che doveva proteggere.