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Stancamente si rimise in piedi e riprese a camminare. All'improvviso il freddo gli penetrò fin dentro le ossa. Gli inverni si stavano facendo più duri, cominciavano prima e duravano più a lungo, con più neve di quanta riuscisse a ricordare dalla sua infanzia. Da quando l'uomo aveva smesso di scaricare ogni giorno i suoi megatoni di sporcizia nell'atmosfera, pensò David, essa era tornata come doveva essere stata molto tempo prima, estati e inverni più umidi, più stelle di quante lui ne avesse mai viste prima… sembrava quasi che ogni notte il loro numero crescesse rispetto a quello della notte precedente: il cielo, di giorno, era di un profondo, limpido azzurro, una distesa di velluto, e di notte il fulgore delle stelle era d'una intensità quale l'uomo moderno non aveva mai conosciuto.

Ora l'ala dell'ospedale dove lavoravano W-1 e W-2 risplendeva fin troppo di luci; David provò un vago senso d'inquietudine a quell'apparente anormalità, tanto più che vedeva molta gente agitarsi dietro le finestre, soprattutto troppi anziani.

Margaret gli corse incontro nell'atrio. Piangeva in silenzio, dimentica delle lagrime che le scorrevano sulle guance. Non aveva ancora cinquant'anni ma sembrava molto più vecchia… un'anziana, pensò David, con una fitta di dolore. Quando mai avevano cominciato a chiamare se stessi così? Era stato forse perché in qualche modo dovevano differenziarsi, e nessuno di loro aveva consentito a se stesso di chiamare gli altri con l'appellativo che sarebbe loro toccato? Cloni!, esclamò veemente dentro di sé David. Cloni! Non del tutto umani. Cloni!

— Che cosa è successo, Margaret? — Ella gli afferrò un braccio, stringendolo convulsamente, ma non riuscì a parlare; David fissò allora Warren, alle spalle di lei, il quale era accorso a sua volta, pallido e tremante. — Che cosa è successo? — chiese David a Warren.

— Un incidente giù al mulino. Jeremy e Eddie sono morti. Un paio di giovani sono rimasti feriti. Non so quanto gravemente. Sono là dentro. — Indicò il corridoio dove si apriva la sala operatoria. — Hanno abbandonato Clarence. Si sono allontanati abbandonandolo… così. Noi siamo scesi a prenderlo, ma non so… non so… — Scosse la testa. — L'hanno abbandonato lì, e hanno pensato soltanto a loro.

David fece di corsa l'intero corridoio fino al pronto soccorso. Sarah era curva su Clarence e si stava affaccendando su di lui, mentre numerosi anziani si spostavano continuamente per non ostacolarla.

David sospirò di sollievo. Sarah aveva lavorato con Walt per anni; ella era quanto di meglio si sarebbe potuto desiderare, in mancanza di un autentico chirurgo. David gettò via il soprabito e si affrettò a raggiungerla. — Che cosa posso fare?

— È la sua schiena — disse Sarah con voce tesa. Era molto pallida, ma le sue mani non tremarono quando dovette pulire una lunga ferita sul fianco di Clarence e infine vi applicò sopra un voluminoso tampone. — Qui bisogna applicare dei punti. Ma temo che soprattutto la sua schiena sia grave.

— Fratturata?

— Credo di sì. E con altre lesioni interne.

— Dove diavolo sono W-1 o W-2?

— Con i loro. Hanno due feriti, credo. — Gli afferrò una mano e l'appoggiò sopra il tampone. — Tieni fermo per un minuto. — Premette lo stetoscopio sul petto di Clarence, esaminò i suoi occhi, poi si risollevò e dichiarò: — Non posso fare più niente per lui… io.

— Dagli i punti. Io vado a prendere W-1. — David percorse a rapidi passi il corridoio, senza quasi accorgersi dei numerosi anziani che gli cedevano il passo. Giunto alla porta della sala operatoria, venne fermato da tre giovani. Vide fra essi un H-3 e disse: — Abbiamo un uomo che sta probabilmente morendo. Dov'è W-1?

— Chi? — chiese H-3, con fare innocente.

Per un attimo David non riuscì a ricordarsi il nome. Fissò quel giovane volto e sentì il pugno che istintivamente gli si stringeva. — Sai dannatamente bene di chi intendo parlare. Ci serve subito un dottore, e voi ne avete almeno un paio là dentro. Vado a tirarne fuori uno.

Si accorse, con la coda dell'occhio, di un movimento alle sue spalle, si girò di scatto e vide altri quattro di loro che si avvicinavano, due ragazzi e due ragazze. Intercambiabili, pensò. Non importava chi fossero, e che cosa facessero. — Ditegli che lo voglio — esclamò, ringhioso. Si avvide che uno dei nuovi venuti era un Cl-2 e con asprezza ancora maggiore insisté: — È Clarence. Sarah pensa che abbia la schiena rotta.

Cl-2 non cambiò espressione. Si erano fatti molto vicini. Lo circondarono, e dietro di lui H-3 disse: — Non appena avranno finito là dentro glielo dirò, David.

E David seppe che non c'era niente da fare. Niente del tutto.

CAPITOLO OTTAVO

Fissò i loro volti, giovani e lisci così familiari: ognuno di essi era un ricordo vivente, era come viaggiare attraverso il suo passato, vedere ringiovaniti i suoi cugini invecchiati… ringiovaniti, sì, ma con qualcosa che mancava. Familiari e alieni, conosciuti e inconoscibili. Alle spalle di H-3 la porta si aprì e ne uscì W-1, ancora col camice e la maschera chirurgica, ora abbassata intorno al collo.

— Ora vengo — disse, e il piccolo gruppo si aprì per lasciarlo passare. Dopo la prima occhiata a David, non lo guardò più.

David lo seguì fino al pronto soccorso e osservò le sue abili mani muoversi sul corpo di Clarence, saggiandone i riflessi, sondando la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza. — Lo opererò — disse W-1, e un'identica sicurezza s'irradiò da quelle parole. Fece un cenno a S-1 e a W-2 di portare Clarence in sala operatoria, e si allontanò.

Quando W-1 era arrivato, Sarah si era fatta in disparte. Ora lentamente si girò, sfilandosi i guanti che si era messa preparandosi a cucire la ferita di Clarence. Warren seguì con lo sguardo i due giovani che coprivano Clarence e lo assicuravano saldamente al carrello con le cinghie, per poi spingerlo fuori del pronto soccorso, lungo il corridoio. Nessuno parlò, mentre Sarah cominciava a ripulire metodicamente l'attrezzatura del pronto soccorso. Quand'ebbe terminato il suo lavoro, si guardò intorno, incerta, alla ricerca di qualcos'altro da fare.

— Vuoi accompagnare Margaret a casa e metterla a letto? — le chiese David. Lei gli lanciò un'occhiata riconoscente e annuì. Quando fu uscita, David si rivolse a Warren: — Qualcuno dovrà occuparsi dei cadaveri, ricomporli e prepararli per la sepoltura.

— Certo, David — disse Warren con voce grave. — Chiamerò Avery e Sam. Ce ne occuperemo noi. Sì, andrò a cercarli e ce ne occuperemo noi. Io… David, che cosa abbiamo fatto? — La sua voce, fin troppo grave, smorta, divenne all'improvviso stridula. — Che cosa sono?

— Cosa vuoi dire?

— Quando è accaduto l'incidente, ero anch'io giù al mulino. Stavo mangiando un boccone con Avery. Il lavoro era praticamente finito. E una intera sezione del pavimento è sprofondata, sai, la vecchia parte che avremmo dovuto sostituire già lo scorso anno, o prima ancora. Per qualche ragione ha ceduto, senza alcun preavviso. E improvvisamente loro erano lì, i ragazzi. Sbucati dal nulla. Nessuno aveva avuto il tempo di andarli a chiamare, di gridargli che corressero, che c'era bisogno di aiuto. Niente, ma loro erano lì. Hanno tirato fuori i due ragazzi feriti e li hanno portati all'ospedale come se avessero il fuoco alla calcagna, David. Sbucati dal nulla.