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Si sfilò le scarpe e aprì un po' di più la porta. Le voci, sotto di lui, crebbero d'intensità. Senza fare il minimo rumore, egli corse verso la cabina centrale di controllo, tenendosi vicino alla parete. Era quasi giunto alla meta, quando in tutto l'edificio si accesero le luci. Vi fu un urlo ed egli sentì che si stavano precipitando su per le scale. Con un balzo raggiunse la porta della cabina, la spalancò e se la richiuse alle spalle con un tonfo. Non c'era alcun modo di chiuderla a chiave. Tentò di bloccarla spingendovi contro un armadietto metallico, ma questo si spostò di pochi centimetri e poi si bloccò. David allora rinunciò a bloccare la porta; afferrò per una gamba un massiccio sgabello metallico, lo sollevò e lo calò con violenza contro il pannello principale dei controlli. Nel medesimo istante avvertì un tremendo dolore a una spalla, incespicò e cadde in avanti mentre le luci si spegnevano.

Riaprire gli occhi gli costò fatica e sofferenza. Per un attimo percepì soltanto un bagliore confuso; poi distinse i lineamenti di una giovane donna. Stava leggendo un libro, sembrava tutta concentrata nella lettura. Dorothy? Era sua cugina Dorothy. David cercò di alzarsi, lei sollevò lo sguardo dal libro e gli sorrise.

— Dorothy? Che cosa fai qui? — Non riuscì a scendere dal letto. Sul lato opposto della stanza si aprì una porta e Walt entrò, anche lui molto giovane, senza rughe, con i capelli bruni arruffati, come sempre.

David sentì una fitta di dolore alla testa: sollevò una mano e scoprì che era avvolta in un fitto bendaggio che gli scendeva quasi fino agli occhi. Lentamente gli ritornò la memoria, e allora chiuse gli occhi, imponendo alla memoria di cancellarsi, di lasciare che essi fossero veramente, per lui, Dorothy e Walt, quelli autentici.

— Come ti senti? — gli chiese W-1. David sentì le sue dita fresche che gli saggiavano il polso. — Ti rimetterai presto. Una bella botta. E un brutto livido, temo. Per un po' ti farà parecchio male.

Senza aprire gli occhi chiese: — Ho fatto molti danni?

— Molto pochi — disse W-1.

Due giorni dopo, fu chiesto a David di partecipare a una riunione alla mensa. Aveva ancora la testa bendata, ma adesso soltanto con un po' di cerotto. Le spalle gli doloravano ancora. Raggiunse lentamente la tavola calda scortato da due cloni. D-1 si alzò in piedi e offrì a David una sedia sul davanti della stanza. David l'accettò in silenzio e si sedette, in attesa. D-1 restò in piedi.

— Ricordi le nostre discussioni in classe sull'istinto, David? — gli chiese D-1. — Finimmo per trovarci d'accordo che con tutta probabilità non esistevano istinti, ma soltanto risposte condizionate a certi stimoli. Le mie idee, le nostre idee, oggi, sono però cambiate. Ora siamo d'accordo che esiste pur sempre l'istinto di preservare la propria specie. La preservazione della specie è un istinto assai forte, un impulso irresistibile, se vogliamo. — Fissò David e gli chiese: — Che cosa dobbiamo fare di te?

— Non essere sciocco — gli rispose duramente David. — Voi non siete una specie separata.

D-1 non rispose. Nessuno di loro si mosse. Lo stavano osservando con calma, intelligenza, imparzialità.

David si alzò in piedi e spinse indietro la sedia: — Allora lasciatemi lavorare. Vi dò la mia parola che non cercherò più di distruggere…

D-1 scosse la testa: — Abbiamo discusso di questo. Ma ci siamo trovati d'accordo che questo istinto di conservazione della specie avrebbe la meglio sulla tua parola d'onore. Come ugualmente avverrebbe per la nostra.

David sentì le proprie mani stringersi istintivamente a pugno, e con uno sforzo costrinse le dita a ridistendersi: — Allora dovrete uccidermi.

— Abbiamo discusso anche di questo — replicò gravemente D-1. — Non vogliamo farlo. Ti siamo debitori di troppo. Col tempo erigeremo statue a te, a Walt, a Harry. Con estrema cura abbiamo registrato tutto quello che avete fatto per noi. La nostra gratitudine e il nostro affetto non ci permettono di ucciderti.

David si guardò per un attimo intorno, scorgendo dovunque volti familiari. Dorothy, Walt, Vernon, Margaret, Celia. Tutti sostennero il suo sguardo senza trasalire. Intanto qua e là comparvero anche dei pallidi sorrisi.

— Ditemi voi, allora — esclamò infine.

— Devi andartene — disse D-1. — Verrai scortato per tre giorni di cammino, giù per la valle, lungo il fiume. È pronto un carretto per te, pieno di cibo, sementi e qualche attrezzo. La valle è fertile, i semi attecchiscono bene. È la stagione migliore per dissodare il terreno e seminare un orto.

W-2 era uno dei tre incaricati di accompagnarlo. Non parlarono. I ragazzi fecero a turno a tirare il carretto con le scorte. David non si offrì di tirarlo a turno con loro. Essi lo lasciarono alla fine del terzo giorno, sul lato del fiume opposto alla fattoria dei Sumner. Prima di raggiungere gli altri due giovani, che si erano allontanati per primi, W-2 disse: — Ho qualcosa da riferirti, David. Una delle ragazze che tu chiami Celia ha concepito. L'ha messa incinta uno dei ragazzi che tu chiami David. Volevano che tu lo sapessi. — Poi si girò e seguì rapidamente gli altri. Tutti e tre scomparvero tra gli alberi.

David dormì, quella notte, là dove l'avevano lasciato, e la mattina dopo continuò verso sud, lasciando il carretto dietro di sé, dopo aver prelevato un po' di cibo, bastante soltanto per pochi giorni. Si fermò soltanto una volta, a contemplare un piccolo acero che cresceva protetto dagli alti pini. Toccò delicatamente le morbide foglie verdi. Il sesto giorno raggiunse la fattoria dei Wiston: vivo nella sua memoria era il giorno in cui aveva atteso, non lontano da lì, l'arrivo di Celia. La grande quercia bianca, l'albero amico, si drizzava ancora sul colle, forse più grande e maestoso, non avrebbe saputo dirlo. Le sue nuove foglie, d'un verde intenso, nascondevano il cielo al suo sguardo. Si costruì un riparo, e quella notte dormì sotto il grande albero; la mattina dopo gli disse solennemente addio e cominciò a risalire i pendii sovrastanti la fattorìa. L'edificio principale sorgeva ancora, al suo posto, ma il granaio e le stalle erano scomparsi, spazzati via dall'inondazione provocata tanti anni prima.

David raggiunse infine l'antica foresta: si soffermò a osservare un insetto volante. Batteva le ali quasi pigramente, e David ricordò quanto suo nonno diceva, che lì perfino gli insetti erano primitivi, più lenti, meno evoluti dei loro cugini di altre contrade, meno adattabili ai clima caldo e ai periodi di siccità.

Sotto gli alberi aleggiava una impalpabile foschia, e l'aria era quasi fredda. L'insetto si adagiò su una foglia, e alla luce del sole sembrò un insetto dorato. Per un breve attimo a David parve di udire il richiamo di un uccello. Un tordo. Ma si spense troppo in fretta per esserne certo, e David scosse la testa. Era soltanto un'illusione, niente più.

Nell'antica foresta, appartata, segreta, gli alberi aspettavano, mantenendo intatta la propria eredità genetica, pronti a ridiscendere i pendii quando le condizioni fossero siate nuovamente quelle giuste per loro. David si distese al suolo sotto i grandi alberi, e si addormentò. E nel mondo brumoso e stillante del suo sogno si agitavano i sauri e un uccello cantava.