— In tal caso non avrebbe davvero alcun valore, e nessuno vorrebbe perderci sopra del tempo.
— Ma se fosse qualcosa che non riesci a spiegare esattamente, qualcosa che non riesci a esprimere in parole?
— Che cosa mi stai chiedendo, veramente, Molly? — le domandò Ben, voltandosi verso di lei. Il volto di Molly era pallido come la luna, due ombre profonde al posto degli occhi, la bocca era nera, senza un sorriso. Lei a sua volta sollevò lo sguardo a fissarlo; la luna si rifletté nei suoi occhi, e sembrò quasi, adesso, che fosse in qualche modo luminosa, che la luce provenisse da dentro di lei. Ben si rese conto che Molly era bella. Non se n'era mai accorto prima, e il fatto che questo pensiero fosse nato in lui, imponendosi con tanta forza, lo sconvolse.
Molly si alzò in piedi, all'improvviso. — Ti farò vedere — disse. — Nella mia stanza.
Essi ritornarono all'ospedale, fianco a fianco, senza toccarsi, e Ben pensò: naturalmente le sorelle Miriam erano tutte belle, ma quasi tutte le sorelle lo erano. Così come la maggior parte dei fratelli erano aitanti. Questo era scontato. E non significava nulla.
Molly chiuse le imposte della finestra della sua piccola stanza, e gettò il mantello sulla sedia dietro il tavolo da disegno. Poi tirò fuori un fascio di disegni. Li esaminò a lungo. Alla fine gliene porse uno.
Era una donna, nessuna che lui conoscesse intimamente, ma il suo volto era vagamente familiare. Infine la riconobbe: era Sarah; cambiata, ma era Sarah. Accanto a lei una successione di specchi che si perdeva all'infinito, e in ogni specchio c'era un'altra donna, ognuna di esse era Sarah, ma non esattamente come lei. Qui una smorfia le torceva la bocca, là invece vi era un ampio sorriso, un'altra Sarah rideva, un'altra aveva i capelli grigi, rughe… Ben fissò Molly, disorientato.
Molly gli porse un altro disegno. Un albero, niente più. Ma un albero che usciva dalla solida roccia. Qualcosa d'impossibile, e il turbamento di Ben fu ancora maggiore.
Un altro disegno. Lei glielo gettò impulsivamente. Una minuscola barca in un mare immenso che riempiva il foglio da margine a margine. E nella barca una figura solitaria, così piccola da risultare insignificante, impossibile a riconoscersi.
Questi disegni lo sconvolgevano. Guardò Molly sull'altro lato del tavolo da disegno: lo stava fissando con febbricitante intensità, le guance arrossate, gli occhi troppo brillanti.
— Ho bisogno di aiuto, Ben — gli disse, con voce bassa, fremente. — Tu devi aiutarmi.
— Che cosa?
— Ben, io non voglio più disegnare queste cose, voglio dipingerle. Devo dipingerle. Non so perché. E non soltanto queste cose, ma altre ancora. La matita, la penna e l'inchiostro non vanno più bene. Ho bisogno di colori e di luce! Ben, ti prego!
Molly stava piangendo. Ben la fissò sorpreso. Era dunque questo il suo segreto? Lei voleva dipingere? Ben soppresse l'impulso di sorriderle come se fosse una bambina che implorava che le concedessero ciò che era già suo.
Molly vide la sua espressione, l'interpretò correttamente. Si sedette e alzò la testa, appoggiandola al mantello, sullo schienale della sedia. Chiuse gli occhi. — Miriam capisce, e anche le mie sorelle — disse, in tono esausto; il vivace colore delle sue guance svanì, ed ella apparve molto giovane e affaticata. — Ma esse non vogliono lasciarmelo fare.
— Perché no? Che cosa c'è che non va nella pittura?
— Io… a Miriam non piace quello che queste immagini le fanno provare. E così pure non piace alle mie sorelle. Pensano che sia pericoloso. O meglio, è Miriam che lo pensa, ma ben presto tutte le altre saranno d'accordo con lei.
Ben guardò nuovamente la minuscola barca nell'oceano infinito: — Ma tu, devi proprio dipingere queste cose? Non puoi dipingerne altre?
Molly scosse la testa. Teneva ancora gli occhi chiusi. — Se qualcuno avesse il cuore malato, cureresti invece i suoi orecchi perché è più facile? — Aprì gli occhi e lo fissò. Non c'era niente d'ironico nel suo sguardo.
— Ma ne hai parlato a Miriam?
— Ha preso alcuni dei disegni dei fratelli che avevo fatto durante il viaggio. Non le sono piaciuti. Li ha tenuti. Non devo parlarne a lei o alle altre. So che cosa direbbero. Ormai non faccio altro che procurar loro dolore.
Il suo pensiero andò alle sue sorelle insieme ai fratelli Clark, sul tappeto, che ridevano, sorseggiavano il vino ambrato, che accarezzavano i corpi dei ragazzi/uomini. Non era sesso di gruppo, pensò all'improvviso. Erano un solo maschio e una sola femmina scomposti, allo stesso modo in cui il disco della luna si era scomposto sulla superficie del fiume. Le sorelle costituivano un unico organismo femminile; i fratelli Clark costituivano l'organismo maschile; ma quella notte, mentre si abbracciavano, l'organismo femminile non sarebbe stato completamente soddisfatto perché non era completo. Una parte del suo corpo mancava, era mancato da troppo tempo. E la parte mancante, come un arto amputato, causava un dolore fantasma.
— Molly — La voce di Ben suonò dolce. Egli le sfiorò il braccio e lei trasalì. — Vieni con me nella mia stanza. È molto tardi. Tra poco sarà l'alba.
— Oh, non sei obbligato a farlo, se non vuoi — lei rispose. — Ero convinta che non sarei riuscita a dirti tutto questo… per questa ragione sono ritornata indietro, oggi, quand'ero quasi arrivata al tuo studio. Poi, stanotte, ho pensato che dovevo assolutamente dirtelo, perché ho un disperato bisogno di aiuto… Non devi farlo, se non vuoi — ripeté.
Quasi con riluttanza, Ben insisté: — Vieni con me, Molly. Nella mia stanza. Io voglio farlo.
CAPITOLO SEDICESIMO
La neve cadeva in un pigro silenzio; non soffiava un alito di vento, e il cielo sembrava così basso da poterlo toccare. La neve si accumulava sulle superfici orizzontali, sui rami degli alberi, sugli aghi dei pini e degli abeti rossi. Filtrava giù da una fenditura fra una grondaia e il tetto dell'ospedale, erigendo una sorta di muro bianco che ben presto sarebbe crollato sotto il suo stesso peso.
La neve ricopriva il suolo, immacolata, pura, strato dopo strato, cosicché nei punti riparati, dove il sole, nelle sue irregolari apparizioni, non poteva fonderla, o il vento disturbarla, il suo spessore era cresciuto fino a un metro e mezzo, due metri, tre metri, perfino. Sullo sfondo di tanto candore, che sfumava qua e là nel grigio e nell'azzurro, il fiume scorreva, nero, mandando cupi barbagli. Le nuvole erano così fitte che tutta la luce del giorno sembrava irradiarsi dalla neve, una luce diffusa, spenta; in distanza, il manto di neve e il cielo e l'aria sembravano fondersi in un tutto privo di confini.
Sì, un tutto senza confini, pensò Molly. Era accanto alla finestra della sua piccola stanza di lavoro. Dietro di lei un cavalletto aspettava, con sopra un dipinto, ma per lei, adesso, era impossibile concentrarsi su di esso. La neve, la strana luce che s'irradiava dal basso, l'intera scena, lì fuori, l'incantavano.
— Molly!
Ella si girò di scatto. Miriam era lì, sulla soglia, ancora infagottata negli indumenti pesanti, con la neve che le era rimasta rappresa sulle spalle e il cappuccio.
— Ho detto che Meg è rimasta ferita. Non hai sentito?
— Meg ferita? E come? Che cosa è accaduto?
Miriam la fissò per un attimo, poi scosse la testa: — Tu non lo sapevi, vero?
Molly si sentì disorientata, come un'estranea che fosse capitata lì senza capir nulla. Il dipinto le sembrò brutto, sgargiante, privo di significato. Ora riuscì a percepire il dolore e la paura di Meg, e la presenza delle sorelle che le alleviavano l'angoscia. Esse avevano bisogno di lei, questo pensiero le giunse inequivocabile… ma lei non capiva il perché, e Meg tornò a svanire dalla sua mente. — Dov'è? — chiese ugualmente. — Che cosa è accaduto? Vengo con te.