— Non è poi così male — disse Sondra, pochi giorni dopo il risveglio di Molly. — Si prendono cura di noi nel miglior modo possibile. Se ti pungi un dito, arrivano di corsa e ti curano come un bambino. Non è male.
Molly non rispose. Sondra era alta e pesante, al suo sesto mese; i suoi occhi a volte erano vivaci e luminosi, altre volte spenti, apatici. Essi tenevano d'occhio Sondra, pensò Molly, e al minimo segno di depressione o di turbamento emotivo essi cambiavano le dosi e la mantenevano così a un livello costante di funzionalità.
— Non tengono la maggior parte delle nuove venute sotto sedativo così a lungo quanto hanno tenuto te — le disse Sondra, in un'altra occasione. — Immagino che ciò sia dovuto al fatto che la maggior parte di noi aveva soltanto quattordici o quindici anni quando siamo venute qui, mentre tu eri più vecchia.
Molly annuì. Loro erano state bambine, facili da condizionare per farle diventare macchine da riproduzione, anche se in effetti non era poi una vita cosi brutta. Eccetto durante la notte, quando molte di loro piangevano per la mancanza delle loro sorelle.
— Perché vogliono tanti bambini? — chiese Molly. — Noi pensavamo che avrebbero ridotto il numero dei bambini nati da una fecondazione sessuale, invece che aumentarlo.
— Gli servono operai e costruttori di strade e di dighe. Ed esploratori. Hanno un bisogno estremo del materiale che si trova nelle città in rovina, soprattutto sostanze chimiche, credo. Abbiamo sentito che hanno anche aumentato il numero dei cloni per ogni bambino. Così disporranno di un vero e proprio esercito da mandar fuori per costruire le loro strade e controllare il corso dei fiumi.
— Come fai a sapere tante cose di ciò che sta succedendo fuori di qui? Noi pensavamo che vi tenessero molto più isolate.
— Non c'è niente che possa restar segreto, di ciò che vien fatto in questa valle — replicò Sondra, compiaciuta. — Alcune delle ragazze lavorano all'infermeria, altre nelle cucine, e sentono tutto quello che si dice.
— E Mark? Hai saputo niente di lui?
Sondra scrollò le spalle: — Non so nulla di lui — disse. — È un ragazzo come gli altri, m'immagino, soltanto, lui non ha fratelli. Dicono che giri parecchio da solo.
Avrebbe dovuto tenere gli occhi ben aperti, pensò Molly. Presto o tardi, sarebbe riuscita a vederlo oltre la siepe di rose. Ma prima che arrivasse quel giorno, Molly fu convocata nello studio del medico. Questi l'aspettava, seduto alla scrivania.
— Buon pomeriggio, Molly.
— Buon pomeriggio, dottore — rispose lei, e si chiese se era Barry, o Bruce, o Bob…
— Le altre donne ti trattano bene?
— Sì, dottore.
Tutta una serie di domande di questo tipo, seguite da Sì, dottore, oppure No, dottore. Dove mai voleva arrivare?, si chiese Molly, e si fece più guardinga.
— C'è qualcosa che vorresti, o di cui hai bisogno?
— Potrei avere un blocco per schizzi?
Qualcosa cambiò, e lei seppe che quella era la ragione della visita. Lei aveva commesso un errore; forse essi avrebbero voluto condizionarla a non pensare mai più agli schizzi, a non pensare mai più a dipingere… Lei cercò di ricordare che cosa le avevano detto, o fatto. Non le venne in mente nulla. Comunque, non avrebbe dovuto chiederlo, pensò di nuovo. Un errore.
Il dottore aprì il cassetto della scrivania e ne tirò fuori il suo blocco per schizzi e un carboncino. Li spinse verso di lei, sul lato opposto della scrivania.
Disperatamente Molly cercò di ricordare. Che cosa si aspettava, lui? Che cosa avrebbe dovuto fare, lei? Lentamente, Molly allungò la mano verso il blocco e il carboncino; e per un attimo avvertì un tremore nella mano e il suo stomaco ribollì, investito da un'ondata di nausea. Le sensazioni passarono, ma il movimento in avanti della sua mano si era arrestato. Molly fissò la propria mano, e seppe. S'inumidì le labbra e ricominciò a muovere la mano; vi fu un rapido ritorno delle sensazioni di prima, quel tanto da costituire un avvertimento. Poi svanirono. Lei non sollevò lo sguardo verso il dottore, che la stava fissando con estrema attenzione. Ancora una volta Molly s'inumidì le labbra. Ora le sue dita erano vicinissime al blocco. All'improvviso lei ritrasse di scatto la mano, balzò in piedi e si guardò intorno come impazzita, stringendosi lo stomaco con una mano, l'altra premuta contro la bocca.
Fece per precipitarsi verso la porta, ma la voce del dottore la trattenne: — Su, vieni, Molly. Torna a sederti. Ora starai meglio.
Quand'ella tornò a guardare la scrivania, il blocco e il carboncino erano scomparsi. Tornò quindi a sedersi con riluttanza, timorosa di altri scherzi che lui avrebbe potuto averle preparato, timorosa degli inevitabili errori che lei avrebbe compiuto, e poi… un altro anno e mezzo nel limbo?
O addirittura, un'intera vita nel limbo? Non osò guardare il dottore.
Ci furono altre domande, vuote, puramente formali, quindi fu congedata. Quando fece ritorno a piedi nella sua stanza, comprese perché le riproduttrici non cercassero mai di lasciare l'area ad esse riservata, perché non parlavano mai a un clone, anche se erano separate soltanto da una siepe.
Il vento soffiò per tutto il mese di marzo e il suolo fu gonfio d'acqua, con gelide piogge che non smettevano per giorni e giorni. Le piogge di aprile furono più clementi, ma il fiume continuò a crescere durante la maggior parte del mese, man mano l'acqua prodotta dallo scioglimento delle nevi si precipitava giù dalle colline. Maggio agli inizi fu freddo e umido, ma verso la sua metà il sole era caldo, e i lavoranti della fattoria si affaccendavano nei campi.
Molto presto, pensò Molly fissando con sguardo intenso il fianco delle colline, da un punto della zona riservata ai produttori dove nessuno poteva vederla. I cornioli erano in boccio, ma tutta la vegetazione fioriva. Gli alberi erano ricoperti da folti mantelli di un vivido verde e il suolo rapidamente perdeva la sua consistenza di una spugna impregnata d'acqua. Molto presto, ripeté Molly fra sé, e rientrò, riprendendo il suo posto alla macchina per cucire.
Tre volte aveva attraversato l'area abitata della valle. La prima volta, aveva vomitato con violenza. La seconda, messa sull'avviso, aveva lottato contro la nausea e il terrore, ma quand'era passata davanti all'ospedale dei cloni era quasi svenuta. La terza volta, tutte queste reazioni erano state molto meno intense, ed erano durate pochi istanti, niente più che non un fugace ricordo.
Forse altre reazioni, anche più violente, l'aspettavano quando fosse passata davanti alla casa dei Sumner, pensò; ma ora lei sapeva che era possibile opporsi ai riflessi condizionati, lottare e non cedere. Molto presto, pensò nuovamente, ostinata, curva sul suo lavoro di cucito.
Quattro volte l'avevano messa nel reparto dell'ospedale destinato alle riproduttrici, installando un misuratore di precisione per la temperatura. E quando la temperatura era quella giusta, subito compariva l'infermiera con un vassoio, e le diceva, con voce allegra: — Proviamo di nuovo, vuoi, Molly?
E Molly, obbediente, apriva le gambe e rimaneva immobile mentre lo sperma le veniva iniettato con quello strumento luccicante e gelido. — Ora, ricorda di non muoverti per un po' — diceva l'infermiera, sempre allegra, vivace, e la lasciava lì distesa, immobile, sulla stretta branda. Due ore più tardi le permettevano di vestirsi e di andarsene. Quattro volte, pensò lei amaramente. Una cosa, un oggetto, premi questo pulsante, e di qui uscirà quest'altro. Tutto perfettamente previsto, al millimetro.
Ella scivolò via dal quartiere delle riproduttrici una notte buia, senza luna. Portava con sé una grande borsa per la biancheria che aveva riempito lentamente, segretamente, per tre mesi. Nessuno era sveglio, non c'era nessun pericolo nella valle, forse non c'era un solo pericolo in tutto il mondo. Ma egualmente lei si affrettò, evitando la strada battuta, camminando sull'erba che avrebbe attutito i rumori. La fitta vegetazione che circondava la casa dei Sumner creava una macchia d'oscurità che era come un buco nello spazio, una voragine che avrebbe inghiottito qualunque cosa avesse osato avvicinarsi troppo. Molly esitò, poi avanzò a tentoni fra alberi e cespugli, finché non ebbe raggiunto la casa.