Aveva ancora due ore prima dell'alba, e un'altra ora, o giù di lì, prima di essere scoperta. Lasciò la pesante borsa sulla veranda, poi girò intorno alla casa fino alla porta sul retro, che si aprì soltanto a sfiorarla. Non accadde nulla quando entrò, e Molly sospirò di sollievo. Ma d'altronde, nessuno si sarebbe mai aspettato che riuscisse ad arrivare così lontano. Ella salì a tentoni le scale fino alla sua vecchia stanza; è tale e quale l'ho lasciata, pensò sulle prime. Ma c'era qualcosa di cambiato, in realtà, di sbagliato. Era troppo buio per riuscire a distinguere qualcosa, ma la sensazione di una diversità persisteva; Molly trovò il letto e si sedette ad aspettare che sorgesse l'alba, così da poter vedere la stanza… e i suoi dipinti.
Quando riuscì a vedere, restò a bocca aperta. Qualcuno aveva sparso qua e là i suoi dipinti, li aveva messi in piedi tutto intorno, alle pareti, sulle sedie, sul vecchio scrittoio che lei non aveva mai usato. Poi entrò nell'altra stanza, che aveva usato come studio per dipingere, e qui, sulla panca che Mark aveva usato, anni prima, per i suoi primi esperimenti con la creta, invece della mezza dozzina di rosse figure che aveva plasmato, c'erano dozzine di oggetti di creta, vasi, teste, animali, pesci, un piede, due mani… Molly si sentì mancare; si appoggiò contro lo stipite e pianse.
La stanza era ormai piena di luce quando lei si staccò dalla porta. Aveva tardato troppo; ora avrebbe dovuto affrettarsi. Corse giù per le scale e fuori dalla casa, afferrò la borsa e cominciò a risalire la collina. Quando giunse a una settantina di metri di quota, si fermò e cominciò a cercare il punto che lei e Mark avevano trovato, un giorno: un angolo riparato dietro un cespuglio di more. Da lassù lei poteva vedere la casa ma nessuno avrebbe potuto scorgerla, da sotto. I cespugli erano cresciuti, e il luogo era ancora più riparato di quanto lei ricordasse. Quando Molly finalmente lo trovò, si lasciò cadere al suolo con un sospiro di sollievo. Il sole era alto. Ormai sapevano che lei era fuggita. Fra poco alcuni di loro sarebbero venuti a dare un'occhiata alla casa dei Sumner, non perché si aspettassero di trovarla nascosta là dentro, ma perché erano gente scrupolosa.
Giunsero, infatti, prima di mezzogiorno, passarono un'ora a cercare dentro casa e nel cortile, poi se ne andarono. Probabilmente adesso lei avrebbe potuto ritornare laggiù in tutta sicurezza, ma non si mosse dal suo nascondiglio sulla collina. Ed essi, infatti, ritornarono poco prima dell'oscurità e sprecarono dell'altro tempo a esplorare e a frugare le stesse parti che avevano ispezionato prima. Ora sì, lei sapeva che sarebbe stato assolutamente sicuro scender giù nella casa. Essi non uscivano mai quando l'oscurità era calata completamente, e perciò non avrebbero assolutamente ritenuto possibile che lei si aggirasse nel buio da sola. Lei si alzò in piedi, sgranchendosi le gambe e la schiena. Il terreno, in quel punto riparato dal sole, era impregnato d'umidità.
Molly si distese sul letto. Sapeva che l'avrebbe sentito comunque, quando fosse entrato in casa, ma non riuscì ugualmente a dormire; sprofondò a metà di una sonnolenza costellata di lontani ricordi: Ben che giaceva con lei; Ben seduto davanti al fuoco che sorseggiava il tè roseo e fragrante; Ben che guardava i suoi dipinti e impallidiva… Mark che saliva i gradini quattro a quattro, sgambettando alla brava, un fiero cipiglio sul volto. Mark accucciato che osservava attentamente una fronda di felce ancora arrotolata stretta stretta all'estremità, studiandola con tale intensità da dar l'impressione di volerla obbligare a srotolarsi con la sua pura forza di volontà. Mark, le mani grassocce sporche di terra, tutto schizzato d'acqua, che scavava la creta, la lisciava, tornava a scavarla, fissandola con la fronte corrugata, dimentico della sua presenza…
Molly si rizzò a sedere di scatto, completamente sveglia. Egli era entrato nella casa. Sentì il leggero scricchiolio delle scale sotto i suoi piedi. Mark si arrestò, tendendo l'orecchio. Doveva aver percepito la sua presenza lassù, lei pensò, e il suo cuore accelerò i battiti. Molly andò fino alla porta, in attesa.
Mark aveva in mano una candela. Per un attimo non la vide. Mise giù la candela sul tavolo, e soltanto allora si guardò intorno con cautela.
— Mark! — bisbigliò Molly. — Mark!
Il volto di Mark era in piena luce. Il volto di Ben, pensò lei, con qualcosa del suo. Poi quel volto si contorse, e quando Molly fece un passo verso di lui, Mark fece un balzo indietro.
— Mark? — fece lei di nuovo, in tono interrogativo, mentre una mano gelida, spietata, le stringeva il cuore, rendendole il respiro doloroso. Che cosa gli avevano fatto? Avanzò di un altro passo.
— Perché sei venuta qui? — gridò lui all'improvviso. — Questa è la mia stanza! Perché sei tornata? Ti odio! — La sua voce era diventata un urlo.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
La gelida mano le strinse il cuore con forza ancora maggiore. Molly cercò lo stipite alle sue spalle e vi si aggrappò, disperatamente. — Ma perché tu vieni qui? — gli chiese, in un sussurro. — Perché?
— È tutta colpa tua! Hai guastato tutto. Essi ridono di me e mi chiudono a chiave…
— Ma continui a venire qui. Perché?
All'improvviso lui si lanciò verso il tavolo da lavoro e spazzò via tutto. L'elefante, la testa, il piede, le mani, ogni cosa andò a frantumarsi sul pavimento ed egli prese a calpestare selvaggiamente i frammenti, singhiozzando, gridando suoni che erano parole. Molly non si mosse. Quell'impeto di furore cessò con la stessa subitanea rapidità con cui era nato. Mark fissò la polvere grigia, i pochi frammenti rimasti.
— Ti dirò io perché ritorni qui — gli disse Molly, con calma, pur continuando a tenersi aggrappata con forza allo stipite. — Ti puniscono rinchiudendoti nella tua stanzetta, non è vero? E la cosa non ti spaventa. Nella stanzetta riesci ad ascoltare te stesso, non è vero? Con l'occhio della tua mente tu vedi la creta, e ciò che con essa plasmerai. Tu vedi emergere la forma, ed è quasi come se tu, semplicemente, ti limitassi a liberarla, permettendole di nascere. L'altro io che ti parla sa qual è la forma nella creta. Te lo dice tramite le tue mani, nei sogni, nelle immagini che soltanto tu puoi vedere. Ed essi ti dicono che tutto questo è insano, cattivo, oppure che è una grave disobbedienza da parte tua. Non è vero?
Adesso lui la stava guardando fissamente. — Non è vero? — lei ripeté. Mark annuì leggermente col capo.
— Mark, essi non capiranno mai. Essi non possono sentire quell'altro io che bisbiglia… che bisbiglia sempre. Non riescono a vedere le immagini. Non riusciranno mai a udire, a intravedere l'altro io. I fratelli e le sorelle lo schiacciano, lo soffocano. Il bisbiglio diventa più debole, le immagini più vaghe, e finiscono per scomparire, quando l'altro io si arrende, e forse muore. — Tacque e lo guardò, poi riprese, in tono sommesso: — Tu vieni qui, perché, qui, tu riesci a trovare quell'io. E questo è più importante di qualunque altra cosa possano darti, o toglierti.
Mark guardò per terra, alla strage che aveva fatto, e si asciugò il viso col braccio. — Madre — disse, e si fermò.
Ora Molly si mosse. In qualche modo gli fu vicina prima che lui potesse riprendere a parlare, lo strinse a sé con forza, e lui le restituì l'abbraccio, ed entrambi piansero.
— Mi dispiace di aver distrutto tutto.
— Ne farai altri.
— Volevo mostrarteli.