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Mark si scostò dal primo giaciglio, si avvicinò al secondo, e ancora una volta indugiò per accertarsi che il ragazzo fosse profondamente addormentato. A lui dipinse sulla guancia il numero 2.

Qualche istante dopo, lasciò la stanza e si affrettò ad entrare in quella vicina. Qui ripeté il procedimento. Se il ragazzo dormiva sullo stomaco, il volto affondato sul cuscino, Mark gli dipingeva il numero sulla mano o sul braccio. Poco prima dell'alba, Mark rimise il tappo alla bottiglia d'inchiostro e raggiunse furtivamente la propria stanza, un cubicolo grande appena quanto bastava a contenere la sua branda e alcuni scaffali sopra di essa. Mark depositò la bottiglia d'inchiostro su uno degli scaffali, senza alcun tentativo di nasconderla. Poi si sedette a gambe incrociate sul letto e attese.

Era un ragazzo di corporatura snella, con un'abbondante capigliatura scura che faceva sembrare la sua testa fin troppo larga, anche se non sgradevole all'aspetto. L'unica caratteristica sorprendente in lui erano i suoi occhi, un azzurro di una intensità e profondità indimenticabili, per chi l'avesse scrutato da vicino. Mark restò dunque seduto pazientemente, un lieve sorriso sulle labbra che si faceva più intenso, per poi svanire lentamente, e formarsi di nuovo. La luce, fuori dalla finestra, comparve sotto forma di un debole bagliore grigio, che andò rischiarandosi: era primavera e l'aria aveva una luminosità più vivida che nelle altre stagioni.

Delle voci giunsero fino a lui, e il suo sorriso decisamente si allargò. Le voci erano alte e rabbiose. Mark cominciò a ridere, e continuò fin quasi ad essere afferrato dalle convulsioni, e così lo trovarono i cinque ragazzi che, spalancata la porta, entrarono nella sua stanza. C'era così poco spazio che dovettero allinearsi a stretto contatto di gomito sul fianco della sua branda.

— Buon giorno, Uno, Due, Tre, Quattro, Cinque — disse Mark, mentre un nuovo accesso d'ilarità soffocava le sue parole. I cinque ragazzi diventarono rossi di collera, e Mark si piegò in due dal gran ridere, incapace di trattenersi.

— Dov'è? — chiese Miriam. Era entrata nella sala delle riunioni, fermandosi accanto alla porta.

Barry era a capotavola. — Siediti, Miriam — disse. — Sai che cosa ha fatto?

Miriam si sedette all'altra estremità del lungo tavolo e annuì: — Chi non lo sa? È sulla bocca di tutti, si parla soltanto di quello. — Diede un'occhiata agli altri. Erano presenti i dottori, e poi Thomas, Lawrence, Sarah… una seduta del gran consiglio al completo.

— Lui ha detto niente? — chiese.

Thomas scrollò le spalle: — Non lo ha negato.

— Ha detto perché l'ha fatto?

— Per poterli distinguere — dichiarò Barry.

Per un breve istante a Miriam parve di avvertire una sfumatura divertita nella sua voce, ma niente di simile traspariva dall'espressione del suo viso. Miriam aveva i nervi tesi per la collera, come se in qualche modo ella potesse essere considerata responsabile del ragazzo, del suo comportamento aberrante. Non era disposta ad accettare una cosa del genere, pensò rabbiosamente. Si sporse in avanti, le mani premute sulla superficie del tavolo, e chiese: — Che cosa avete intenzione di fare? Perché non lo sottoponete a un rigido controllo?

— Questa riunione è stata indetta appunto per discuterne — disse Barry. — Hai qualche suggerimento?

Miriam scosse la testa, ancora incollerita, e tutt'altro che soddisfatta. Non avrebbe neppure dovuto trovarsi lì, pensò. Il ragazzo non era nulla per lei; aveva evitato ogni contatto con lui fin dall'inizio. Invitandola a quella riunione, essi avevano creato un legame che nella realtà non esisteva. Scosse ancora una volta la testa e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, come per separare se stessa da quel dibattito.

— Dobbiamo punirlo — disse Lawrence, dopo un attimo di silenzio. — Il solo problema è come farlo.

Come? Si chiese Barry. Non con l'isolamento: Mark ci prosperava, lo cercava ad ogni occasione. Non con lavoro extra: non aveva ancora espiato del tutto la precedente «impresa». Tre mesi prima, infatti, era entrato nelle stanze delle ragazze e aveva rimescolato con tanta diabolica abilità nastri e cinture che nessun gruppo si era più ritrovato con due oggetti dell'identica foggia e colore. C'erano volute ore per rimettere ogni cosa al suo posto; questa volta ci sarebbero volute settimane prima che quel diabolico inchiostro sparisse.

Lawrence tornò a parlare, in tono preoccupato e con un lieve cipiglio: — Dobbiamo ammettere di aver commesso un errore. Non c'è posto per lui fra noi. I ragazzi della sua età lo respingono. Non ha amici. È capriccioso e caparbio, brillante e sciocco a seconda dei momenti. Abbiamo commesso un errore, con lui. Adesso i suoi scherzi sono ancora l'espressione di una mentalità infantile, ma fra cinque anni? Fra dieci anni? Che cosa dovremo aspettarci da lui in futuro? — Aveva rivolto tutte queste domande a Barry.

— Fra cinque anni sarà sul fiume, come sai. Il nostro impegno di tenerlo a freno, anche se difficile, non durerà troppo a lungo.

Sarah si agitò leggermente sulla sedia, e Barry si voltò verso di lei. — Abbiamo scoperto che, isolandolo, non si pente di ciò che ha fatto — disse Sarah. — È intrinseco della sua natura essere un isolato, perciò la miglior punizione, per lui, sarebbe quella di non concedergli quella solitudine alla quale tiene tanto.

Barry scosse la testa: — Ne abbiamo già discusso — replicò. — Non sarebbe giusto nei confronti degli altri costringerli ad accettare la sua presenza… la presenza di un estraneo. Egli esercita un effetto disgregante fra ì suoi simili; essi non devono esser puniti insieme a lui.

— Non sono suoi simili — protestò Sarah. — Tu e i tuoi fratelli avete votato di tenerlo qui a scopo di studio, nella speranza di ricavare da lui indicazioni sul modo di addestrare gli altri a sopportare un'esistenza separata. È vostra la responsabilità di averlo accettato fra voi, di lasciare che la sua punizione sia quella di continuare a vivere tra voi, solo per consentire ai vostri occhi di studiarlo, accettando le sue nefandezze. O ammettete, altrimenti, che Lawrence ha ragione, che è stato commesso un errore, e che è meglio correggere l'errore adesso, piuttosto che consentirgli di aggravarsi ancora di più.

— Vorresti punirci per i misfatti del ragazzo? — chiese Bruce.

— Quel ragazzo non sarebbe qui se non fosse stato per te e per i tuoi fratelli — gli rinfacciò Sarah, scandendo le parole. — Se ricordi la nostra prima riunione a causa di Mark, il resto di noi votò che ci sbarazzassimo subito di lui. Noi fin dall'inizio avevamo previsto guai, e furono soltanto le vostre argomentazioni sulla sua possibile utilità che finirono per influenzarci. Se volete tenerlo, allora tenetelo con voi, sotto la vostra diretta responsabilità, lontano dagli altri ragazzi, che sono continuamente offesi da lui e dai suoi scherzi. Mark è un isolato, un'aberrazione, un perenne motivo di disordine. Queste nostre riunioni sono diventate sempre più frequenti per causa dei suoi scherzi sempre più distruttivi. Quante altre ore dovremo passare a discutere del suo comportamento?

— Sai benissimo che tu proponi una cosa impossibile — ribatté Barry, con un moto d'impazienza. — Noi per quasi tutto il tempo siamo nel laboratorio, negli alloggi dei riproduttori, nell'ospedale. Non sono posti, quelli, per un ragazzino di dieci anni.

— Allora sbarazzatevi di lui — esclamò Sarah. A sua volta si lasciò andare contro lo schienale e incrociò le braccia sul petto.