La mattina dopo vide i pesci. Muovendosi cautamente, aprì lo zaino e trovò la rete che si era confezionato l'inverno precedente, suscitando l'ilarità degli altri ragazzi. La rete era ampia un buon metro quadrato e mezzo, e nonostante egli si fosse esercitato a lanciarla nel fiume, lassù nella valle, sapeva di essere inesperto nell'usarla… e il suo primo lancio sarebbe stato probabilmente l'unica possibilità che aveva. S'inginocchiò nella canoa, che aveva cominciato ad andare alla deriva non appena lui aveva smesso di usare la pagaia, e attese finché i pesci non nuotarono più vicini. Più vicini, bisbigliò, rivolto ad essi. Più vicini… Poi gettò la rete, e per un attimo la canoa oscillò pericolosamente. Sentì il peso della rete appesantita che cresceva, diede uno strattone e tirò con forza, e cominciò a trascinare a bordo la rete. Restò a bocca aperta quando vide il risultato: tre grossi pesci argentei.
Si accoccolò sui calcagni e studiò i pesci che si dibattevano; per un po' non riuscì a ricollegare le idee, non seppe che cosa avrebbe dovuto fare con essi. Lentamente cominciò a ricordare ciò che aveva letto sul come pulirli, come seccarli al sole, o arrostirli su un fuoco all'aperto…
Sulla riva pulì i tre pesci e li distese al sole su alcune rocce piatte per farli seccare. Restò seduto a guardare l'acqua e si chiese se non vi fossero anche dei crostacei. Uscì di nuovo con la canoa, questa volta tenendosi molto vicino alla riva. Giunse a una roccia semisommersa dove trovò un letto di ostriche, e sul fondo sabbioso della baia intravide altre forme viventi, che scomparvero quando agitò l'acqua. Sul tardo pomeriggio aveva raccolto parecchie ostriche e scovato fuori chili e chili di molluschi. I suoi pesci non erano ancora bene asciutti e lui sapeva che sarebbero andati a male se non avesse escogitato qualcosa. Rifletté, fissando la baia, e si rese conto, con uno sprazzo improvviso, che i banchi di ghiaccio erano la soluzione.
Ancora una volta spinse la canoa in acqua, la manovrò per avvicinarsi a una delle lastre più grandi, per cingerla con la sua corda e rimorchiarla a terra. Intrecciò con rami di pino una cesta bassa e larga, mise i molluschi sul fondo, poi le ostriche, e in cima a tutto il pesce. Poi depositò la cesta sulla lastra di ghiaccio, dai bordi della quale tagliò a colpi di coltello pezzi di ghiaccio con i quali coprì i pesci. Poi si rilassò. Aveva impiegato quasi tutta la giornata a raccogliere il cibo e ad assicurarsi che non si guastasse prima di poterlo mangiare. Ma non gliene importava. Più tardi, quando mangiò pesce arrosto e asparagi selvatici, seppe che mai prima di allora aveva assaggiato qualcosa che fosse buono anche soltanto la metà di quello.
Dal punto in cui si era accampato, il Delaware era una distesa buia circondata da una foresta ancora più buia. Di tanto in tanto l'oscurità era interrotta da una pallida ombra che si spostava senza il più piccolo rumore, come se galleggiasse nell'aria. Lastre di ghiaccio. Il fiume era gonfio d'acque; vicino agli argini, alcuni alberi spuntavano direttamente dall'acqua; potevano essercene altri, completamente sommersi a pochi centimetri di profondità, nuove insidie per la sua canoa, insieme alle rocce e ad altri pericoli finora non identificati.
Mark considerò tutti i rischi di quel fiume nero, ma il suo spirito restò appagato e soddisfatto; la mattina dopo immerse nuovamente la canoa nelle acque del Delaware e puntò verso Filadelfia.
Erano le città a deprimerlo, pensò nuovamente, fissando le grige rovine su entrambi i lati del fiume Schuylkill. In ogni direzione, fin dove riusciva a spingere lo sguardo, c'era lo stesso spettacolo di grige rovine. La città era bruciata, ma non era stata rasa al suolo come Baltimora. Qui, alcuni degli edifici sembravano quasi intatti, ma dovunque persisteva lo stesso grigiore, la stessa laidezza della distruzione. Qui gli alberi avevano ricominciato a crescere, ma erano anch'essi brutti, striminziti, malati.
Qui Mark provò la stessa paura che gli altri avevano detto di provare nella foresta. Qui c'era una presenza, ed era maligna. Si scoprì più volte a guardarsi alle spalle, e continuò ad avanzare remando soltanto a prezzo di uno sforzo di volontà. Ben presto si sarebbe fermato a tracciare alcuni schizzi degli edifici che scorgeva dal fiume. Probabilmente avrebbe dovuto compiere qualche esplorazione a piedi, più che altro simbolica. Vi pensò con riluttanza. Prese a remare più lentamente e scrutò un boschetto: erano piante così deformi e scolorite che era difficile stabilire che tipo di alberi fossero. Decise che doveva trattarsi di pioppi tremoli. Cercò d'immaginare le loro radici che s'infiltravano cercando nutrimento fra il calcestruzzo e il metallo sotto il fondo stradale, soltanto per trovare altro calcestruzzo e altro metallo.
Anche a Washington c'erano alberi, pensò, remando con maggior energia per evitare un grosso blocco di ghiaccio dai contorni frastagliati. Quegli alberi avevano avuto un aspetto quasi normale, ma questi… Non raggiungevano la metà della loro dimensione adulta, erano chiaramente deformi, con pochi rami grottescamente contorti. Mark si arrestò di colpo; radiazioni, pensò con un brivido. Quello era l'effetto dell'avvelenamento da radiazioni. Nel cervello gli guizzarono descrizioni e fotografie di altri esemplari di vita animale e vegetale deformati dalla radioattività.
Girò la canoa e tornò indietro in tutta fretta fino al punto in cui lo Schuylkill versava le sue acque nel Delaware. Aveva ancora parecchie ore a disposizione prima che l'oscurità lo costringesse a fermarsi. Per un attimo, esitò, poi mise di nuovo la prua a nord, questa volta facendo molta attenzione, oltre ai banchi vaganti di ghiaccio, alle macchie di vegetazione che manifestavano evidenti deformità.
Passò accanto a un altro ciuffo di piante malaticce e contorte. Attraversò il fiume in diagonale, così da tenersi il più lontano possibile da esse, e continuò a remare.
Filadelfia continuava a scorrergli accanto, interminabilmente, le rovine costituivano uno scenario uniforme. Di tanto in tanto comparivano blocchi di edifici che ancora svettavano verso l'alto, ma ora cominciò a sospettare che ciò fosse dovuto al fatto che quelle aree erano state isolate quand'erano diventate radioattive. Non compì nessuna esplorazione in esse. La maggior parte di quegli immensi edifici erano ridotti agli scheletri delle strutture portanti, ma ce n'erano ancora molti con le mura ancora in piedi, in numero tale da far sì che valesse la pena di organizzare una spedizione, almeno in quelli non contaminati. Questo, però, era un problema che dovevano risolvere Barry o i suoi fratelli più giovani. Continuò ad avanzare. La foresta stava nuovamente prendendo il sopravvento sull'opera dell'uomo: qui gli alberi erano bene sviluppati, folti, lussureggianti; in alcuni punti, dove il fiume si restringeva, i rami verdeggianti si univano sopra di lui, ed era come passare attraverso un tunnel color smeraldo in cui soltanto la sua pagaia immersa nell'acqua produceva rumore, e il resto del mondo tratteneva il fiato in un'immobilità crepuscolare.
Qui c'era un altro enigma, pensò, studiando le sponde del fiume. La corrente era assai rapida, ma l'acqua era bassa e in certi punti le rive s'innalzavano parecchio sopra la sua testa. Era possibile che il fiume fosse stato chiuso parzialmente da una diga; crollata questa, le acque si erano abbassate ed ora lui procedeva sul fondo di un bacino artificiale quasi del tutto svuotato. Sapeva che avrebbe dovuto scoprire la verità prima di ritornare a Washington.
Ogni giorno che passava la temperatura si faceva più fredda; la notte tutto gelava. Dopo Filadelfia, Mark attraversò Trenton e anche qui la vegetazione era contorta e striminzita fra le onnipresenti rovine. Anche se ciò allungò di parecchio il suo percorso, egli attraversò la città senza mai scendere dalla canoa, e non tornò a terra finché i boschi non gli sembrarono nuovamente normali. Poi trascinò la canoa al sicuro in cima a un alto pendio, la assicurò saldamente e s'incamminò verso nord a piedi. Qui il Delaware curvava ad ovest e lui era diretto a New York. Quel pomeriggio cominciò a piovere. Ora Mark contrassegnò il percorso lasciando qua e là incisioni sulla corteccia degli alberi; non voleva perder tempo e faticar troppo a ritrovare la sua canoa al ritorno. Avanzò con passo costante sotto la pioggia sempre più fitta, protetto dal suo grande poncho, che lo copriva dalla testa ai piedi.