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— Se non ci verrai, ti trascinerò fuori da questa piccola e comoda stanza, lontano dai tuoi libri e dalla tua solitudine, e ti rimetterò nella nostra stanza, o all'ospedale, con noi, per tutto il tempo che non sarai a scuola o al lavoro. Mi hai capito?

Mark annuì, ma distolse lo sguardo da Barry. — D'accordo — disse, accigliato.

CAPITOLO VENTISEIESIMO

La festa era già cominciata quando Mark entrò nell'auditorium. Si stava danzando all'estremità opposta della sala, e fra lui e i danzatori c'era un gruppo di ragazze intente a bisbigliare fra loro. Si voltarono a guardarlo, e una di esse lasciò il gruppo. Si udirono alcune risatine, lei fece un gesto alle sorelle, invitandole a smetterla, ma le risatine continuarono.

— Ciao, Mark — disse la ragazza. — Io sono Susan.

Prima che egli si rendesse conto di ciò che lei stava facendo, Susan si era sfilata il braccialetto e stava cercando d'infilarglielo al polso. C'erano sei piccoli cerchietti appesi al braccialetto.

— No — esclamò Mark, con voce soffocata, e si scostò di scatto. — Io… No, mi spiace. — Arretrò d'un passo, e si girò e si allontanò di corsa, e le risatine cominciarono, più forti di prima.

Mark corse fino alla banchina e restò lì a fissare l'acqua nera. Non avrebbe dovuto correr via, si disse. Susan e le sue sorelle avevano diciassette anni, forse anche un po' di più. In una notte gli avrebbero insegnato tutto, pensò amaramente… e lui invece si era voltato ed era fuggito via. La musica crebbe d'intensità: ben presto avrebbero mangiato tutte quelle cose buone, poi si sarebbero allontanati a coppie, a gruppi, tutti, escluso lui, Mark, e i bambini troppo giovani per il gioco del tappeto. Pensò a Susan e alle sue sorelle e prima si sentì avvampare, poi gelare, poi avvampare di nuovo.

— Mark?

S'irrigidì. Non era proprio possibile che l'avessero seguito!, pensò, in preda al panico. Si girò allora di scatto.

— Sono Rose — lei disse, — e non ti darò il mio braccialetto, se non lo vuoi.

Si fece più vicina; Mark le voltò la schiena e finse di essere intento a scrutare qualcosa nel fiume, temendo che lei riuscisse a vederlo nel buio… a vedere il rossore che gli palpitava sul collo, sulle guance. I palmi delle sue mani erano madidi di sudore. Rose, pensò Mark, la sua età, una delle ragazze che aveva addestrato nel bosco. Per lui, arrossire di timidezza davanti a Rose era ben più intollerabile che scappar via da Susan.

— Ho da fare — disse.

— Lo so. Ti ho visto poco fa. D'accordo, non avrebbero dovuto farlo così, non tutte loro assieme. Gli avevamo raccomandato di non farlo.

Mark non rispose, e lei gli si fece accanto. — Non c'è proprio niente da vedere, non è vero?

— No. Potresti prender freddo, qua fuori.

— Anche tu.

— Che cosa vuoi?

— Niente. L'estate prossima sarò abbastanza vecchia per andare a Washington o a Filadelfia.

Mark si girò, rabbiosamente: — Vado nella mia stanza.

— Perché ti ho fatto arrabbiare? Non vuoi che vada a Washington? Non ti piaccio?

— Sì… no. Ora vado.

Lei gli appoggiò una mano sul braccio, e Mark si fermò. Si scoprì incapace di muoversi. — Posso venire con te nella tua stanza? — lei gli chiese, e ora sembrava proprio la ragazza che gli aveva chiesto nel bosco se tutti i funghi erano velenosi, se le creature che vivevano negli alberi gl'insegnavano la strada, per impedirgli di perdersi… se lui davvero poteva diventare invisibile tutte le volte che voleva.

— Torna dalle tue sorelle e ridi di me come ha fatto Susan — lui le disse.

— No — lei bisbigliò. — Mai! E poi, Susan non rideva di te. Avevano paura, per questo erano tutte così nervose. Susan era la più spaventata di tutte, perché era stata prescelta per infilarti il braccialetto. Non ridevano di te.

Mentre parlava, gli lasciò il braccio, poi si allontanò a un passo da lui, poi a un altro. Ora Mark riuscì a vedere la pallida macchia confusa del volto di lei. Rose stava scuotendo la testa mentre parlava.

— Spaventata? Che cosa intendi dire?

— Tu puoi far cose che nessun altro può fare — spiegò lei, parlando sempre con voce sommessa, quasi un sussurro. — Tu puoi fabbricare cose che nessuno ha mai visto, racconti storie che nessuno ha mai sentito, e puoi sparire e viaggiare nel bosco veloce come il vento. Tu non sei come gli altri ragazzi. E neppure come i nostri anziani. Non sei come… nessuno. E sappiamo che non ti piace nessuna di noi, perché non hai mai scelto nessuna con cui dormire.

— Perché mi hai seguito se hai tanta paura di me?

— Non lo so. Ti ho visto correre e… non lo so.

Mark si sentì nuovamente avvampare e riprese a camminare. — Non m'importa se vuoi venire con me — rispose rudemente, senza voltarsi. — Ora andrò nella mia stanza. — Il sangue gli pulsava nelle orecchie al punto che non riuscì a sentire i passi di lei. Camminò in fretta, compiendo un ampio giro intorno all'auditorium, ma sapeva che lei stava correndo per tenergli dietro. Oltrepassò poi l'ospedale, evitando di entrarvi, perché non voleva percorrere i corridoi intensamente illuminati con lei alle calcagna. Giunto all'estremità opposta dell'edificio, egli aprì l'ingresso secondario e guardò dentro prima di entrare. Lasciò andare la porta e raggiunse quasi di corsa la sua stanza, e udì il rapido scalpiccio di lei alle sue spalle.

— Che cosa stai facendo? — gli chiese Rose dalla soglia.

— Metto una coperta davanti alla finestra — lui disse, e la sua voce suonò rabbiosa perfino a lui. — Cosicché nessuno ci possa guardare. Spesso metto una coperta alla finestra.

— Ma perché?

Egli cercò di non guardarla quando discese dalla sedia, ma si scoprì più volte a lanciarle rapide occhiate. Rose stava svolgendo una lunga fascia che le girava intorno al collo, le s'incrociava sui seni e le cingeva parecchie volte la vita. La fascia era violetta, quasi l'identico colore dei suoi occhi. I suoi capelli erano bruno-chiari. Egli ricordò che durante l'estate erano stati biondi. Aveva il naso e le braccia picchiettati di lentiggini.

Finì di togliersi la fascia e ora, con un solo movimento, si sfilò la tunica. Improvvisamente le dita di Mark parvero animarsi da sole, e senza che lui lo volesse, rapidamente gli sfilarono un indumento dopo l'altro.

Più tardi lei disse che doveva andare, e lui disse non ancora, e ambedue si appisolarono abbracciati. Poi lei disse, una volta ancora: — Devo andare. — Lui si svegliò completamente: — Non ancora — esclamò. Quando Mark si svegliò la seconda volta, era mattino e Rose si stava infilando la tunica.

— Devi tornare, Rose — disse Mark. — Stanotte, dopo cena. Tornerai?

— Sì.

— Prometti. Non te ne dimenticherai?

— Non me ne dimenticherò. Lo prometto.

Egli continuò a guardarla mentre si avvolgeva intorno al corpo la fascia, e quando se ne fu andata allungò la mano verso la finestra e strappò via la coperta, cercando Rose là fuori con lo sguardo. Non la vide. Rose doveva aver attraversato l'edificio ed essere uscita dall'altra estremità. Mark si raggomitolò sul letto e tornò ad addormentarsi.

Ora, pensò Mark, lui era felice. Gli incubi erano scomparsi, gli improvvisi accessi di terrore che lui non sapeva spiegarsi avevano cessato di afferrarlo. I misteri avevano ricevuto risposta, e lui ora sapeva che cosa intendevano dire i libri quando parlavano di felicità ritrovata, un premio che si conquistava con la perseveranza. Egli esaminò il mondo con nuovi occhi, e tutto ciò che vide era bello e buono.

All'improvviso, nel mezzo della giornata, Mark si arrestava colto dai più angosciosi terrori, che lei se ne fosse andata, che si fosse smarrita, che fosse caduta nel fiume, non c'era sciagura possibile che non gli balenasse nel cervello. Egli lasciava perdere ciò che stava facendo, e correva da un edificio all'altro, cercandola, non per parlarle, soltanto per vederla, per assicurarsi che stesse bene. Qualche volta la trovava alla mensa insieme alle sue sorelle, e da lontano egli le contava, per poi cercare fra esse quella con quel qualcosa di speciale che la distingueva da tutte le altre.