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— Le mie piccole sorelle Ella non riuscirebbero a riportare un paesaggio su una mappa neanche appendendole per le caviglie e minacciandole di tagliarle a fette centimetro per centimetro finché non l'avranno fatto — replicò Miriam, in tono acido. — È proprio questo che intendo dire. Possono fare soltanto le cose che gli sono state insegnate, e nell'esatto modo in cui gli sono state insegnate.

— Non sapranno disegnare mappe, ma potranno sempre ritornare dove sono già state una volta — replicò Andrew, non cercando più di nascondere il suo scontento per la piega che stava prendendo la riunione. — È tutto quello che vogliamo che facciano. I cloni impiantati penseranno per loro.

— Dunque, se ho ben capito — esclamò Miriam, — cambiando la formula si otterrà soltanto quel nuovo tipo di cloni di cui ci hai parlato.

— Esatto. Ma non possiamo far funzionare contemporaneamente due diverse produzioni, due differenti reti distributive di soluzioni chimiche, trattare due tipi diversi di cloni. Per ora continueremo col metodo finora usato, e nel frattempo lavoreremo a perfezionare sempre più il nuovo, te lo garantisco. Aspetteremo fino a quando i serbatoi saranno vuoti, fra sette mesi, poi effettueremo i cambiamenti. E stiamo elaborando un orario di lavoro per clonare nel modo migliore i membri del consiglio, e chiunque altro sia in grado di svolgere mansioni direttive. Non ci stiamo tuffando precipitosamente in un nuovo procedimento senza considerare ogni aspetto, te lo garantisco, Miriam. Vi terremo tempestivamente informati dei nostri progressi…

In una capanna dal tetto di paglia fittamente intrecciata vicino al mulino Mark era appoggiato su un gomito a guardare la ragazza al suo fianco. Ella aveva la sua età, diciannove anni. — Hai freddo? — le chiese.

La ragazza annuì: — Non potremo continuare a farlo ancora per molto.

— Potresti incontrarmi alla vecchia fattoria — lui le propose.

— Lo sai che non posso.

— Che cosa ti succederà, se oserai superare il confine proibito? Salterà fuori un drago e ti sputerà addosso fuoco e fiamme?

La ragazza scoppiò a ridere.

— Seriamente, che cosa succede? Ci hai mai provato?

Lei non rispose; si rizzò a sedere stringendosi le braccia intorno al corpo nudo. — Ho freddo, sai? Sul serio. Devo vestirmi.

Mark afferrò la tunica della ragazza e la tenne fuori dalla sua portata. — Prima devi dirmi che cosa succede.

Lei cercò di ghermire la tunica, la mancò e gli cadde addosso di traverso, e per un attimo giacquero così, l'una sull'altro. Lui le fece scivolare sul corpo una coperta, e le accarezzò la schiena. — Che cosa succede?

Lei sospirò e si scostò da lui: — L'ho provato una volta — disse. — Volevo tornare a casa dalle mie sorelle. Gridai e gridai, e questo non servì. Potevo vedere le luci e sapevo che esse erano soltanto a poche decine di metri da me. Mi misi a correre, ma cominciai a sentirmi strana, debole. Fui costretta a fermarmi. Ma ero decisa ad arrivare al dormitorio. Allora mi misi a camminare non troppo in fretta, pronta ad afferrarmi a qualunque appiglio se mi fossi sentita svenire. Quando fui più vicina alla linea vietata — è una siepe, sai?, soltanto una siepe di rose, aperta a entrambe le estremità, per cui non è affatto difficile aggirarla — quando fui più vicina, dunque, la sensazione mi afferrò di nuovo e sembrò che tutto si mettesse a girare. Attesi a lungo, ma non cessò. Pensai che se avessi tenuto gli occhi fissi sulla punta dei miei piedi, senza prestare la minima attenzione a nient'altro, sarei riuscita lo stesso a camminare. Ripresi ad avanzare. — Ora giaceva rigida accanto a lui, la sua voce un bisbiglio quasi inudibile quando proseguì: — E cominciai a vomitare. E continuai a vomitare fino a quando non rimase più niente dentro di me, e allora rigurgitai sangue. Credo di aver perduto completamente i sensi. Mi risvegliai nella stanza delle riproduttrici.

Mark le sfiorò una guancia con dolcezza e l'attirò accanto a sé. La ragazza era scossa da un violento tremito. — Shhh, shhh — la calmò Mark. — Va tutto bene. Ora stai bene.

Non c'era nessun muro che le trattenesse, pensò Mark, accarezzandole i capelli. Nessun reticolato le imprigionava, eppure non potevano accostarsi al fiume; non potevano avvicinarsi al mulino più di quanto ella vi fosse vicina adesso; non potevano attraversare la siepe di rose, o entrare nel bosco. Ma Molly l'aveva fatto, pensò lui, risolutamente. E anch'esse ci sarebbero riuscite.

— Devo tornare — ripeté lei, poco dopo. Quell'espressione ossessionata le si era nuovamente dipinta sul volto. Il vuoto, lei l'aveva chiamata. — Tu non sai che cosa vuol dire — riprese, cercando di spiegarsi. — Noi non siamo individui separati, capisci? Le mie sorelle ed io eravamo una cosa sola, un'unica creatura, ed ora io sono un frammento staccato di quella creatura. A volte riesco a dimenticarlo per un po', ma torna sempre, e torna il vuoto. Se tu potessi rivoltarmi come un guanto, vedresti che dentro di me non c'è niente.

— Brenda, prima devo parlarti — disse Mark. — Tu sei qui da quattro anni, non è vero? E hai avuto due gravidanze. Ed è quasi giunto il momento della terza, non è vero?

Lei annuì e s'infilò la tunica.

— Brenda, ascolta, questa volta non sarà come prima. Hanno in progetto di usare le riproduttrici per clonare loro stessi… impiantando dentro di voi cellule clonate. Capisci ciò che intendo dire? — Lei scosse la testa, ma stava ascoltando, attenta.

— Dunque. Hanno cambiato qualcosa nelle sostanze chimiche che usano per i cloni nei contenitori. Ora possono clonare la stessa persona quante volte vogliono, ma ottenendo… un neutro, per così dire. I nuovi cloni non possono pensare da soli; non possono concepire, non possono fecondare, non avranno mai figli propri. E i membri del consiglio hanno paura che in tal modo vadano perdute le loro capacità scientifiche, le specializzazioni, l'abilità di Miriam nel disegnare, ad esempio, la sua memoria eidetica: tutto ciò andrebbe rapidamente perduto, se non si garantiranno la sua conservazione attraverso la clonazione… ma con una tecnica diversa. Per conservare queste qualità, non metteranno questi cloni «superiori», per così dire, nei contenitori, come gli altri, ma useranno le donne fertili come ospiti. Impianteranno nei vostri uteri cloni a gruppi di tre… trigemini. E nel giro di nove mesi avrete tre nuovi Andrew o tre nuove Miriam, o Lawrence, o chiunque altro di loro. Useranno a tale scopo le donne più sane e robuste. E continueranno a usare la fecondazione artificiale per le altre. E quando uno dei figli di queste manifesterà un nuovo talento, di cui essi possano servirsi, si affretteranno a clonarlo parecchie volte, impianteranno i cloni nei vostri corpi, e ne otterranno tanti come lui.

Ora lei lo stava fissando, stupita per tanta veemenza. — Che differenza fa? — chiese. — Se questo è il modo migliore di servire la nostra comunità, allora perché non farlo?

— I nuovi bambini che nasceranno dai contenitori non avranno, invece, neppure un proprio nome — replicò Mark. — Saranno tutti Bennie, o Bonnie, o Annie e così pure i loro cloni e i cloni dei cloni, per tutte le future generazioni.

Brenda si allacciò i sandali senza parlare.

— E tu, quante serie di trigemini pensi che il tuo corpo riuscirà a produrre? Tre? Quattro?

Ma lei non l'ascoltava più.

Mark salì la collina sovrastante la vallata e si sedette su una roccia calcarea a guardare la gente, là sotto, alla fattoria che anno dopo anno si era estesa fino a riempire, con le sue coltivazioni, l'intera valle fin laggiù, alla curva del fiume. Soltanto la vecchia casa era un'oasi di alberi nei campi autunnali, ora deserti e scabri. Il bestiame si stava spostando lentamente verso le stalle e i grandi silos. Un gruppo di ragazzini comparve alla sua vista giocando a qualcosa che richiedeva un gran correre, rotolarsi per terra e correre di nuovo. Venti o anche più bambini giocavano insieme. Egli era troppo lontano per udire le loro voci, ma sapeva che stavano ridendo.