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Sgomento, Svengaard comprese di aver perso la voce. Riuscì soltanto a scuotere la testa.

«Non ha nascosto nulla?» chiese Nourse. «È questo che vuoi dirci?»

Svengaard annuì.

«Non desideriamo farti alcun male, Thei Svengaard,» lo rassicurò Calapine. «Puoi parlare liberamente.»

Svengaard deglutì, si schiarì la gola, disse, «Io… la domanda… non ho visto… nascondere nulla.» Tacque, ma poi ricordò di non aver usato il nome dell’Optimate, e disse, «Calapine,» proprio mentre Nourse iniziava a parlare.

Nourse si interruppe e si accigliò.

Calapine ridacchiò.

Nourse ribatté, «Eppure ci hai detto di aver assistito all’alterazione genetica.»

«Io… non ero al microscopio ogni secondo, come Potter,» disse Svengaard. «Nourse. Io… uh… svolgevo le funzioni da assistente: dare istruzioni all’addetta al computer, azionare il dispensatore di enzimi, e così via.»

«Adesso dicci se avevi stabilito qualche rapporto d’amicizia con l’infermiera addetta al computer,» ordinò Calapine.

«Io… lei ha…» Svengaard si umettò le labbra con la lingua. Ma cosa vogliono da me? «Abbiamo lavorato insieme per molti anni, Calapine, ma non posso affermare che fossimo amici. Lavoravamo insieme, ecco tutto.»

«Hai esaminato l’embrione dopo l’intervento?» chiese Nourse.

Schruille si irrigidì sul suo trono e fissò attentamente Svengaard.

«No, Nourse,» disse il dottore. «I miei compiti erano quelli di assicurarmi che la vasca funzionasse alla perfezione e di controllare i sistemi di supporto vitale.» Respirò profondamente. Forse lo stavano mettendo alla prova… ma quelle domande erano così bizzarre!

«Ora dicci se Potter era tuo amico,» ordinò Calapine.

«È stato uno dei miei insegnanti, Calapine, qualcuno con cui ho lavorato su alcuni delicati problemi di genetica.»

«Ma non fa parte delle persone che frequenti abitualmente,» disse Nourse.

Svengaard scosse il capo. Ancora una volta ebbe l’impressione che l’atmosfera fosse carica di minaccia. Non sapeva cosa aspettarsi; magari il grande globo sarebbe rotolato su di lui, schiacciandolo e riducendo il suo corpo in una miriade di atomi sparsi. Ma no, gli Optimati non agivano in maniera così grossolana. Studiò i tre volti, adesso perfettamente distinguibili attraverso le mutevoli cortine d’energia. Lineamenti sterili, freddi. Svengaard riconosceva il genotipo: avrebbero potuto essere dei normali Steri, se da essi non fosse stata intuibile l’aura di mistero che contraddistingueva tutti gli Optimati. Tra la Gente si mormorava che fossero sterili per scelta, poiché consideravano la procreazione come l’inizio della morte, ma in base agli indizi sul codice genetico che trasparivano dai loro lineamenti, Svengaard poteva affermare con tutta sicurezza che le cose stavano in maniera affatto diversa.

«Perché hai chiamato Potter per risolvere quel particolare problema?» chiese Nourse.

Svengaard inspirò, provò un brivido, disse, «Lui… la configurazione genetica dell’embrione… ne faceva quasi un Optimate. Potter ha operato spesso nel nostro ospedale. Lui… ho piena fiducia in Potter; è un brillante dot… ingegnere genetico.»

«Dicci adesso se sei amico di qualche altro farmacista,» volle sapere Calapine.

«Essi… lavoro con loro quando vengono nel nostro ospedale,» disse Svengaard.

«Calapine,» finì per lui Nourse.

Calapine fu scossa da una risata squillante.

Il volto di Svengaard divenne paonazzo per l’ira. A che razza di prova lo stavano sottoponendo? Perché lo stavano interrogando, prendendosi gioco di lui?

La rabbia gli fece ritrovare l’uso della voce e così replicò, «Io sono soltanto il capo di un dipartimento di ingegneria genetica in un ospedale, Nourse, dunque non sono un tecnico che occupa una posizione elevata. Mi occupo soltanto di interventi che rientrano nella norma. Quando mi trovo di fronte a qualcosa che richiede l’opera di uno specialista, obbedisco alle direttive, e lo chiamo. In questo caso, Potter era lo specialista maggiormente indicato.»

«Era uno degli specialisti,» lo corresse Nourse.

«Uno degli specialisti che ammiro e rispetto,» ribatté Svengaard. Non si curò neppure di aggiungere il nome dell’Optimate.

«Ora di’ se sei arrabbiato,» ordinò Calapine, e ancora una volta Svengaard percepì quel tono musicale nella voce della donna.

«Lo sono.»

«Spiegaci il perché.»

«Per quale motivo sono qui?» chiese Svengaard. «Perché mi state sottoponendo a questo interrogatorio? Ho commesso qualche reato? Verrò punito?»

Nourse si sporse in avanti, puntando le mani sulle ginocchia. «Tu osi rivolgerci delle domande?»

Svengaard fissò l’Optimate. Nonostante il tono, il volto squadrato dell’uomo era atteggiato in un’espressione rassicurante. «Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi,» dichiarò Svengaard. «Qualsiasi cosa. Ma come posso aiutarvi o rispondervi, se non so cosa volete?»

Calapine fece per parlare, ma Nourse la bloccò sollevando una mano.

«Dirtelo rappresenta il nostro più profondo desiderio,» spiegò Nourse. «Ma sicuramente tu sai che noi non possiamo comprenderci veramente. Una ciotola di legno può contenere dell’acido solforico? Abbi fede in noi. Noi abbiamo a cuore il benessere dell’umanità intera.»

Un senso di calore e gratitudine invase Svengaard. Certo che si fidava di loro! Erano il vertice genetico dell’intera razza umana. Poi ricordò a se stesso: Loro sono i potenti che ci amano e si prendono cura di noi.

Svengaard sospirò. «Cosa volete che io faccia?»

«Hai risposto a tutte le nostre domande,» disse Nourse. «E perfino a ciò che non ti abbiamo chiesto.»

«Ora dimenticherai tutto quello che abbiamo detto,» ordinò Calapine. «Non riferirai la nostra conversazione a chicchessia.»

Svengaard si schiarì la gola. «A nessuno… Calapine?»

«A nessuno.»

«Max Allgoood mi ha chiesto di riferirgli…»

«Dovrai rifiutarti,» disse lei. «Non avere timore, Thei. Noi ti proteggeremo.»

«Se è questa la tua volontà, Calapine,» dichiarò Svengaard.

«Non desideriamo che tu ci consideri ingrati, o creda che noi non apprezziamo i tuoi servigi e la tua lealtà,» disse Nourse. «Ci teniamo alla tua buona opinione su di noi, e non vorremmo apparire freddi o insensibili ai tuoi occhi. Sappi che la nostra prima preoccupazione è sempre il benessere della razza umana.»

«Sì, Nourse,» disse Svengaard.

Si trattava di un discorso gratuito e il tono con cui fu pronunciato inquietò Svengaard, ma nondimeno lo aiutò a schiarirsi la mente. Cominciava a capire la loro curiosità, ad intuire i loro sospetti. Che adesso erano diventati anche i suoi. Potter aveva tradito la sua fiducia, non era così? Quel nastro non era stato cancellato per caso. Molto bene… i colpevoli avrebbero pagato.

«Adesso puoi andare,» gli disse Nourse.

«Con la nostra benedizione,» aggiunse Calapine.

Svengaard si inchinò. E si rese conto che Schruille non aveva detto una parola né si era mosso durante l’intero colloquio. Si chiese perché quel particolare all’improvviso lo spaventasse tanto. Quando si girò, gli tremavano le ginocchia; ancora una volta scortato dagli accoliti che agitavano i turiboli fumanti, uscì dalla sala.

La Tuyere rimase ad osservarlo finché la barriera non si abbassò alle spalle di Svengaard.

«Ecco un altro che non sa nulla su ciò che ha ottenuto Potter,» commentò Calapine.

«Sei sicura che Max non lo sappia?» chiese Schruille.

«Assolutamente,» dichiarò lei.

«Allora avremmo dovuto dirlo anche a lui.»

«E rivelargli il modo in cui l’abbiamo saputo?» ribatté Calapine.

«So cosa intendi dire,» disse Schruille. «Uno strumento spuntato è inutile.»

«Svengaard è uno di quelli di cui possiamo fidarci,» disse Nourse.

«Si dice "camminare sul filo del rasoio",» fece notare Schruille. «E quando si cammina sul filo di un rasoio, bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi.»