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Una delle braccia della guida si sollevò, venne puntata verso l’alto. Dalle dita tese, saettarono raggi di luce azzurra. E dove essi terminavano, aeromobili precipitavano dal cielo. L’atmosfera circostante era divenuta un inferno crepitante di ozono, punteggiata da esplosioni, urla, grida rauche.

Potter rimase a fissare quella scena, incapace di muoversi, dimentico delle istruzioni che aveva ricevuto e della sua mano poggiata sulla maniglia.

La guida era ormai bersagliata dal fuoco di risposta. I suoi vestiti si raggrinzirono, svanirono in uno sbuffo di fumo, rivelando un corpo corazzato i cui muscoli dovevano essere stati forgiati in fibre di plasmeld. I raggi mortali continuavano a scaturire dalle mani e dal petto.

Potter scoprì che non poteva più resistere a quello spettacolo. Spalancò la porta, avanzò barcollando nella penombra di un atrio dalle pareti dipinte di giallo. Chiuse la porta mentre un’esplosione scuoteva l’edificio. La porta tremò sui cardini.

Sulla sua sinistra, si spalancò una porta. Un’esile donna bionda e dagli occhi azzurri si fermò a fissarlo. Stranamente Potter si sfrozò di riconoscere le sue caratteristiche genetiche, e fu rassicurato dal tocco d’umanità che esse gli comunicarono. Alle spalle della donna, Potter scorse il centralino.

«Mi fa male la scarpa,» disse allora.

Lei deglutì. «Ognuno ha i suoi problemi.»

«Sono il Dottor Potter,» si presentò lui. «Penso che la mia scorta sia stata appena uccisa.»

La donna si scostò dalla porta, disse, «Entri.»

Potter entrò barcollando in un ufficio in cui erano visibili file e file di scrivanie deserte. La sua mente era sconvolta da ciò che sottintendevano le scene di violenza a cui aveva appena assistito.

La donna lo tirò per un braccio, lo guidò verso un’altra porta. «Da questa parte,» disse. «Dobbiamo passare per i condotti di servizio. È l’unico modo. Questo posto verrà circondato in pochi minuti.».

Potter si fermò, puntando metaforicamente i piedi. Non si era aspettato la violenza. Non aveva saputo cosa aspettarsi, ma di certo non aveva pensato alla violenza.

«Dove stiamo andando?» chiese. «Cosa volete da me?»

«Non lo sa?» replicò la donna.

«Lui… non me l’ha detto.»

«Tutto le verrà spiegato,» affermò lei. «Ma ora si sbrighi.»

«Non mi muoverò neppure di un millimetro finché non me lo dirà,» si impuntò Potter.

La donna pronunciò un’imprecazione volgare. Poi disse, «Se è proprio necessario, allora lo farò. Lei dovrà inserire l’embrione dei Durant nella madre. È l’unico modo in cui possiamo portarlo fuori di qui.»

«Nella madre?»

«Come si faceva nell’antichità,» spiegò lei. «So che è disgustoso, ma è l’unico modo. Ora, però, si sbrighi!»

Potter le permise di trascinarlo oltre la porta.

CAPITOLO UNDICESIMO

Nel Centro di Controllo, il Globo rosso, la Tuyere occupava i troni sul triangolo rotante, considerando una mole immensa di dati, correlando, deducendo, diramando ordini. La porzione di parete curva a disposizione di ciascuno dei membri della Tuyere sottoponeva loro i dati in forme differenti: visivamente, attraverso gli schermi, come funzioni di probabilità in diagrammi matematici, analoghi, piramidi fluttuanti, griglie di dati binari che esprimevano valori relativi, come curve di comportamento calcolate in base a schemi di azione/reazione che apparivano sotto forma di fluenti linee verdi…

Nei quadranti superiori del globo, i sensori video attivati mostravano quanti Optimati stavano seguendo le azioni della Tuyere — quella mattina erano più di mille.

Calapine tormentava l’anello di comando al pollice sinistro, percepiva il fievole ronzio che emetteva mentre lo faceva ruotare e scorrere sulla pelle. Era inquieta, agitata da sentimenti a cui non avrebbe saputo dare un nome. I suoi compiti stavano diventando repellenti, i suoi compagni odiosi. Lì dentro, il tempo perdeva ogni significato, trasformandosi in una confusa teoria di giorni e notti tutte uguali. Tutti i Compagni che aveva conosciuto sembravano fondersi incessantemente in un unico individuo.

«Ho esaminato ancora una volta il nastro della sintesi proteica dell’embrione dei Durant,» disse Nourse. Attraverso il prisma accanto alla sua testa, lanciò una rapida occhiata a Calapine, tamburellò sul bracciolo del trono, con dita inquiete che si muovevano avanti e indietro sul plasmeld scolpito.

«Ci è sfuggito qualcosa, c’è qualcosa a cui non abbiamo pensato,» si burlò di lui Calapine. Guardò Schruille, lo sorprese a strofinarsi le palme sul tessuto dell’abito che gli ricopriva le gambe, un gesto che sembrava tradire un notevole nervosismo.

«Sì, ma ho scoperto di che cosa si tratta,» replicò Nourse.

Un movimento della testa di Schruille attirò l’attenzione di Nourse. Si girò. Per un istante, i due si fissarono attraverso i prismi. Nourse trovò interessante che Schruille avesse un lieve difetto della pelle accanto al naso.

Strano, pensò. Come può uno di noi essere affetto da un difetto simile? Senza dubbio non può trattarsi di uno squilibrio enzimico.

«Be’, e quale sarebbe?» chiese Schruille.

«Hai un leggero difetto della pelle vicino al naso,» rispose Nourse.

«E questo l’hai dedotto dal nastro che riguarda l’embrione?» gli chiese ironicamente Calapine.

«Eh? Oh… no, ovviamente no.»

«Allora cos’hai scoperto?»

«Sì. Bene… adesso mi sembra piuttosto ovvio che l’operazione compiuta da Potter potrebbe essere replicata… dato quel tipo di embrione e una corretta somministrazione di protamina spermatica.»

Schruille rabbrividì.

«Hai dedotto l’intero corso dell’operazione?» volle sapere Calapine.

«Non nei minimi particolari, ma me ne sono fatto un’idea generale.»

«Potter potrebbe ripeterla?» chiese allora lei.

«Probabilmente ci riuscirebbe perfino Svengaard.»

«Ci scampi e liberi,» mormorò Calapine. Si trattava di una formula rituale le cui parole raramente attiravano l’attenzione cosciente di un Optimate, ma questa volta Calapine sentì distintamente se stessa pronunciarla, specialmente la parola "scampi", che parve scolpirsi a lettere di fuoco nella sua mente.

Fece ruotare il suo trono.

«Dov’è Max?» chiese Schruille.

Il tono lamentoso della voce dell’altro strappò un sorriso ironico dalle labbra di Nourse.

«Max sta lavorando,» rispose. «In questo momento è molto occupato.»

Schruille sollevò lo sguardo verso i sensori video, pensando a tutti i suoi pari che li stavano osservando: i Decisionisti, che vedevano in quella situazione una nuova occasione per applicare i loro talenti, senza rendersi conto di quale violenza potesse scatenarsi; gli Emotivi, pieni di timore e inclini all’autocommiserazione, resi quasi del tutto incapaci d’agire dal senso di colpa; i Cinici, interessati dalla novità del gioco (Schruille sapeva che la maggior parte degli osservatori erano Cinici); gli Edonisti, infuriati dall’attuale emergenza, e preoccupati poiché una situazione simile interferiva con i loro divertimenti; ed infine gli Effeti, che in tutte quelle novità non vedevano altro che qualcosa su cui riversare il loro sarcasmo.

Adesso sorgerà una nuova fazione? si chiese Schruille. Sarà quella dei Brutali, la cui sensibilità verrà completamente cancellata dalle necessità dell’auto-conservazione? Nourse e Calapine non hanno ancora considerato questo problema.

Rabbrividì ancora una volta.

«Max ci sta chiamando,» annunciò Calapine. «Ce l’ho sul mio schermo di accettazione.»

Schruille e Nourse attivarono i loro ripetitori e fissarono la figura solida e massiccia di Allgood.

«Sono pronto a fare il mio rapporto,» annunciò Allgood.

Calapine scrutò il volto del capo della Sicurezza. Allgood appariva distratto, timoroso.