«Calapine intende dire una votazione generale,» spiegò Schruille. Diede un’occhiata ai sensori video. «Ovviamente abbiamo il numero legale.»
Nourse fissò gli indicatori, sapendo di essere in trappola. Non avrebbe osato respingere la proposta di una votazione generale — o di una qualunque votazione — e i suoi due compagni sembravano così sicuri di se stessi. Ma questa è proprio una di quelle cose.
«Abbiamo permesso ai Cyborg di interferire,» disse Nourse, «poiché le loro manovre aumentavano la percentuale di embrioni fertili nel genoma. Lo abbiamo fatto soltanto per distruggerlo?»
Schruille indicò una fila di ologrammi sulla parete del Globo. «Certo, se siamo in pericolo. Ma la vera questione è l’esistenza di individui fertili non registrati, il fatto che probabilmente siano immuni al gas contraccettivo. In quale altro modo avrebbero potuto produrre l’embrione che è stato sostituito a quello dei Durant?»
«In fin dei conti, non abbiamo bisogno di nessuno di loro,» disse Calapine.
«Vuoi distruggerli tutti?» si stupì Nourse. «Tutta la Gente?»
«Sì, per poi allevare una nuova generazione di cloni,» ribatté lei. «E perché no?»
«I cloni non sempre sono di buona qualità,» obiettò Nourse.
«Il nostro potere non ha limiti,» gli ricordò Schruille.
«Il nostro sole non brillerà all’infinito,» replicò Nourse.
«Ci occuperemo del problema a tempo debito,» stabilì Calapine. «Quale ostacolo non possiamo affrontare? Non siamo limitati dal tempo.»
«Eppure siamo sterili,» commentò amaramente Nourse. «I nostri gameti rifiutano di unirsi.»
«Per quanto riguarda me, fanno benissimo,» ribatté Schruille.
«Adesso si tratta di indire una semplice votazione,» disse Calapine. «La questione è semplicemente se dobbiamo catturare e portare qui una piccola banda di criminali. Perché dunque discutere su questioni tanto grandi?»
Nourse fece per parlare, poi ci ripensò. Scosse il capo, fece correre lo sguardo da Calapine a Schruille.
«Ebbene?» chiese quest’ultimo.
«Io penso che il vero problema sia questo piccolo gruppo,» disse Nourse. «Un bioingegnere Steri, due Cyborg e due Fertili.»
«E Durant era pronto a uccidere lo Sterile,» commentò Schruille.
«No,» ribatté Calapine. «Non avrebbe ucciso nessuno.» Improvvisamente, scoprì di essere interessata dal ragionamento di Nourse. Dopo tutto, erano state proprio le sue capacità di ragionamento e la sua logica che l’avevano sempre attratta.
Schruille, vedendola esitare, esclamò: «Calapine!»
«Abbiamo tutti notato l’emozione di Durant,» disse Nourse. Con un gesto, indicò la parete piena di strumenti davanti a lui. «Non avrebbe ucciso nessuno. Stava… istruendo Svengaard, gli stava parlando con la pressione delle mani.»
«Come fa con sua moglie,» disse Calapine. «Ma certo!»
«Tu sostieni che dovremmo far sviluppare una nuova serie di cloni,» disse Nourse. «E da dove prenderemo il materiale genetico? Dagli abitanti di Seatac, forse?»
«Potremmo prendere per prime delle cellule pilota,» propose Schruille, e si chiese come mai fosse stato costretto a mettersi sulla difensiva così improvvisamente. «Io dico di mettere ai voti la proposta. O li portiamo qui per interrogarli a fondo, oppure li distruggiamo.»
«Non ce n’è bisogno,» si arrese Nourse. «Ho cambiato idea. Portateli qui… se ci riuscite.»
«Allora è stabilito,» fece Schruille. Digitò l’ordine su di un bracciolo del trono. «Vedete, è tutto così semplice.»
«Davvero?» commentò ironico Nourse. «E allora perché tutto a un tratto io e Calapine siano diventati tanto riluttanti a usare la violenza? Perché rimpiangiamo i vecchi tempi, quando c’era Max che ci proteggeva da noi stessi?»
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
La Sala del Consiglio non aveva ospitato una simile folla, da quando, trentamila anni prima, si era svolto il dibattito sull’autorizzazione per esperimenti limitati dei Cyborg su individui della loro stessa specie. Gli Optimati occupavano file di banchi in plasmeld, i cui cuscini multicolori provocavano un’iridescenza. Alcuni erano nudi, ma la maggior parte di essi, consci della solennità dell’occasione, erano giunti indossando vestiti di svariate epoche storiche, scelti secondo il capriccio individuale. Si notavano toghe, gonnellini, gonne coperte di trine, perizomi e muu-muu, in una ridda di tessuti e di stili che risalivano fino alla preistoria.
Coloro che non erano riusciti a entrare nella sala, osservavano la scena attraverso mezzo milione di sensori video che luccicavano tutt’intorno le pareti.
Era appena spuntata l’alba, nell’emisfero in cui era ubicata la Centrale, ma nessun Optimate dormiva.
Il Globo di Controllo era stato spostato di lato e i membri della Tuyere occupavano tre scranni all’estremità opposta della sala. I prigionieri erano stati introdotti dagli accoliti in una piattaforma pneumatica. I cinque sedevano sulla piattaforma, immobilizzati all’interno di lastre di plasmeld azzurro che permettevano loro a malapena di respirare.
Quando abbassò lo sguardo su di loro dal suo scranno, Calapine si permise un lieve sorriso, notando le cinque figure imprigionate in maniera tanto crudele. La donna: nei suoi occhi si scorgeva un tale terrore. Il volto di Harvey Durant distorto dall’ira. L’attesa piena di rassegnazione di Glisson e Boumour. Svengaard, invece, aveva l’aria di chi si fosse appena svegliato da un sogno.
Eppure Calapine aveva l’impressione che ci fosse qualcosa che non andava. Non riusciva a comprendere il motivo, ma si sentiva vuota.
Nourse ha ragione, pensò. Questi cinque criminali sono davvero importanti.
Qualche Optimate seduto ai primi banchi aveva portato con sé un carillon, e la sua fievole melodia argentina poteva essere udita al di sopra del costante brusio che riempiva la sala. Il suono sembrò farsi più forte, mentre gli Optimati iniziavano a far silenzio, pieni d’aspettativa. Il carillon si interruppe a metà della melodia.
La sala era sempre più silenziosa.
Nonostante la paura, Lizbeth si guardò intorno. Prima di quel momento, non aveva mai visto un Optimate in carne e ossa, ma solo sugli schermi che trasmettevano comunicazioni di interesse pubblico (Durante la sua vita, la maggior parte delle volte erano comparsi i membri della Tuyere, sebbene alcuni tra la Gente, più vecchi, menzionassero la Triade Kagiss, che aveva preceduto quella attuale). Gli Optimati le sembrarono così diversi, colorati… e così distaccati. Ebbe la terribile impressione che tutto non fosse accaduto per caso, che trovarsi lì, in compagnia degli altri quattro prigionieri, fosse il risultato di un terribile schema ordito dal Fato.
«Sono completamente immobilizzati,» commentò Schruille. «Non c’è nulla da temere.»
«Eppure sono spaventati,» replicò Nourse. E a un tratto si ricordò un episodio che aveva vissuto durante la gioventù. Era stato invitato a casa di un amante delle antichità, un Edonista, che gli aveva mostrato con orgoglio le sue copie in plasmeld di statue ormai scomparse da millenni: un pesce gigantesco, una figura equestre acefala (dalle linee ardite), un monaco la cui testa era coperta da un cappuccio, e un uomo e una donna avvinti in un abbraccio terrorizzato. Comprese che erano stati i volti di Harvey e Lizbeth ad avergli ricordato quell’ultima statua.
In un certo qual modo, sono i nostri genitori, pensò Nourse. Anche noi discendiamo dalla Gente.
Improvvisamente, Calapine comprese che cosa mancava in quella scena. Non c’era un Max. Sapeva che era scomparso, e per un fuggevole istante si chiese che cosa gli fosse accaduto. Forse era troppo vecchio, non serviva più. Il nuovo Max evidentemente non era ancora pronto.
È strano che Max se ne sia andato in questo modo, pensò. Ma le vite della Gente sono effimere quanto tele di ragno. Un giorno sono lì; le vedi. Quello seguente, sono svanite. Devo ricordarmi di chiedere cosa è successo a Max. Ma sapeva che non l’avrebbe mai fatto. La risposta avrebbe potuto implicare una parola disgustosa, un concetto che l’avrebbe nauseata, seppure celato da un pietoso eufemismo.