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«Ma avremo vinto lo stesso,» replicò Glisson.

«Come?» chiese Svengaard. E a voce più alta ripeté, «Come?»

«Potter ha funto da esca, e così abbiamo fatto loro assaporare il gusto della violenza,» spiegò Glisson. «Sapevamo che avrebbero abboccato. Dovevano farlo.»

«Perché?» sussurrò Svengaard.

«Perché abbiamo modificato le condizioni ambientali in cui vivevano,» rispose Glisson. «Piccole cose: un po’ di pressione qua, un inquietante Cyborg là. E abbiamo fatto loro provare il gusto della guerra.»

«Come?» insisté Svengaard. «Come?»

«Istinto,» replicò Glisson. Quella parola fu pronunciata in tono talmente deciso, che fu chiaro che era il risultato di una logica inumana da cui non c’era scampo. «Le guerra, per gli umani, fa parte del loro istinto. La battaglia. La violenza. Ma le menti degli Optimati hanno imparato a controllare quest’istinto — per migliaia di anni. Ah, il prezzo che hanno pagato: stagnazione, apatia, noia. Ora si sono trovati di fronte alla necessità di usare la violenza, ma la loro capacità di adattarsi si è atrofizzata. Di conseguenza, sono sottoposti a squilibri enzimici sempre più gravi, si stanno allontanando sempre più dallo stato di immortalità. Presto moriranno.»

«Guerra?» Svengaard aveva udito le storie su come gli Optimati preservassero la Gente dalla violenza. «Non può essere,» protestò. «Magari si tratta di una malattia sconosciuta o di…»

«Le mie conclusioni sono esatte, fino all’ultimo decimale,» replicò Glisson.

Calapine urlò, «Ma cosa stanno dicendo?»

Aveva udito perfettamente le parole dei prigionieri, ma il loro significato le sfuggiva. Stava pronunciando vere oscenità. La sua mente registrava una parola, poi quella successiva, ma non riusciva a stabilire un legame logico tra esse. Erano soltanto volgarità, della specie peggiore. Scosse Schruille per un braccio. «Cosa stanno dicendo?»

«Tra un istante li interrogheremo e lo sapremo,» rispose Schruille.

«Sì,» disse Calapine. «Voglio la verità.»

«Ma come è possibile?» sussurrò Svengaard. Vedeva una coppia che danzava tra i banchi. Altre coppie si abbracciavano, facevano l’amore. Alla sua destra, due Optimati presero a inveire uno contro l’altro — vicinissimi allo scontro fisico. Svengaard ebbe l’impressione di vedere edifici che crollavano, la terra fendersi e sputare fiamme.

«Li guardi!» incalzò Glisson.

«Ma perché non riescono ad adattarsi a questo… mutamento?» chiese Svengaard.

«La loro capacità di adattamento si è atrofizzata,» ripeté Glisson. «E lei deve rendersi conto che l’adattamento crea esso stesso nuove condizioni di vita, provoca oscillazioni comportamentali sempre più violente. Li guardi! Stanno perdendo il controllo.»

«Fateli tacere!» urlò Calapine. Balzò in piedi, avanzò verso i prigionieri.

Harvey osservò l’Optimate che si avvicinava. Era affascinato e terrorizzato nello stesso tempo. Calapine sembrava aver perso il controllo dei movimenti, di ogni reazione emotiva, tranne la rabbia. I suoi occhi, fissi su Harvey, sprizzavano furore. Un violento tremito le squassava il corpo.

«Tu!» esclamò Calapine, indicando Harvey. «Perché mi fissi così e borbotti? Rispondimi!»

Harvey rimase in silenzio, non a causa della rabbia dell’Optimate, ma per essersi improvvisamente reso conto dell’età di quella donna. Quanti anni aveva vissuto? Trentamila? Quarantamila? Oppure era una degli Optimati originali, e aveva più di ottantamila anni?

«Parla, di’ ciò che vuoi,» gli ingiunse Calapine. «Io, Calapine, te lo ordino. Mostra rispetto e forse sarò misericordiosa.»

Harvey la fissò, ammutolito. Calapine sembrava ignara della baraonda sempre più violenta che si era scatenata nella Sala del Consiglio.

«Durant,» disse Glisson, «deve ricordare che esistono impulsi sotterranei chiamati istinti che dirigono le nostre esistenze come la corrente inesorabile di un fiume. Questo è ciò che chiamiamo cambiamento. Ora ci circonda. Il mutamento è l’unica costante.»

«Ma Calapine sta morendo,» fece notare Harvey.

Quest’ultima non riuscì a comprendere le sue parole, ma fu toccata dalla sfumatura di preoccupazione che percepì nella voce di Durant. Diede un’occhiata al braccialetto che la manteneva in collegamento con gli strumenti del Globo. Preoccupazione! Durant era preoccupato per lei, non per la sua vita o per la sua insignificante compagna!

Si girò, mentre veniva avvolta da una subitanea oscurità, e stramazzò al suolo, con le braccia spalancate verso le file di banchi.

Un risolino crudele sfuggì dalle labbra di Glisson.

«Dobbiamo fare qualcosa per loro,» disse Harvey. «Devono capire cosa stanno infliggendo a loro stessi!»

Improvvisamente, Schruille si riprese, guardò verso la parete opposta della sala, notò che molti dei sensori video, utilizzati dagli Optimati che non erano riusciti ad entrare nella sala, erano spenti. Poi venne allarmato dalla confusione di cui sembravano essere preda i suoi pari. Alcuni degli Optimati stavano andandosene; nel farlo barcollavano, correvano, ridevano…

Ma dovevamo interrogare i prigionieri, pensò Schruille.

Lentamente l’isteria che aveva invaso la sala si impresse sui sensi di Schruille, che guardò Nourse.

Nourse sedeva con gli occhi chiusi, borbottando tra sé e sé. «Olio bollente,» disse poi. «Ma è un sistema troppo rapido. Abbiamo bisogno di una tortura più raffinata, che duri più a lungo.»

Schruille si tese in avanti. «Voglio rivolgere una domanda all’uomo chiamato Harvey Durant.»

«Cosa?» sbottò Nourse. Aprì gli occhi, si sporse in avanti, poi si rilassò.

«La domanda è: cosa sperava di guadagnare dalle sue azioni?» chiese Schruille.

«Molto bene,» approvò Nourse. «Rispondi alla domanda, Harvey Durant.»

Nourse toccò il proprio braccialetto. Il raggio purpureo si avvicinò di un paio di centimetri ai prigionieri.

«Non volevo che moriste,» spiegò Durant. «Assolutamente.»

«Rispondi alla domanda!» latrò Schruille.

Harvey deglutì a vuoto. «Volevo…»

«Volevamo formare una famiglia,» intervenne Lizbeth. Parlò con voce chiara, tranquilla. «Ecco tutto. Volevamo una famiglia.» Iniziò a piangere e si chiese a chi sarebbe assomigliato loro figlio. Senza dubbio nessuno di loro sarebbe sopravvissuto a quella follia.

«Cosa?» si stupì Schruille. «Ma cosa sono queste sciocchezze su una famiglia?»

«Dove avete preso l’altro embrione?» chiese Nourse. «Rispondete e forse ci dimostreremo misericordiosi.» La luce bruciante si avvicinò ancora un po’ ai cinque prigionieri.

«Abbiamo a disposizione degli individui fertili e immuni al gas contraccettivo,» rispose Glisson. «Sono molti.»

«Avete sentito?» esclamò trionfante Schruille. «Ve l’avevo detto.»

«Dove sono?» chiese Nourse. Si accorse che gli tremava la mano destra, la fissò sorpreso.

«Proprio sotto il vostro naso,» replicò Glisson. «Sono mimetizzati tra la popolazione. E non chiedetemi di fornirvi i loro nomi. Non li conosco tutti. Nessuno li conosce.»

«Non ce ne sfuggirà nessuno,» promise Schruille.

«Nessuno!» gli fece eco Nourse.

«Se vi saremo costretti,» annunciò Schruille, «sterilizzeremo tutta la Terra, tranne la Centrale, e ricominceremo da capo.»

«Con che cosa?» ribatté acidamente Glisson.

«Che vuoi dire?» Schruille quasi gridò quella domanda.

«Dove troverete il genoma umano necessario per ricominciare?» chiese Glisson. «Siete sterili, e state per morire.»

«Ci basta di una sola cellula per duplicare l’organismo originale,» gli ricordò Schruille in tono sardonico.

«E allora perché non avete clonato voi stessi?» ribatté Glisson.

«Tu osi rivolgerci delle domande?» trasecolò Nourse.

«Benissimo, allora risponderò io al vostro posto,» disse Glisson. «Avete rinunciato alla clonazione perché è un processo gravido di rischi. I cloni sono instabili, votati all’estinzione.»

Calapine udì soltanto delle parole sconnesse, «Sterili… morire… instabili… estinzione…» Quelle parole terribili si insinuarono nella sua coscienza, occupata a osservare una sfilata di grosse salsicce luminescenti. Erano come semi avvolti da un’aura luminosa che si muovessero contro uno sfondo di velluto di un nero oleoso. Salsicce. Semi. Ma poi li vide non proprio come semi, ma piuttosto come vite incapsulate — avvolte in un bozzolo, protette per affrontare un periodo non favorevole al loro sbocciare. Quel pensiero le rese i semi meno disgustosi. Dopo tutto, erano vita… sempre vita.