«Ma state morendo!»
«Anche voi,» ribatté Calapine.
Svengaard deglutì. Si rendeva conto che l’antica animosità non si sarebbe placata facilmente. E si interrogò su se stesso: un bioingegnere di secondo rango che si era trasformato in un medico che curava coloro che avevano bisogno di lui. Durant aveva ben intuito il suo bisogno che altri avessero bisogno di lui.
«Ho un piano che forse tutti noi potremmo accettare,» affermò Svengaard.
«Io la ascolterò,» rispose Calapine con voce affettuosa. Studiò Svengaard, mentre il medico si sforzava di cercare le parole adatte, ricordando che quell’uomo aveva salvato le vite di Nourse e di molti altri.
Non avevamo fatto alcun piano per questa impensabile eventualità, rifletté. È possibile che questo individuo insignificante, fino a poco tempo fa oggetto della nostra derisione, possa salvarci? Ma non osava sperarlo.
«I Cyborg hanno elaborato tecniche che permettono di tenere sotto controllo le emozioni,» esordì Svengaard. «Una volta che le abbiate imparate, credo di conoscere un modo che permetterà di eliminare gli squilibri enzimici nella maggior parte di voi.»
Calapine deglutì. I sensori video iniziarono a lampeggiare, segno che gli osservatori volevano l’accesso ai canali di comunicazione. Ovviamente desideravano rivolgere delle domande a Svengaard. Anche lei ne aveva, ma non sapeva se sarebbe riuscita a trovare le parole adatte. Colse il riflesso del proprio viso in uno dei prismi, ricordò lo sguardo negli occhi di Lizbeth, quando la donna l’aveva implorata dalla piattaforma.
«Non posso promettervi una vita infinita,» disse Svengaard, «ma credo che molti potranno vivere ancora per molte migliaia di anni.»
«Perché noi Cyborg dovremmo essere d’accordo nell’aiutarli?» chiese Glisson. La sua voce aveva un tono calcolatore, quasi querulo.
«Anche voi rappresentate dei fallimenti!» esclamò Svengaard. «Non lo capisce?» Capì che aveva urlato, spinto dalla sua delusione.
«Non urli in quel modo quando parla con me!» replicò Glisson.
E così anche loro provano delle emozioni, pensò Svengaard. Orgoglio… rabbia…
«Avete ancora l’illusione di controllare la situazione?» domandò Svengaard al Cyborg. Indicò Calapine. «Quella donna lassù potrebbe sterminare ogni non-Optimate della Terra.»
«Ascoltalo, sciocco Cyborg,» intervenne Calapine.
«Non usi troppo la parola "sciocco",» la avvertì Svengaard, fissandola.
«Tenga a freno la lingua, Svengaard,» minacciò Calapine. «La nostra pazienza non è infinita.»
«E neppure la vostra gratitudine lo è, vero?» replicò Svengaard.
Un sorriso amaro sfiorò le labbra di Calapine. «Stiamo discutendo della nostra sopravvivenza,» disse.
Svengaard sospirò. Si chiese se gli schemi mentali creati dall’essere stati immortali avrebbero potuto essere modificati. Calapine aveva parlato come avrebbe fatto il vecchio membro della Tuyere. Ma la sua capacità di adattamento lo aveva già sorpreso altre volte.
Quello scambio di aspre battute aveva risvegliato tutti i timori di Harvey Durant per l’incolumità della moglie. Rivolse uno sguardo furioso su Svengaard e Glisson, tentò di controllare la sua paura, la sua rabbia. Quell’immensa sala gli incuteva soggezione, gli ricordava le scene caotiche che vi erano svolte. Il Globo torreggiava su di lui, una forza mostruosa che avrebbe potuto schiacciarli come insetti.
«Bene, allora parliamo di sopravvivenza,» disse Svengaard.
«Intendiamoci bene,» lo avvertì Calapine. «Tra di noi ci sono alcuni che diranno che il vostro aiuto è semplicemente dovuto. Voi siete ancora nostri prigionieri. Altri pretenderanno che vi sottomettiate e confessiate tutto sull’Associazione Clandestina.»
«Sì, è giusto intendersi alla perfezione,» replicò Svengaard. «Ma chi sono i vostri prigionieri? Io, che non ero un membro dell’Associazione e che so poco su di essa. Avete Glisson, che ne sa molto di più di me, ma di sicuro non è conoscenza di tutto. Boumour, uno dei vostri farmacisti fuggiti, ne sa ancora meno di Glisson. Poi ci sono i Durant, ma loro probabilmente conoscono soltanto la cellula di cui facevano parte, e poco altro. Cosa ci guadagnereste a strapparci con la tortura quel poco che sappiamo?»
«Il suo piano per salvarci,» rispose Calapine.
«Il mio piano richiede cooperazione, non coercizione,» ribatté Svengaard.
«E ci permetterà soltanto di continuare a vivere, e non di ritornare al nostro stato di immortali, non è così?» chiese Calapine.
«Dovreste esserne lieti,» affermò il medico. «Vi darebbe la possibilità di maturare, di dare un senso alle vostre vite.» Con un gesto, indicò la sala. «Qui dentro vi siete rinchiusi in una falsa adolescenza! Vi siete limitati a giocare! Io vi offro la possibilità di vivere!»
È davvero così? si chiese Calapine. Questa nuova percezione della vita è causata dall’essere coscienti che dovremo morire?
«Non sono così sicuro che noi Cyborg coopereremo,» annunciò Glisson.
Harvey ne aveva avuto abbastanza. Balzò in piedi, fissò furioso Glisson. «Tu, robot, vuoi che la razza umana muoia! Proprio tu! Tu, che rappresenti un altro vicolo cieco dell’evoluzione!»
«Stupidaggini!» replicò Glisson.
«Ascoltate,» disse Calapine e fece loro udire frammenti di quello che gli Optimati stavano trasmettendo sui canali di comunicazione. Le voci rimbombarono nella sala: «Possiamo ovviare allo squilibrio enzimico con le nostre sole risorse!»… «Eliminate quelle creature!»… «Qual è il suo piano? Qual è il suo piano?»… «Iniziate la sterilizzazione!»… «…il suo piano?»… «Quanto tempo avremo ancora da vivere se… «Non c’è dubbio sul fatto che possiamo…»
Calapine, premendo un interruttore, interruppe il flusso di voci. «Il suo piano dovrà essere sottoposto al voto di tutti gli Optimati,» disse. «Se lo ricordi, Svengaard.»
«Morirete tutti, e presto, se noi non cooperemo,» ribatté Glisson. «Voglio che questo sia perfettamente chiaro a tutti.»
«Lei conosce il piano di Svengaard?» chiese Calapine.
«Per me, il suo ragionamento è trasparente,» affermò il Cyborg.
«Io penso di no,» disse Calapine. «L’ho visto curare Nourse. Ha manipolato il dispensatore affinché somministrasse un’overdose di aneurina e inostol. Ricordando questo particolare, mi chiedo quanti di noi moriranno nel tentativo di arrestare questo processo che continua nei nostri corpi? Io stessa avrei rischiato di assumere un quantità tale di quelle sostanze? Forse è così che si spiega il senso di euforia che si è impadronito di noi? Dopo aver provato una tale eccitazione, chi di noi vorrà ricadere in uno stato di… noia quasi del tutto priva di emozioni?» Fissò Svengaard. «Queste sono alcune delle domande che volevo farle.»
«Conosco il piano di Svengaard,» ribatté acidamente Glisson. «Mettere sotto controllo le vostre emozioni, e poi impiantare un dispensatore di enzimi nei vostri corpi.» Un lieve sogghigno scoprì una fila di denti sul volto del Cyborg. «È la vostra sola speranza. Ma se accetterete, noi avremo vinto.»
Calapine lo fissò sconvolta.
Harvey fu colpito dal tono meschino e brutale della voce di Glisson. Aveva sempre saputo che i Cyborg erano troppo calcolatori e freddamente logici per poter prendere decisioni puramente umane, ma fino a quel momento non aveva mai avuto una dimostrazione tanto lampante di quella verità.
«È questo il suo piano, Svengaard?» chiese Calapine.
Harvey balzò in piedi. «No! Non lo è!»
Svengaard annuì tra sé e sé. Ma certo! Lui che è umano come me, un padre, ha intuito subito qual è il mio piano.
«Tu affermi di sapere quello che io, un Cyborg, ignoro?» si stupì Glisson.
Svengaard fissò Harvey con espressione interrogativa.
«Gli embrioni,» affermò Harvey.
Svengaard annuì, fissò Calapine. «Io propongo di farvi impiantare in permanenza degli embrioni vivi,» spiegò. «Fungeranno da strumenti di controllo, vi aiuteranno a eliminare i vostri squilibri ormonali. Recupererete le vostre emozioni… l’amore per la vita, l’eccitazione da voi tanto apprezzata.»