«In ospedale lo sanno tutti,» proseguì lei. «La Sicurezza è già stata avvertita. I Durant sono stati controllati, e adesso si trovano nella Sala Cinque, che possiede un collegamento video a circuito chiuso con il laboratorio.»
Potter fu invaso dal furore. «Dannazione! È mai possibile che nessuno in questo stupido posto sappia fare le cose per bene?»
«La prego, Dottore,» ribatté l’infermiera con tono freddo. «Non è il caso di arrabbiarsi in questo modo. I Durant hanno invocato la legge. Questo ci lega le mani e lei lo sa benissimo.»
«Al diavolo quella stupida legge!» imprecò Potter, ma ormai si era calmato. La legge! pensò. Ancora quella pagliacciata. Tuttavia, dovette ammettere che era necessaria. Senza la Legge Pubblica 10927, la gente avrebbe potuto iniziare a porsi le domande sbagliate. E senza dubbio Svengaard aveva fatto del suo meglio per dissuadere i Durant.
Potter abbozzò un sorriso di scusa. «Mi dispiace di essere scattato a quel modo. Ho avuto una settimana pessima.» Sospirò. «Proprio non capiscono.»
«Vuole consultare qualche altro documento, Dottore?» chiese l’infermiera.
Potter si accorse che l’intesa fra loro si era spezzata. «No, grazie,» rispose. Prese la cartellina dei Durant e si avviò verso l’ufficio di Svengaard. La sua solita fortuna: una coppia di osservatori. Questo significava una grossa mole di lavoro extra. Naturalmente!
I Durant non potevano accontentarsi di visionare il nastro dopo l’intervento. Oh, no. Loro dovevano assistere. Ciò implicava che non erano innocenti come sembravano — non importava cosa sostenesse lo staff della Sicurezza dell’ospedale. La gente comune non insisteva più per assistere; si presupponeva che quell’impulso fosse stato eliminato dal loro patrimonio genetico.
Coloro che sfidavano quel condizionamento genetico, ormai molto pochi, avrebbero dovuto essere attentamente sorvegliati.
E poi Potter ricordò a se stesso, Sono stato io a modellare quei due. E non ho commesso errori.
Si imbatté in Svengaard sulla porta dell’ufficio di quest’ultimo, e ascoltò il suo breve riassunto degli avvenimenti. Poi Svengaard iniziò a balbettare sugli accordi che aveva preso con quelli della Sicurezza.
«Non mi importa un fico secco di quello che dicono quelli della vostra Sicurezza,» tuonò Potter. «Abbiamo ricevuto nuove istruzioni. In ogni caso del genere, bisogna avvertire la Sezione Emergenze della Centrale.»
Entrarono nell’ufficio di Svengaard. Le pareti erano ricoperte di pannelli di finto legno — una stanza d’angolo con vista su giardini pensili ricoperti di fiori e terrazze costruite utilizzando l’onnipresente plasmeld trifasico rigenerativo, il "plasty" delle abitazioni della Gente. Nulla doveva invecchiare o consumarsi, in quel mondo che gli Optimati avevano stabilito essere il migliore. Nulla tranne gli esseri umani.
«La Sezione Emergenze della Centrale?» chiese Svengaard.
«Non devono esserci eccezioni,» replicò Potter. Si sedette sulla poltrona di Svengaard, appoggiò i piedi sulla scrivania, e posizionò il videotelefono di un bianco avorio sul proprio stomaco, con lo schermo a pochi centimetri dal volto. Digitò il numero della Sicurezza e il proprio codice di identificazione.
Svengaard sedette dall’altro lato della scrivania, all’apparenza tanto arrabbiato quanto spaventato. «Le dico che sono stati controllati,» insisté. «Su di loro non abbiamo rilevato alcun dispositivo insolito. Non avevano alcunché di anormale.»
«Ma hanno insistito per assistere,» ribatté Potter. Scosse il comunicatore. «Cosa stanno facendo questi imbecilli?»
Svengaard gli ricordò, «Ma la legge…»
«Al diavolo la legge!» esclamò Potter. «Sa bene quanto me che potremmo far passare il segnale video proveniente dal laboratorio attraverso un computer dotato di simulatori ottici, in modo da far vedere ai genitori qualunque cosa vogliamo. Le è mai capitato di chiedersi perché non lo facciamo?»
«Perché… loro… ahh.» Svengaard scosse il capo. Quella domanda l’aveva colto di sorpresa. Perché non agivano in quel modo? Le statistiche dimostravano che un certo numero di genitori avrebbe comunque insistito per assistere e…
«Ci abbiamo provato,» gli rivelò Potter. «E, in qualche modo, i genitori si sono accorti che il nastro era stato manipolato dal computer.»
«Come?»
«Lo ignoriamo.»
«Ma i genitori non sono stati interrogati?»
«Si sono suicidati.»
«Suicidati — e come?»
«Non sappiamo neppure questo.»
Svengaard tentò di deglutire, ma improvvisamente aveva la gola arida. Iniziava ad intuire che la Sicurezza era davvero preoccupata, dietro l’apparente e monolitica facciata di tranquillità. «Ma la percentuale statistica di…»
«Al diavolo le statistiche!» ruggì Potter.
Una voce maschile e autoritaria provenne dal comunicatore: «Con chi sta parlando?»
Potter guardò lo schermo e rispose, «Con Sven. Questo embrione vitale per cui mi ha chiamato…»
«È fertile?»
«Sì! E ha il pieno potenziale, ma i genitori insistono per assistere all’in…»
«Datemi dieci minuti, e vi manderò un’intera squadra, via sotterranea,» disse la voce. «Adesso sono a Friscopolis. Non dovrebbero impiegarci più di una manciata di minuti.»
Svengaard si asciugò le palme sudate sul camice. Non riusciva a vedere il volto sullo schermo, ma la voce sembrava quella di Max Allgood, il capo della Sicurezza.
«Rimanderemo l’intervento fino all’arrivo dei suoi uomini,» disse Potter. «I dati le stanno venendo trasmessi via fax e dovrebbero essere sulla sua scrivania tra pochi minuti. C’è un’altra…»
«Ci ha detto tutto su quell’embrione?» chiese l’uomo. «Qualche difetto?»
«Un mixodema latente, una valvola cardiaca potenzialmente difettosa, ma l’em…»
«Okay, la richiamerò non appena avrò dato un’occhiata ai…»
«Dannazione!» esplose Potter. «Sarà tanto gentile da lasciarmi pronunciare dieci parole di fila senza interrompere?» Fissò infuriato lo schermo. «Qui abbiamo qualcosa più importante dei difetti o dei genitori.» Potter sollevò lo sguardo dal comunicatore, fissò Svengaard, poi guardò di nuovo lo schermo. «Sven mi ha riferito di aver assistito a una modifica esterna dell’arginina.»
Un basso fischio di sorpresa provenne dal comunicatore. «Ne è sicuro?»
«Assolutamente.»
«Ha seguito lo schema degli altri otto?»
Potter guardò Svengaard, il quale annuì.
«Sven sostiene di sì.»
«A loro non piacerà.»
«Non piace neanche a me.»
«Sven ha visto abbastanza… da farsi qualche nuova idea sull’accaduto?»
Svengaard scosse il capo.
«No,» disse Potter.
«Esiste una forte possibilità che non significhi nulla,» ipotizzò l’uomo. «In un sistema di determinismo crescente…»
«Oh, certo,» lo interruppe Potter in tono ironico. «In un sistema di crescente determinismo aumenta in proporzione anche l’indeterminazione. E come dire che in un vulvalismo di crescente minniratto…»
«Be’, loro sostengono questo.»
«Così dicono. Da parte mia, io credo che la Natura reagisce con forza ad un’interferenza eccessiva.»
Potter fissò lo schermo. Per qualche motivo, stava ricordando la sua giovinezza, l’inizio dei suoi studi in medicina, e il giorno in cui aveva imparato quanto vicino fosse stato il proprio genotipo a quello degli Optimati. Scoprì che il vecchio nucleo d’odio si era trasformato in tolleranza leggermente divertita e in cinismo.
«Non capisco come facciano loro a tollerarla,» si stupì il suo interlocutore.
«Perché io ero molto vicino,» sussurrò Potter. Si chiese quanto vicino sarebbe stato l’embrione dei Durant. Farò del mio meglio, si ripromise.
L’altro si schiarì la gola, disse, «Bene, conto su di lei affinché svolga il suo compito alla perfezione. L’embrione dovrebbe fornire una verifica decisiva dell’intervento est…»