Potter assisteva con trepidazione a quella lotta dall’esito incerto. La morula era vicinissima alla morte. Nei minuti seguenti avrebbe potuto sopravvivere o soccombere. Oppure venire menomata. Cose del genere succedevano. Quando il danno subito era troppo grave, la vasca veniva spenta, e il suo contenuto gettato via. Ma Potter ormai si era identificato con quell’embrione. Sentiva di non poterlo perdere.
«Desensibilizzatore mutagene,» disse.
Svengaard esitò. Il ciclo di Krebs seguiva una lenta curva sinuosidale che tendeva pericolosamente a valori a cui l’embrione sarebbe morto. Sapeva perché Potter aveva preso quella decisione, ma bisognava anche tener conto che quella decisione avrebbe potuto generare nell’embrione una tendenza a contrarre tumori. Si chiese se avrebbe dovuto tentare di persuadere Potter a desistere. Meno di quattro punti dividevano l’embrione dalla dissoluzione finale, dal nulla della morte. La somministrazione di mutageni poteva provocare una crescita rapidissima oppure distruggerlo. E anche se i mutageni avessero funzionato, l’embrione sarebbe stato vulnerabile a processi cancerosi.
«Desensibilizzatore mutagene!» ripeté Potter.
«Dosaggio?» chiese Svengaard.
«Mezzo minimo in frazioni. Ci penserò io a somministrarlo.»
Svengaard premette i tasti dell’apparecchio dispensatore, gli occhi fissi sul monitor che gli forniva i dati sul ciclo di Krebs. Non aveva mai udito che un simile, drastico procedimento fosse stato applicato ad un embrione tanto vicino alla morte. Di solito i mutageni venivano usati per embrioni parzialmente difettosi di Steri, una mossa che talvolta produceva effetti drammatici. Era come scuotere un secchio pieno di sabbia per pareggiare i grani. Eppure, qualche volta, il plasma germinale, stimolato dal mutagene, realizzava da solo un equilibrio migliore. Di tanto in tanto veniva prodotto addirittura qualche embrione fertile… ma mai un Optimate.
Potter ridusse l’ingrandimento, studiò ì movimenti che avvenivano nell’embrione. Premette delicatamente i tasti del dispensatore, poi cercò i segni che rivelavano che l’embrione avrebbe generato un Optimate. L’attività cellulare rimaneva incerta, parzialmente confusa.
«Ciclo di Krebs: ventidue e otto,» disse l’addetta al computer.
È leggermente aumentato, pensò Potter.
«Molto lento,» commentò Svengaard.
Potter continuò ad osservare la morula. Stava crescendo, espandendosi in maniera irregolare, lottando con tutta la forza immagazzinata nel suo microscopico interno.
«Ciclo di Krebs: trenta virgola quattro,» disse Svengaard.
«Sto per cessare la somministrazione di mutageni,» annunciò Potter. Puntò il microscopio su di una cellula periferica, desensibilizzò le nucleoproteine, cercò le configurazioni difettose.
La cellula era perfetta.
Potter si dedicò alle spirali di DNA con un senso crescente di meraviglia.
«Ciclo di Krebs: trentasei e otto, in aumento,» disse Svengaard. «Inizio a somministrare colina e aneurina?»
Potter rispose automaticamente; la sua attenzione era concentrata esclusivamente sulla struttura genetica della cellula. «Sì, inizi.» Completò l’esame, passò ad un’altra cellula periferica.
Era identica.
Un’altra ancora — sempre la stessa cosa.
Lo schema genetico alterato si era mantenuto, ma Potter comprese che si trattava di uno schema quale non si era più visto in un essere umano a partire dal secondo secolo di manipolazione genetica. Pensò di chiedere un confronto, tanto per essere sicuro. Senza dubbio il computer sarebbe stato in grado di fornirglielo. Nessuna registrazione veniva persa o buttata via. Ma non osava… c’era troppo in gioco. E poi sapeva di non aver bisogno del confronto. Quella struttura genetica era un classico, un esempio da manuale che lui aveva fissato quasi quotidianamente, durante tutto il periodo di apprendistato medico.
Lo schema del super-uomo, che aveva spinto Sven a chiamare uno specialista della Centrale, era lì, rafforzato dalla propria opera. Era però strettamente accoppiato a quello di piena fertilità. Le strutture base della longevità erano inscritte nelle configurazioni della struttura genetica.
Se quell’embrione avesse raggiunto la maturità e avesse incontrato una compagna fertile, avrebbe potuto generare bambini vivi e in perfetta salute, senza l’interferenza di un ingegnere genetico. Non aveva bisogno di enzimi per sopravvivere. Senza di essi, avrebbe vissuto una vita dieci volte più lunga di quella media di un essere umano… e con alcune lievi modifiche enzimatiche avrebbe potuto entrare a far parte dei ranghi degli immortali.
L’embrione dei Durant avrebbe potuto dar origine ad un’altra razza — simile a quella degli Optimati, ma sotto alcuni aspetti drammaticamente diversa. La progenie di quell’embrione avrebbe potuto inserirsi nei ritmi della selezione naturale… totalmente al di fuori del controllo degli Optimati.
Era lo schema da cui nessun umano poteva scostarsi troppo e sperare di sopravvivere, e tuttavia era ciò che la Centrale temeva maggiormente.
Durante il corso di studi, ad ogni ingegnere genetico era stata ripetuta continuamente la teoria che la selezione naturale è un’assurdità che condanna le sue vittime a esistenze opache, vuote.
Solo le ragioni degli Optimati, e la loro logica, dovevano effettuare la selezione.
Come se avesse avuto la possibilità di scrutare il futuro, Potter provò la profonda certezza che l’embrione dei Durant, se fosse maturato, avrebbe davvero incontrato una compagna fertile. Quell’embrione aveva ricevuto un dono dall’esterno - una grossa quantità di spermo-arginina, che costituiva la chiave della sua fertilità. Durante il flusso di mutageni che aveva aperto i centri attivi del DNA, lo schema genetico dell’embrione era stato plasmato in una forma stabile che nessun umano avrebbe osato tentare di realizzare.
Perché ho somministrato i mutageni proprio in quel momento? si chiese Potter. Sapevo che era ciò che dovevo fare. Ma come facevo a saperlo? Forse sono stato usato come strumento da una forza esterna?
«Ciclo di Krebs: cinquantotto, in rapido aumento,» lo informò Svengaard.
Potter moriva dalla voglia di discutere quel problema con Svengaard… ma c’erano i dannati genitori e quelli della Sicurezza… che lo osservavano. È possibile che qualcun altro abbia visto o sappia abbastanza di questo schema da aver compreso cosa è successo qui dentro! si chiese.
Ma perché ho usato i mutageni!
«Riesce già a vedere lo schema?» chiese Svengaard.
Ormai l’embrione stava crescendo rapidamente. Potter studiò il ritmo di proliferazione delle cellule stabilizzate. Era meraviglioso.
«Ciclo di Krebs: sessantaquattro virgola sette,» annunciò Svengaard.
Ho aspettato troppo a lungo, pensò Potter. I pezzi grossi della Centrale si chiederanno perché ho aspettato tanto a lungo, prima di uccidere quest’embrione. Ma non posso farlo! È così meraviglioso.
La Centrale perpetuava il proprio potere mantenendo il mondo completamente ignaro del suo dominio, e concedendo ai suoi spenti schiavi dosi di enzimi che per loro rappresentavano l’unica possibilità di rimanere in vita.
Un detto della Gente recitava: «In questo mondo ci sono due mondi — uno che non lavora e vive sempre; uno che non vive e lavora sempre.»
Lì, in una vasca di cristallo, era ospitato un minuscolo agglomerato di cellule, una creatura vivente con un diametro minore di sei decimi di millimetro, e che possedeva la capacità di vivere la propria vita fuori del controllo della Centrale.
Quella morula doveva morire.
Mi ordineranno di ucciderla, pensò Potter. E io diventerò un uomo sospetto… finito. E cosa accadrebbe se quest’embrione riuscisse a sopravvivere? Cosa ne sarebbe dell’ingegneria genetica? Ritorneremmo a correggere difetti minori… come facevamo prima di iniziare a plasmare superuomini?