«Sì, certamente,» rispose Svengaard.
La Barriera di Quarantena si sollevò.
«Può entrare,» gli disse l’agente.
«Lei non viene con me?» chiese Svengaard all’agente.
«Non sono stato invitato,» disse l’agente. Girò sui tacchi e iniziò a discendere la scalinata.
Svengaard deglutì, entrò nella penombra dalle sfumature argentee del portico, lo attraversò e si trovò nella lunga sala, dove fu raggiunto da sei accoliti che, tre per parte, lo scortarono agitando turiboli da cui proveniva fumo rosato. Svengaard riconobbe l’odore di antisettico.
Il grande globo rosso ad un’estremità della sala dominava la scena. Da un’apertura, provenivano luci ammiccanti e lampeggianti. Svengaard fu affascinato dalle sagome che si muovevano all’interno del globo.
Gli accoliti lo fecero fermare a venti passi dall’apertura e Svengaard guardò in alto, verso la Tuyere, riconoscendo i tre membri attraverso gli schermi energetici; Nourse era al centro, mentre ai lati sedevano Schruille e Calapine.
«Sono venuto,» disse Svengaard, pronunciando la formula di saluto che l’agente gli aveva detto di usare. Si asciugò le palme sudate sulla sua tunica migliore, che aveva indossato per l’occasione.
Nourse parlò con voce imperiosa. «Tu sei l’ingegnere genetico, Svengaard.»
«Thei Svengaard, sì… Nourse.» Svengaard ispirò a fondo, chiedendosi se si fossero accorti dell’esitazione che lo aveva colto mentre tentava di ricordare il nome dell’Optimate che gli aveva rivolto la parola.
Nourse sorrise.
«Di recente hai partecipato all’alterazione genetica di un embrione generato da una coppia di genitori, i Durant,» disse Nourse. «Il responsabile dell’intervento era Potter.»
«Sì, io ero il suo assistente, Nourse.»
«Durante quell’intervento è accaduto un incidente,» disse Calapine.
La voce dell’Optimate possedeva uno strano tono musicale, e Svengaard si accorse che l’Optimate non gli aveva rivolto una domanda, ma gli aveva semplicemente ricordato un dettaglio su cui voleva che Svengaard facesse la massima attenzione. Il dottore iniziò a sentirsi profondamente turbato.
«Un incidente, sì… Calapine,» rispose.
«Hai seguito attentamente l’operazione?» gli chiese Nourse.
«Sì, Nourse.» Svengaard si accorse che la sua attenzione si era rivolta su Schruille, che sedeva in silenzio, con espressione meditabonda.
«Dunque,» proseguì Calapine, «sarai certamente in grado di dirci cos’è che Potter ha nascosto riguardo l’alterazione genetica dell’embrione.»
Sgomento, Svengaard comprese di aver perso la voce. Riuscì soltanto a scuotere la testa.
«Non ha nascosto nulla?» chiese Nourse. «È questo che vuoi dirci?»
Svengaard annuì.
«Non desideriamo farti alcun male, Thei Svengaard,» lo rassicurò Calapine. «Puoi parlare liberamente.»
Svengaard deglutì, si schiarì la gola, disse, «Io… la domanda… non ho visto… nascondere nulla.» Tacque, ma poi ricordò di non aver usato il nome dell’Optimate, e disse, «Calapine,» proprio mentre Nourse iniziava a parlare.
Nourse si interruppe e si accigliò.
Calapine ridacchiò.
Nourse ribatté, «Eppure ci hai detto di aver assistito all’alterazione genetica.»
«Io… non ero al microscopio ogni secondo, come Potter,» disse Svengaard. «Nourse. Io… uh… svolgevo le funzioni da assistente: dare istruzioni all’addetta al computer, azionare il dispensatore di enzimi, e così via.»
«Adesso dicci se avevi stabilito qualche rapporto d’amicizia con l’infermiera addetta al computer,» ordinò Calapine.
«Io… lei ha…» Svengaard si umettò le labbra con la lingua. Ma cosa vogliono da me? «Abbiamo lavorato insieme per molti anni, Calapine, ma non posso affermare che fossimo amici. Lavoravamo insieme, ecco tutto.»
«Hai esaminato l’embrione dopo l’intervento?» chiese Nourse.
Schruille si irrigidì sul suo trono e fissò attentamente Svengaard.
«No, Nourse,» disse il dottore. «I miei compiti erano quelli di assicurarmi che la vasca funzionasse alla perfezione e di controllare i sistemi di supporto vitale.» Respirò profondamente. Forse lo stavano mettendo alla prova… ma quelle domande erano così bizzarre!
«Ora dicci se Potter era tuo amico,» ordinò Calapine.
«È stato uno dei miei insegnanti, Calapine, qualcuno con cui ho lavorato su alcuni delicati problemi di genetica.»
«Ma non fa parte delle persone che frequenti abitualmente,» disse Nourse.
Svengaard scosse il capo. Ancora una volta ebbe l’impressione che l’atmosfera fosse carica di minaccia. Non sapeva cosa aspettarsi; magari il grande globo sarebbe rotolato su di lui, schiacciandolo e riducendo il suo corpo in una miriade di atomi sparsi. Ma no, gli Optimati non agivano in maniera così grossolana. Studiò i tre volti, adesso perfettamente distinguibili attraverso le mutevoli cortine d’energia. Lineamenti sterili, freddi. Svengaard riconosceva il genotipo: avrebbero potuto essere dei normali Steri, se da essi non fosse stata intuibile l’aura di mistero che contraddistingueva tutti gli Optimati. Tra la Gente si mormorava che fossero sterili per scelta, poiché consideravano la procreazione come l’inizio della morte, ma in base agli indizi sul codice genetico che trasparivano dai loro lineamenti, Svengaard poteva affermare con tutta sicurezza che le cose stavano in maniera affatto diversa.
«Perché hai chiamato Potter per risolvere quel particolare problema?» chiese Nourse.
Svengaard inspirò, provò un brivido, disse, «Lui… la configurazione genetica dell’embrione… ne faceva quasi un Optimate. Potter ha operato spesso nel nostro ospedale. Lui… ho piena fiducia in Potter; è un brillante dot… ingegnere genetico.»
«Dicci adesso se sei amico di qualche altro farmacista,» volle sapere Calapine.
«Essi… lavoro con loro quando vengono nel nostro ospedale,» disse Svengaard.
«Calapine,» finì per lui Nourse.
Calapine fu scossa da una risata squillante.
Il volto di Svengaard divenne paonazzo per l’ira. A che razza di prova lo stavano sottoponendo? Perché lo stavano interrogando, prendendosi gioco di lui?
La rabbia gli fece ritrovare l’uso della voce e così replicò, «Io sono soltanto il capo di un dipartimento di ingegneria genetica in un ospedale, Nourse, dunque non sono un tecnico che occupa una posizione elevata. Mi occupo soltanto di interventi che rientrano nella norma. Quando mi trovo di fronte a qualcosa che richiede l’opera di uno specialista, obbedisco alle direttive, e lo chiamo. In questo caso, Potter era lo specialista maggiormente indicato.»
«Era uno degli specialisti,» lo corresse Nourse.
«Uno degli specialisti che ammiro e rispetto,» ribatté Svengaard. Non si curò neppure di aggiungere il nome dell’Optimate.
«Ora di’ se sei arrabbiato,» ordinò Calapine, e ancora una volta Svengaard percepì quel tono musicale nella voce della donna.
«Lo sono.»
«Spiegaci il perché.»
«Per quale motivo sono qui?» chiese Svengaard. «Perché mi state sottoponendo a questo interrogatorio? Ho commesso qualche reato? Verrò punito?»
Nourse si sporse in avanti, puntando le mani sulle ginocchia. «Tu osi rivolgerci delle domande?»
Svengaard fissò l’Optimate. Nonostante il tono, il volto squadrato dell’uomo era atteggiato in un’espressione rassicurante. «Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi,» dichiarò Svengaard. «Qualsiasi cosa. Ma come posso aiutarvi o rispondervi, se non so cosa volete?»
Calapine fece per parlare, ma Nourse la bloccò sollevando una mano.
«Dirtelo rappresenta il nostro più profondo desiderio,» spiegò Nourse. «Ma sicuramente tu sai che noi non possiamo comprenderci veramente. Una ciotola di legno può contenere dell’acido solforico? Abbi fede in noi. Noi abbiamo a cuore il benessere dell’umanità intera.»