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Un senso di calore e gratitudine invase Svengaard. Certo che si fidava di loro! Erano il vertice genetico dell’intera razza umana. Poi ricordò a se stesso: Loro sono i potenti che ci amano e si prendono cura di noi.

Svengaard sospirò. «Cosa volete che io faccia?»

«Hai risposto a tutte le nostre domande,» disse Nourse. «E perfino a ciò che non ti abbiamo chiesto.»

«Ora dimenticherai tutto quello che abbiamo detto,» ordinò Calapine. «Non riferirai la nostra conversazione a chicchessia.»

Svengaard si schiarì la gola. «A nessuno… Calapine?»

«A nessuno.»

«Max Allgoood mi ha chiesto di riferirgli…»

«Dovrai rifiutarti,» disse lei. «Non avere timore, Thei. Noi ti proteggeremo.»

«Se è questa la tua volontà, Calapine,» dichiarò Svengaard.

«Non desideriamo che tu ci consideri ingrati, o creda che noi non apprezziamo i tuoi servigi e la tua lealtà,» disse Nourse. «Ci teniamo alla tua buona opinione su di noi, e non vorremmo apparire freddi o insensibili ai tuoi occhi. Sappi che la nostra prima preoccupazione è sempre il benessere della razza umana.»

«Sì, Nourse,» disse Svengaard.

Si trattava di un discorso gratuito e il tono con cui fu pronunciato inquietò Svengaard, ma nondimeno lo aiutò a schiarirsi la mente. Cominciava a capire la loro curiosità, ad intuire i loro sospetti. Che adesso erano diventati anche i suoi. Potter aveva tradito la sua fiducia, non era così? Quel nastro non era stato cancellato per caso. Molto bene… i colpevoli avrebbero pagato.

«Adesso puoi andare,» gli disse Nourse.

«Con la nostra benedizione,» aggiunse Calapine.

Svengaard si inchinò. E si rese conto che Schruille non aveva detto una parola né si era mosso durante l’intero colloquio. Si chiese perché quel particolare all’improvviso lo spaventasse tanto. Quando si girò, gli tremavano le ginocchia; ancora una volta scortato dagli accoliti che agitavano i turiboli fumanti, uscì dalla sala.

La Tuyere rimase ad osservarlo finché la barriera non si abbassò alle spalle di Svengaard.

«Ecco un altro che non sa nulla su ciò che ha ottenuto Potter,» commentò Calapine.

«Sei sicura che Max non lo sappia?» chiese Schruille.

«Assolutamente,» dichiarò lei.

«Allora avremmo dovuto dirlo anche a lui.»

«E rivelargli il modo in cui l’abbiamo saputo?» ribatté Calapine.

«So cosa intendi dire,» disse Schruille. «Uno strumento spuntato è inutile.»

«Svengaard è uno di quelli di cui possiamo fidarci,» disse Nourse.

«Si dice "camminare sul filo del rasoio",» fece notare Schruille. «E quando si cammina sul filo di un rasoio, bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi.»

«Che idea disgustosa,» fu il commento di Calapine. Si girò verso Nourse. «Ti stai dedicando ancora a da Vinci, mio caro?»

«Sì, alla sua pennellata,» rispose Nourse. «Imitarla richiede molta applicazione. Ma dovrei riuscire a replicarla alla perfezione in quaranta o cinquanta anni. Molto presto, in ogni caso.»

«Purché tu compia tutti i passi in maniera appropriata,» commentò sardonico Schruille.

Nourse replicò, «Qualche volta, Schruille, il tuo cinismo raggiunge i limiti della buona educazione.» Si girò, studiò i quadranti, i sensori, le spie e gli schermi inseriti tra lui e Calapine nella parete interna del globo. «Oggi tutto è ragionevolmente tranquillo. Cal, lasciamo il controllo a Schruille, andiamo a fare una nuotata, e magari una puntatina in Farmacia.»

«Mantenersi in esercizio, mantenersi in esercizio,» si lamentò Schruille. «Hai mai pensato di fare venticinque vasce, invece di venti?»

«Ultimamente fai delle affermazioni tra le più sorprendenti,» si stupì Calapine. «Vorresti forse che Nourse metta a repentaglio il suo equilibrio chimico? Temo di non riuscire più a comprenderti.»

«Non ci provi neppure,» replicò Schruille.

«Possiamo fare qualcosa per te?» chiese Calapine.

«I miei bioritmi mi hanno sprofondato in una terribile monotonia,» ammise Schruille. «Voi non potete far nulla per rimediare a questa situazione?»

Nourse osservò Schruille attraverso il riflettore prismatico. Ultimamente la voce di Schruille, con il suo tono lagnoso, stava diventando così irritante! Nourse iniziava già a rimpiangere che la comunione di gusti e la necessità li avessero messi insieme. Ma forse, quando sarebbe terminato il mandato della Tuyere…

«Monotonia,» ripeté Calapine. Poi si strinse nelle spalle.

«C’è qualcosa di trionfale in una monotonia ben ponderata,» disse Nourse. «È una frase di Voltaire, se non mi sbaglio.»

«Strano, sembrava proprio una delle tue,» ironizzò Schruille.

«Qualche volta mi sembra utile invocare un benigno interessamento nei confronti della Gente,» disse Calapine.

«Anche quando siamo soli?» chiese Schruille.

«Pensa al fato dell’infermiera addetta al computer,» disse Calapine. «In astratto, naturalmente. Non provi un senso di rammarico o di pietà?»

«La pietà è un’emozione inutile,» ribatté Schruille. «E il rammarico è pericolosamente affine al cinismo.» Sorrise. «Ti passerà. Andate pure a nuotare. E quando vi sentirete in forma, pensate a me… che sono qui.»

Nourse e Calapine si alzarono, richiesero i raggi trasportatori.

«Efficienza,» disse Nourse. «Dobbiamo esigere maggiore efficienza da coloro che ci servono. Le cose devono funzionare meglio.»

Schruille sollevò lo sguardo su di loro, mentre attendevano i raggi. Desiderava soltanto non udire più il frastuono incoerente delle loro voci. Non capivano, non volevano capire.

«Efficienza?» rifletté Calapine. «Forse hai ragione.»

Schruille non riuscì a contenere le emozioni contrastanti che infuriavano nel suo animo. «L’efficienza è l’opposto dell’abilità!» esclamò. «Pensateci sopra!»

I raggi arrivarono. I due vennero trasportati via, senza rispondergli, e lasciarono che fosse Schruille a richiudere il segmento. Poi sedé, finalmente solo, all’interno del centro di controllo che ammiccava di luci verdi, azzurre e rosse… solo tranne gli occhi scintillanti dei sensori video montati lungo l’orlo superiore del globo. Ne contò ottantuno attivati, che fissavano lui e il funzionamento del globo. Ottantuno dei suoi pari… o gruppi di essi che osservavano lui e il suo lavoro, mentre Schruille osservava a sua volta la Gente e le attività che essa svolgeva.

I sensori misero Schruille leggermente a disagio. Prima di prestare servizio nella Tuyere, non aveva mai osservato il globo e i suoi occupanti. In quel luogo avvenivano troppe cose terribili, a cui era meglio non pensare. Forse la Triade precedente era curiosa del loro lavoro? Chi erano coloro che li stavano osservando?

Schruille rivolse la sua attenzione agli strumenti. Spesso, in momenti del genere, gli sembrava di essere il "Signore della Verità" di Chen Tzu-ang, che vedeva l’intero mondo in una bottiglietta di giada. Bene, quel luogo era la sua bottiglia di giada. Gli sarebbe bastato sfiorare un bracciolo del trono con il suo anello di controllo per osservare una coppia che faceva l’amore a Warsopolis, studiare l’embrione contenuto in una vasca nella Grande Londra o liberare gas ipnotico in qualche strada di Nuova Pechino. Doveva soltanto sfiorare un pulsante e avrebbe potuto analizzare i ritmi mutevoli di un intera forza lavoro nella Megalopoli di Roma.

Scrutando nel proprio animo, Schruille non trovò alcuna ragione che lo spingesse a farlo.

Tentò di ricordare quanti visori erano stati accesi durante i primi anni del mandato della Tuyere; era sicuro che non superassero la dozzina. Adesso, invece, erano ottantuno.

Avrei dovuto avvertirli di fare attenzione a Svengaard, pensò. Avrei dovuto dir loro che possono far affidamento su una Provvidenza di tipo speciale per gli stolti. E Svengaard è uno sciocco che mi preoccupa.