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Poiché anche lui era sterile, Svengaard aveva l’impressione di avere qualcosa in comune con gli Ottimati. Loro avrebbero risolto anche quel problema… un giorno o l’altro.

Si concentrò sulla morula. A quell’ingrandimento, notò un lieve movimento provocato da un aminoacido contenente solfo. Con un moto di sorpresa, Svengaard lo riconobbe: era isovaltina, un indicatore genetico che indicava la presenza di un mixodema latente, foriero di una qualche potenziale deficienza tiroidea. Era un difetto inquietante, in quella morula tanto vicina alla perfezione. Avrebbe dovuto avvertire Potter.

Poi si dedicò all’esame del mitocondrio. Seguì la membrana invaginata fino alle creste appiattite, simili a sacchi, ritornò lungo la seconda membrana esterna, mise a fuoco il compartimento idrofilo esterno. Sì… era possibile ovviare all’inconveniente dell’isovaltina. Quella morula poteva ancora raggiungere la perfezione.

Un movimento guizzante apparve sull’orlo del campo di visione del microscopio.

Svengaard si irrigidì, pensò, Mio Dio, no!

Rimase immobile, con l’occhio incollato all’oculare, mentre il fenomeno che si era verificato soltanto otto volte nella storia della manipolazione genetica avveniva sotto il suo sguardo.

Una linea sottile, simile ad un tentacolo, penetrò nella struttura cellulare, provenendo da sinistra. Si snodò attraverso un ammasso di spirali alfa, trovò le estremità ripiegate delle catene di polipeptidi in una molecola di miosina, si contorse e si dissolse.

Al suo posto comparve una nuova struttura, dal diametro di circa quattro Angstrom e lunga mille Angstrom: protamina spermatica ricca di arginina. Tutt’intorno ad essa, le proteine del citoplasma mutavano, lottavano contro la stasi, e stavano riorganizzandosi in nuove combinazioni. Svengaard, basandosi sulle descrizioni degli altri otto casi, sapeva cosa stava succedendo. Il sistema di scambio ADP-ATP stava diventando più complesso — più "resistente". Ciò avrebbe reso il compito del chirurgo infinitamente più complesso.

Potter sarà furioso, pensò Svengaard.

Spense il microscopio e si raddrizzò. Si asciugò dal sudore i palmi delle mani e controllò l’orologio del laboratorio. Erano trascorsi meno di due minuti. I Durant non erano neppure arrivati nella sala privata, ma in quei due minuti una qualche forma di energia… una forza esterna aveva modificato l’embrione, apparentemente con uno scopo ben preciso.

È questo che ha messo in stato d’allerta la Sicurezza… e gli Optimati? si chiese Svengaard.

Aveva sentito descrivere quel fenomeno, aveva letto i rapporti… ma vederlo con i propri occhi! Vedere quel mutamento… così sicuro, così deciso…

Scosse il capo. No! Non era voluto! Si è trattato di un fenomeno casuale, nient’altro.

Ma quella visione lo ossessionava.

Rispetto a ciò che ho appena visto, quanto sono goffi i miei sforzi! Dovrò avvertire Potter. Toccherà a lui riportare alla normalità quella catena alterata… ammesso che ci riesca, visto che adesso è più resistente.

Turbato, per nulla convinto di aver assistito ad un evento casuale, Svengaard iniziò a effettuare gli ultimi controlli sulle apparecchiature di laboratorio. Controllò la dotazione di enzimi, e il collegamento con il computer che ne controllava il dosaggio: citocromo b5 ed emoproteina P-450 in abbondanza, una buona scorta di ubiquinone, sulfidrile, arseniato, azide e oligomicina, una quantità sufficiente di fosfoistidina. Passò in rassegna l’intera fila: due tipi di agenti acilati, 4-dinitrofenolo, e i gruppi di isoxazolidone-3 con riduzione NADH.

Poi si occupò dell’attrezzatura, controllò il micromeccanismo del bisturi a mesoni, i dati che apparivano sui quadranti della vasca e del meccanismo di stasi.

Tutto in ordine.

Doveva esserlo. L’embrione dei Durant, quella meraviglia dall’incredibile potenziale, adesso era resistente: un’incognita genetica… se Potter fosse riuscito dove gli altri avevano fallito.

CAPITOLO SECONDO

Non appena fu arrivato in ospedale, il Dottor Vyaslav Potter passò dall’Ufficio Registrazioni. Era un po’ stanco, dopo il lungo viaggio in sotterranena dalla Centrale alla Megalopoli di Seatac, ma raccontò una barzelletta sul sistema di riproduzione primitivo all’infermiera dai capelli grigi che era di turno. Lei ridacchiò, mentre scovava l’ultimo rapporto di Svengaard sull’embrione dei Durant. Posò il rapporto sul banco e fissò Potter.

Il dottore diede un’occhiata alla cartellina, poi sollevò gli occhi e incontrò lo sguardo della donna.

È possibile? si chiese. Ma… no: è troppo vecchia — non sarebbe neppure una buona Compagna. E poi, i pezzi grossi non ci concederebbero mai il permesso di procreare. Ricordò a se stesso: Io sono uno Zeek… un J411118zK. Il genotipo Zeek aveva conosciuto un breve periodo di popolarità nella regione della Megalopoli di Timbuctu, durante i primi anni Novanta. Sue caratteristiche erano capelli neri e crespi, epidermide di un colore appena più chiaro di quello del cioccolato, occhi scuri e dall’espressione dolce, un viso grassoccio e benevolo, il tutto su un corpo alto e forte. Uno Zeek. Un Vyaslav Potter.

Il genotipo non aveva mai prodotto un Optimate, maschio o femmina, e neppure un accoppiamento di gameti che fosse fertile.

Potter si era arreso da molto tempo. Era stato tra quelli che aveva votato affinché si smettesse di produrlo. Pensò agli Optimati con cui aveva a che fare e rise di se stesso. «Se non fosse per gli occhi scuri…» Ma quel commento sarcastico non gli causava più tanta amarezza.

«Sa,» disse rivolgendo un sorriso all’infermiera, «i Durant che hanno fornito l’embrione di cui debbo occuparmi stamattina — sono stato io a modellarli, entrambi. Forse è troppo tempo che svolgo questo lavoro.»

«Oh, non dica sciocchezze, Dottore,» replicò lei, scuotendo vigorosamente il capo. «Non ha ancora raggiunto la mezza età. Non sembra neppure un giorno più vecchio dei suoi cento anni.»

Potter sbirciò la cartellina. «Però questi due giovani mi portano il loro embrione affinché io intervenga e…» Si strinse nelle spalle.

«Glielo dirà?» chiese la donna. «Cioè, che è stato lei a modellare anche il loro genotipo?»

«Con tutta probabilità non li vedrò neppure,» le fece notare Potter. «Sa com’è. E poi, qualche volta le persone sono contente del loro genotipo… ma altre volte vorrebbero aver ricevuto un po’ più di questo, un po’ meno di quello. Di solito, attribuiscono la colpa al bioingegnere. Non comprendono, e non potrebbero farlo, i problemi che dobbiamo affrontare nel modellare il loro corredo genetico.»

«Ma i Durant mi sembrano decisamente ben riusciti,» gli fece notare l’infermiera. «Normali, felici… forse un po’ troppo preoccupati per loro figlio, ma…»

«Il loro genotipo è tra i migliori,» replicò Potter. Batté l’indice sulla cartellina. «Qui dentro ne abbiamo la prova: un embrione fertile e dotato di potenziale.» Sollevò il pollice nel tradizionale gesto che indicava un Optimate.

«Dovrebbe essere fiero di loro,» affermò l’infermiera. «La mia famiglia ha ottenuto un solo embrione fertile su centottanta tentativi; loro invece hanno prodotto un embrione fertile e dotato di potenziale.» Ripeté il gesto di Potter.

Quest’ultimo piegò le labbra in una smorfia di commiserazione, chiedendosi il perché si facesse immancabilmente trascinare in conversazioni del genere, specialmente con le infermiere. Sospettava di nutrire ancora delle speranze. Esse affondava nello stesso humus da cui scaturivano le voci incontrollate, i ciarlatani della procreazione, il mercato nero di sostanze fecondanti, la vendita di immaginette dell’Optimate Calapine, in base alla voce infondata che quest’ultima avesse prodotto un embrione fertile. Era lo stesso sentimento che spingeva i fedeli a consumare i grossi alluci degli idoli di fertilità a furia di baci.