Potter fissò lo schermo. Per qualche motivo, stava ricordando la sua giovinezza, l’inizio dei suoi studi in medicina, e il giorno in cui aveva imparato quanto vicino fosse stato il proprio genotipo a quello degli Optimati. Scoprì che il vecchio nucleo d’odio si era trasformato in tolleranza leggermente divertita e in cinismo.
«Non capisco come facciano loro a tollerarla,» si stupì il suo interlocutore.
«Perché io ero molto vicino,» sussurrò Potter. Si chiese quanto vicino sarebbe stato l’embrione dei Durant. Farò del mio meglio, si ripromise.
L’altro si schiarì la gola, disse, «Bene, conto su di lei affinché svolga il suo compito alla perfezione. L’embrione dovrebbe fornire una verifica decisiva dell’intervento est…»
«Non dica stupidaggini!» lo interruppe seccamente Potter. «L’embrione confermerà il rapporto di Sven fino all’ultimo enzima. Lei pensi a fare il suo lavoro; noi faremo il nostro.» Schiacciò bruscamente il pulsante che interrompeva la comunicazione, poggiò il comunicatore video sulla scrivania e rimase seduto, fissandolo. «Stupido presuntuoso… no, non è colpa sua. Vive troppo vicino a loro. È colpa del modellamento originale. Forse sarei anch’io così, se mi avessero condizionato ad esserlo.»
Svengaard tentò di deglutire. Fino a quel momento non aveva mai udito un simile alterco, o una conversazione tanto franca, tra due uomini provenienti dalla Centrale.
«La vedo sorpreso, vero, Sven?» gli chiese Potter. Abbassò le gambe dalla scrivania sul pavimento.
Svengaard si strinse nelle spalle. Si sentiva a disagio.
Potter lo studiò. Svengaard, all’interno dei suoi limiti, era eccellente, ma mancava di immaginazione, di creatività. Era un bioingegnere brillante ma, poiché era privo di quelle qualità, spesso si rivelava uno strumento spuntato.
«Lei è un buon uomo, Sven,» gli disse. «Affidabile. Ecco cosa c’è scritto nel dossier su di lei: affidabile. Non cambierà mai. D’altronde è stato modellato a questo scopo. Ciò va benissimo, per il posto che occupa.»
Svengaard udì soltanto l’elogio. «Certo, fa sempre piacere sentirsi apprezzati, ma…»
«Ma abbiamo del lavoro da fare.»
«E adesso sarà ancora più difficile,» gli ricordò Svengaard.
«Pensa che quell’intervento esterno sia un fenomeno accidentale?» gli chiese Potter.
«Io… mi piacerebbe credere che,» Svengaard si umettò le labbra con la lingua, «non fosse voluto, che nessuno…»
«Le piacerebbe che si fosse trattato del caso, del principio di Heisenberg,» disse Potter. «Il principio di indeterminazione, il risultato delle nostre manipolazioni… un avvenimento casuale in un universo capriccioso.»
Svengaard fu ferito dal tono duro della voce di Potter e replicò, «Non è precisamente così. Intendevo soltanto dire che speravo che nessun super agente causale fosse intervenuto sull’em…»
«Dio? Non mi starà dicendo che teme che la modifica sia opera della mano di una divinità?»
Svengaard distolse lo sguardo. «Quando ero a scuola, ho assistito ad una sua conferenza. In quell’occasione ci spiegò che dovevamo essere sempre pronti ad affrontare il fatto che la realtà che percepiamo potrebbe rivelarsi estremamente differente da ciò che le nostre teorie ci inducono a sospettare.»
«Ho detto questo? L’ho detto sul serio?»
«Sì.»
«Qualcosa là fuori, eh? Qualcosa che i nostri strumenti non riescono a rilevare. Non ha mai sentito parlare di Heisenberg. Non è l’indeterminazione.» La voce di Potter si abbassò. «Agisce. Modifica.» Inclinò la testa. «Ah-hah! Il fantasma di Heisenberg è sistemato!»
Svengaard fissò infuriato Potter. Quell’uomo lo stava prendendo in giro. Replicò stizzosamente, «In effetti Heisenberg ha dimostrato che abbiamo dei limiti.»
«Ha ragione,» concesse Potter. «Il nostro è un universo piuttosto capriccioso. Ed è stato Heisenberg ad insegnarcelo. C’è sempre qualcosa che non riusciamo ad interpretare o comprendere… o misurare. E ci ha preparato questo bell’enigma, eh?» Potter diede un’occhiata al suo orologio da dito, poi guardò di nuovo Svengaard. «Noi di solito interpretiamo ciò che ci circonda sulla base di categorie percettive proprie della nostra mente. La nostra civiltà ha studiato l’indeterminazione basandosi proprio su Heisenberg. Ma se il suo insegnamento è davvero valido, come facciamo a stabilire se un avvenimento inspiegabile è opera del caso oppure riflette la volontà di Dio? Anzi, a cosa serve porsi una domanda del genere?»
Svengaard replicò in tono difensivo, «Be’, in qualche modo ce la caviamo.»
Potter lo sorprese scoppiando a ridere, con la testa inarcata all’indietro, il corpo squassato dalle risate. Poi il riso si acquietò e Potter disse, «Sven, lei è impagabile. Sul serio. Se non fosse per quelli come lei, saremmo ancora all’età della pietra, staremmo ancora tentando di sfuggire ai ghiacciai e alle tigri dai denti a sciabola.»
Svengaard si sforzò di non replicare in tono rabbioso e ribatté, «E allora, loro cosa pensano che sia quella modifica della quantità dell’arginina?»
Potter lo fissò, studiandolo, poi rispose. «Che io sia dannato se non l’avevo sottovalutata, Sven. Tutte le mie scuse, eh?»
Svengaard fece spallucce. Quel giorno Potter si stava comportando in modo strano: reazioni sorprendenti, strani sfoghi emotivi. «Ma lei sa cosa ne dicono loro di tutta la faccenda?»
«Ha sentito quel che ha detto Max Allgood al telefono,» gli rispose Potter.
E così si trattava veramente di Allgood, pensò Svengaard.
«Certo che lo so,» brontolò Potter. «Max non ha capito nulla. Loro dicono che la manipolazione genetica forza la mano alla natura — che non può essere ridotta ad un sistema meccanico, e che di conseguenza non si può renderla stazionaria. Non si può impedire il mutamento, capisce? Si tratta di un sistema esteso, l’energia cerca un livello a cui…»
«Sistema esteso?» ripeté Svengaard.
Potter sollevò lo sguardo sul viso di Svengaard, su cui era visibile un’espressione di sconcerto. La domanda concentrò di colpo l’attenzione di Potter sulle differenze che correvano tra gli schemi mentali di coloro che lavoravano a stretto contatto con la Centrale, e quanti invece riuscivano soltanto a sfiorare il mondo degli Optimati, attraverso resoconti di seconda mano e illazioni.
Siamo così diversi, pensò Potter. Proprio come gli Optimati sono diversi da noi e Sven è diverso dagli Steri o dai Fertili. Siamo isolati uno dall’altro… e nessuno di noi ha un passato. Solo gli Optimati lo posseggono. Ma si tratta di un passato individuale… egoisticamente personale… e antico.
«Sì, un sistema esteso,» spiegò Potter. «Sia a livello microcosmico che macrocosmico, loro sostengono che tutto è basato su sistemi ordinati. Il concetto di materia è decisamente fallace. Tutto viene generato da collisioni di campi energetici: alcuni di grandi proporzioni che agiscono rapidamente e in maniera spettacolare… altri, più piccoli, che operano lentamente, gentilmente. Ma anche questo è relativo. L’energia possiede infiniti aspetti. Tutto dipende dal punto di vista dell’osservatore. Ogni volta che esso muta, cambiano anche le regole con cui avvengono le collisioni. Esiste un numero infinito di regole, e ogni insieme di esse dipende da due fattori di eguale importanza: il punto di vista e l’ambito in cui operano le stesse regole. In un sistema esteso, questo intervento esterno assume l’aspetto di un nodo su di un’onda regolare. Ecco cosa dicono loro.»
Svengaard scese dalla scrivania e rimase immobile, in preda allo sbalordimento. Ebbe l’impressione di aver appena intravisto un livello di comprensione più alto, che avrebbe potuto rispondere a tutte le domande che lui si era posto sull’universo.