Fredric Brown
Gli ondifagi
Definizioni tratte dal Dizionario Webster-Hamlin, edizione 1998, versione ridotta per le scuole:
Ondifago (on-dì-fa-go) n. Un vasore (gergale).
Vasore (va-sò-re) n. Inorgan della classe Radio.
Inorgan (i-nòr-gan) n. Non corporeo, un vasore.
Radio (rà-di-o) n. 1. classe d’inorgan. 2. frequenza eterea compresa tra quelle luminose e le pulsazioni della corrente alternata. 3. (in disuso) sistema di comunicazione impiegato fino al 1977.
Le cannonate che fecero preludio all’invasione non furono affatto assordanti, anche se furono udite da milioni di persone. George Bailey era una di esse. Ho scelto Bailey poiché fu il solo ad avvicinarsi a un’incollatura di pochi anni-luce dall’indovinare cosa fossero.
George Bailey era sbronzo ma, viste le circostanze, non si poteva fargliene una colpa. Stava ascoltando pubblicità radiofonica del tipo più nauseante… non perché volesse ascoltarla, non c’è bisogno che lo dica, ma perché così gli era stato detto di fare dal suo capo, J.R. McGee della rete radiofonica MID.
George Bailey scriveva pubblicità per la radio. La sola cosa che odiava più della pubblicità era la radio. E adesso stava ascoltando gli annunci più disgustosi e stucchevoli d’una rete rivale sprecando il proprio tempo libero.
— Bailey, — gli aveva detto J.R. McGee, — dovrebbe familiarizzarsi con quello che fanno gli altri. In particolare dovrebbe tenersi informato su quelli, fra i nostri clienti, che utilizzano anche altre reti. Le suggerisco vivamente…
Non si discutono i vivi suggerimenti di un datore di lavoro riuscendo allo stesso tempo a conservare duecento dollari alla settimana.
Ma si possono bere dei whisky doppi mentre si ascolta. George Bailey lo faceva. Inoltre fra un annuncio e l’altro giocava a ramino con Maisie Hetterman, una piccola e graziosa dattilografa dalla chioma rossa dello studio. L’appartamento era di Maisie e anche la radio (per principio George non possedeva né radio né televisore) ma George aveva portato da bere.
— … solo i tabacchi più raffinati, — diceva la radio. — Fumate le dit-dit-dit, le sigarette più richieste in tutto il paese…
George lanciò un’occhiata alla radio. — Marconi, — disse.
Voleva dire Morse, certo, ma i whisky doppi l’avevano confuso un po’ per cui la sua prima congettura si avvicinò, quasi, all’esattezza più di qualunque altra. In un certo senso si trattava proprio di Marconi. In un senso molto speciale.
— Marconi? — chiese Maisie.
George, che odiava aver per rivale la voce di una radio mentre stava parlando, si sporse in avanti e la spense.
— Volevo dire Morse, — precisò. — Morse, come i boy-scout o il corpo segnalatori. Un tempo ero boy-scout.
— Sei cambiato un bel po’, — commentò Maisie.
George sospirò. — Qualcuno la pagherà salata per essersi messo a trasmettere in codice su quella frequenza.
— E cosa intendeva dire?
— Dire?… Oh, vuoi dire cosa intendeva dire… Uh… S. La lettera S. Dit-dit-dit è S. SOS è dit-dit-dit dah-dah-dah dit-dit-dit.
— Cos’è dah-dah-dah?
George sogghignò: — Dillo di nuovo, Maisie. Mi piace. E penso che anche tu sia dah-dah-dah.
— George, potrebbe essere davvero un SOS. Riaccendi.
George riaccese. La pubblicità delle sigarette continuava ancora: — … signori dal gusto più dit-dit-dit… preferiscono lo squisito aroma delle sigarette dit-dit-dit. Nel nuovo pacchetto che le contiene dit-dit-dit e ultrafresche…
— Non è un SOS. È solo un S.
— Come una pentola a pressione o… Ehi, George, forse è soltanto una trovata pubblicitaria.
George scosse il capo: — No, perché cancella il nome del prodotto. Aspetta un momento che…
Allungò la mano e girò la manopola della radio prima un po’ a destra e poi un po’ a sinistra. Un’espressione incredula gli comparve sul volto. Girò la manopola a sinistra, fino in fondo alla scala. Non c’era nessuna stazione su quel lato, neppure il ronzio di un’onda portante. Ma:
— Dit-dit-dit, — diceva la radio, — dit-dit-dit.
George girò la manopola fino all’estremità destra. — Dit-dit-dit.
Spense allora la radio e fissò Maisie senza vederla, il che era un’ardua impresa.
— Qualcosa non va, George?
— Spero di sì, — disse George Bailey. — Lo spero davvero.
Accennò a riempirsi di nuovo il bicchiere, poi cambiò idea. Ebbe la improvvisa intuizione che stesse accadendo qualcosa di grosso e voleva smaltire la sbornia per essere in grado di valutare le cose.
Non aveva la più pallida idea di quanto fosse grossa.
— George, cosa vuoi dire?
— Non so cosa voglio dire. Ma, Maisie, facciamo una corsa fino allo studio, no? Dovrebbe esserci un bel po’ di eccitazione.
5 aprile 1957: fu quella la notte in cui arrivarono gli ondifagi.
Era iniziata come una serata normale. Adesso non lo era più.
George e Maisie si misero ad aspettare un tassì ma non ne arrivò nessuno. Così presero la metropolitana. Oh, sì, la metropolitana funzionava ancora a quell’epoca. Li portò a un isolato dall’edificio che ospitava la rete del MID.
L’edificio era un manicomio. George attraversò l’atrio a grandi passi, con un ampio sogghigno sul viso, tenendo Maisie a braccetto, prese l’ascensore fino al quinto piano e senza alcuna ragione diede un dollaro al ragazzo dell’ascensore. Mai prima di allora, in tutta la sua vita, aveva dato la mancia a un addetto all’ascensore.
Il ragazzo lo ringraziò. — Meglio star lontano dai pezzi grossi, signor Bailey, — lo mise in guardia. — Sono pronti a masticare le orecchie a chiunque osi anche soltanto guardarli.
— Magnifico, — replicò George.
Dall’ascensore andò dritto all’ufficio di J.R. McGee.
Si udivano voci stridule da oltre la porta di vetro. George allungò la mano verso la maniglia; Maisie cercò di fermarlo: — Ma George, — bisbigliò, — ti licenzieranno!
— Arriva sempre il momento, — replicò George. — Tienti lontana dalla porta, tesoro. — Con cortese fermezza la sospinse in una posizione più sicura.
— Ma George, cos’hai intenzione…
— Guarda, — disse George.
Quando socchiuse d’un palmo la porta il coro di voci concitate si interruppe. Gli occhi di tutti si girarono verso di lui quando fece capolino da dietro lo stipite.
— Dit-dit-dit, — disse. — Dit-dit-dit.
Si scansò appena in tempo per sfuggire alle schegge di vetro della porta infranta da un fermacarte e un calamaio.
Afferrò Maisie e si precipitò di corsa verso la scala.
— Adesso andiamo a berci qualcosa, — disse.
Il bar di fronte alla sede della stazione radio era affollato, ma su tutti i presenti gravava uno strano silenzio. Il bar, rispettoso ovviamente del fatto che la maggior parte dei clienti erano impiegati della radio, non aveva un televisore, ma ostentava un massiccio apparecchio radio in un angolo, quasi ad altezza d’uomo, e quasi tutta la gente vi si pigiava intorno.
— Dit, — diceva la radio. — Dit-dah-d’dah-dii-dahditdah-dit…
— Non è stupendo? — sussurrò George e Maisie.
Qualcuno stava cincischiando con la manopola della sintonia. Un altro chiese: — Che frequenza è? — E un terzo rispose: — Quella della polizia. — Un quarto disse: — Prova una frequenza estera. — Quello che cincischiava con la manopola lo fece: — Questa dovrebbe essere Buenos Aires, — annunciò. — Dit-d’dah-dit… — disse la radio.