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— Direbbe che sono intelligenti?

Il professor Helmetz si tolse gli occhiali e pulì le lenti soprappensiero. Disse: — Non lo sapremo mai. L’intelligenza di simili esseri, sempre che esista, si troverebbe su un piano così diverso dal nostro da escludere un qualunque punto in comune dal quale iniziare un contatto. Noi siamo materiali; essi sono immateriali. Non c’è alcun terreno comune fra noi.

— Ma se fossero intelligenti anche soltanto un po’…

— Le formiche sono intelligenti, in un certo qual modo. Lo chiami istinto, se vuole, ma l’istinto è una forma d’intelligenza; almeno, consente alle formiche di compiere alcune fra le cose che l’intelligenza consentirebbe. Eppure, non possiamo comunicare con le formiche ed è assai meno probabile che riusciamo a comunicare con questi invasori. La differenza che esiste fra l’intelligenza delle formiche e la nostra non è niente al confronto di quella tra noi e gli invasori, sempre che questi abbiano una qualche forma d’intelligenza. No, dubito molto che si riesca mai a comunicare.

Il professore aveva visto giusto. La comunicazione coi vasori — una forma abbreviata per invasori, ovviamente — non fu mai stabilita.

In quella stessa giornata le azioni delle compagnie radiofoniche si stabilizzarono in borsa. Il giorno successivo, però, qualcuno ebbe la bella idea di porre al professor Helmetz la domanda da un milione di dollari (e i giornali si affrettarono a pubblicarla, insieme alla risposta):

— Riprendere le trasmissioni? Non so se lo faremo mai più. Certo non sarà possibile finché gli invasori non se ne saranno andati, e perché mai dovrebbero farlo? A meno che gli abitanti di qualche altro lontano pianeta, non comincino anche loro le trasmissioni radio, e gli invasori non ne vengano attratti.

— Ma anche così, qualcuno di loro tornerebbe subito qui da noi nel momento stesso in cui ricominciassimo a trasmettere.

Nel giro di un’ora le azioni radio e televisive precipitarono a zero a tutti gli effetti pratici. Tuttavia non ci furono scene frenetiche in borsa; non ci furono vendite frenetiche poiché nessuno comperava, né con frenesia né senza. Nessuna azione di queste compagnie cambiò di mano.

Impiegati e intrattenitori della radio e della televisione cominciarono a cercarsi altri lavori. Gli intrattenitori non ebbero nessun problema: qualunque altra forma d’intrattenimento conobbe un’esplosione folle.

— Due a zero, — disse George Bailey. Il barista gli chiese cosa intendesse dire.

— Non lo so, Hank. È soltanto un’intuizione che mi è venuta.

— Che genere d’intuizione?

— Non so neppure questo. Su preparamene un altro, e poi me ne andrò a casa.

Lo shaker elettrico non voleva funzionare e Hank dovette preparare il cocktail a mano.

— Buon esercizio. È proprio quello che ti ci vuole, — commentò George. — Ti farà perdere un po’ di grasso.

Hank grugnì e il ghiaccio tintinnò allegro quando inclinò lo shaker per versare la bevanda.

George Bailey lo trangugiò lentamente, poi usci fuori nel bel mezzo di un rovescio d’aprile. Si fermò sotto il tendone del bar e cercò un tassì con lo sguardo. Accanto a lui c’era un vecchio.

— Che tempaccio, — disse George.

Il vecchio lo fissò sogghignando. — Se n’é accorto, vero?

— Uh? Accorto di che?

— Osservi, osservi, signor mio. Osservi un po’.

Il vecchio proseguì per la sua strada. Poiché nessun tassì vuoto si decideva a comparire, George rimase lì per un bel po’ prima di rendersene conto. Aprì a metà la bocca per la sorpresa, la chiuse e rientrò nel bar. S’infilò nella cabina telefonica e chiamò Pete Mulvaney.

Prima di riuscire a collegarsi con quello di Pete, gli risposero tre numeri sbagliati.

La voce di Pete fece: — Sì?

— George Bailey, Pete. Senti, hai osservato il tempo?

— Dannazione, sì, certo. Niente lampi. E dovrebbero essercene, con un temporale come questo.

— Cosa significa questo, Pete? I vasori?

— Certo. E questo è soltanto l’inizio, se… — Un crepitio cancellò la voce.

— Ehi, Pete, sei ancora là?

Il suono d’un violino. Pete non suonava il violino.

— Ehi, Pete, che diavolo…?

Di nuovo la voce di Pete: — Vieni da me, George. Il telefono non durerà a lungo. Porta… — Si udì un ronzio, poi una voce disse: — … venite alla Carnegie Hall. Le migliori canzoni di…

George sbatté giù il ricevitore.

Raggiunse a piedi, sotto la pioggia, l’abitazione di Pete. Strada facendo, comperò una bottiglia di scotch. Pete aveva cominciato a dirgli di portar qualcosa e forse era quello che intendeva.

Lo era.

Si versarono un bicchiere a testa e li alzarono. Le luci tremolarono per un attimo, si spensero, poi si riaccesero ma assai fioche.

— Niente lampi, — disse George. — Niente lampi e ben presto niente luce elettrica. Si stanno impadronendo del telefono. Cosa se ne fanno dei lampi?

— Se li mangiano, immagino. Mangiano elettricità.

— Niente lampi, — ripeté George. — Dannazione, posso cavarmela senza il telefono, e le candele e i lumi a petrolio non sono malaccio come illuminazione… Ma dei lampi, sì, sentirò la mancanza. I lampi mi piacciono. Dannazione.

Le luci si spensero del tutto.

Pete Mulvaney sorseggiò il suo drink al buio. Disse: — Luce elettrica, frigoriferi, tostapane elettrici, aspirapolvere…

— Juke box, — aggiunse George. — Pensa, non ci saranno più quei maledetti juke box. Nessun sistema di altoparlanti per comunicare col pubblico, nessun… ehi, e i film?

— Niente film, neppure quelli muti. Non si può far funzionare un proiettore con una lampada a petrolio. Ma ascolta, George: nessuna automobile, nessun motore a benzina può funzionare senza elettricità.

— Perché no, se lo si mette in moto con la manovella invece di usare l’avviamento automatico?

— La scintilla, George. Cosa credi produca la scintilla?

— Giusto. Ma allora neppure gli aeroplani. Ma i jet?

— Be’… suppongo che alcuni tipi di jet potrebbero essere attrezzati così da poter fare a meno dell’elettricità, ma non servirebbero a molto. I jet sono più strumenti che motore, e tutta quella strumentazione è elettrica. E non si può far volare o atterrare un jet per il rotto della cuffia.

— Niente radar. Ma a cosa servirebbe? Non ci saranno più guerre, per lungo tempo.

— Un tempo dannatamente lungo.

D’un tratto, George si drizzò a sedere: — Ehi, Pete, e la fissione nucleare? L’energia atomica? Funzionerà ancora?

— Ne dubito. I fenomeni subatomici sono sostanzialmente di natura elettrica. Scommetto dieci centesimi che si mangiano anche i neutroni liberi.

(Avrebbe vinto la sua scommessa; il governo si era ben guardato dall’annunciare che una bomba atomica sperimentale fatta detonare quel giorno nel Nevada si era spenta con uno sfrigolio da fuoco artificiale bagnato, e le pile atomiche stavano via via cessando di funzionare).

George scosse lentamente la testa, estasiato. Commentò: — Macchine e autobus, transatlantici… Pete, questo significa che faremo ritorno alla fonte originaria dei cavalli-vapore. I cavalli in carne e ossa, cioè. Se vuoi fare un buon investimento, compera cavalli. Giumente soprattutto. Una giumenta da allevamento varrà mille volte il suo peso in platino.