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— Giusto. Ma non dimenticare il vapore. Avremo ancora macchine a vapore, sia statiche che semoventi.

— Certo. Hai ragione. Di nuovo il cavallo d’acciaio, ma per le lunghe distanze. Ma i cavalli da tiro per quelle brevi. Sai cavalcare, Pete?

— Una volta, ma credo d’esser troppo vecchio, ormai. Mi accontenterò d’una bicicletta. Ehi, sarà meglio comperare una bicicletta domattina, come prima cosa, prima che cominci l’assalto. Io la comprerò.

— Buon suggerimento. Ero un discreto ciclista, un tempo. Sarà una bellezza senza auto intorno a impacciarti. E senti…

— Cosa?

— Mi comprerò anche una cornetta. La suonavo da ragazzino e posso imparare di nuovo. E poi forse mi rintanerò da qualche parte e scriverò quel roman… Ehi, e la stampa?

— Stampavamo libri molto prima dell’elettricità, George. Ci vorrà un po’ di tempo prima che l’industria della carta si riadatti, ma i libri ci saranno. Grazie a Dio.

George Bailey sogghignò e si alzò in piedi. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori nella notte. La pioggia era cessata e il cielo era limpido.

Una macchina era ferma, i fari spenti, a metà dell’isolato di fronte. Un’altra auto si arrestò, poi riprese ad avanzare con molta lentezza, si arrestò di nuovo; la luce dei suoi fari si stava affievolendo, in fretta.

George alzò gli occhi a fissare il cielo e buttò giù un sorso.

— Niente lampi, — ripeté. — Mi mancheranno proprio, i lampi.

Il cambiamento avvenne con molto meno difficoltà di quanto previsto.

Il governo, durante una seduta d’emergenza, prese la saggia decisione di eleggere un comitato con autorità illimitata, al quale facevano capo soltanto tre sottocomitati. Il maggior comitato — chiamato Ufficio per il Riadattamento Economico — aveva soltanto sette membri e il suo lavoro consisteva nel coordinare gli sforzi dei tre sottocomitati, decidendo in fretta e senza nessuna possibilità di appello su qualunque disputa giuridica che dovesse insorgere tra essi.

Il primo dei tre sottocomitati era l’Ufficio Trasporti. Il quale prese subito sotto controllo, in via temporanea, le ferrovie. Ordinò che i locomotori diesel fossero trainati sui binari morti e lì lasciati. Organizzò l’impiego delle locomotive a vapore e risolse ogni problema di funzionamento del traffico ferroviario facendo a meno della telegrafia e dei segnali elettrici. Poi impose una lista di priorità su ciò che si sarebbe dovuto trasportare: gli alimentari venivano per primi, il carbone e l’olio combustibile per secondi, e i manufatti essenziali seguivano in ordine d’importanza. Vagonate e vagonate di radio nuove di zecca, stufe elettriche, frigoriferi e tutta una lunga serie di articoli inutili furono scaricati senza cerimonie su terreni brulli e fuori mano, per venir recuperati in seguito come rottami.

Tutti i cavalli furono dichiarati sotto la speciale tutela del governo, classificati a seconda delle capacità e messi al lavoro e alla riproduzione, I cavalli da tiro furono impiegati soltanto per i trasporti essenziali. Al programma di riproduzione e allevamento fu dato il maggiore spazio possibile; l’ufficio calcolò che in due anni la popolazione equina sarebbe raddoppiata, quadruplicata in tre, e nell’arco di sei o sette anni ci sarebbe stato un cavallo in ogni garage privato del paese.

Gli agricoltori, privati per il momento dei loro cavalli e coi trattori che arrugginivano nei campi, ricevettero istruzioni per utilizzare i bovini per arare e svolgere altri lavori nelle fattorie, compresi i trasporti meno pesanti.

Il secondo sottocomitato, l’Ufficio per il Ricollocamento della Mano d’Opera, funzionava proprio come diceva il suo nome. Si occupava dei sussidi che andavano ai molti milioni di persone rimaste senza lavoro, ma nel contempo operava attivamente a risistemarle: un compito non troppo difficile vista l’enorme crescita della domanda di lavoratori manuali che si registrava nei campi più disparati.

Nel maggio 1957 trentacinque milioni d’individui in età lavorativa erano disoccupati; in ottobre, quindici milioni. Nel maggio 1958, cinque milioni. Nel 1959 la situazione era completamente risolta e l’abbondanza della domanda cominciava a provocare i primi, consistenti aumenti di paga.

Il terzo sottocomitato aveva il compito più arduo. Era chiamato l’Ufficio per il Riadattamento delle Fabbriche. Affrontò l’incredibile compito di convertire le fabbriche piene di macchinari a funzionamento elettrico, e per la maggior parte adibite alla fabbricazione di altre macchine a funzionamento elettrico, in fabbriche che, senza elettricità, producessero articoli non elettrici. Durante quei primi tempi le poche macchine a vapore statiche lavorarono in turni di ventiquattr’ore, e la prima cosa ad esse affidata fu la produzione di torni e presse e laminatoi in grado di sfornare altre macchine a vapore. Il numero delle macchine a vapore crebbe inizialmente in proporzione quadratica, poi al cubo, e così pure fece il numero dei cavalli messi alla monta. Il principio era lo stesso. Uno potrebbe, e non pochi lo fecero, riferirsi alle prime macchine a vapore come a cavalli da monta. In ogni caso per fabbricarle non c’era certo penuria di metallo. Le fabbriche erano colme di macchine non convertibili che aspettavano di venir fuse.

Soltanto quando i motori a vapore, la base della nuova economia di fabbrica, furono in piena produzione, si cominciò a destinarli alla fabbricazione anche di altre cose. Lampade a olio, indumenti, stufe a carbone, vasche da bagno e telai per letti.

Non tutte le grosse fabbriche furono convertite. Questo perché, mentre proseguiva il periodo di conversione, in migliaia di posti la produzione riprese a dimensioni artigianali. Piccoli laboratori con una o due persone che fabbricavano o riparavano mobili, scarpe, candele, tutte quelle cose che potevano esser fatte senza macchine grosse e complicate. All’inizio questi piccoli laboratori realizzarono grosse fortune poiché non c’era concorrenza da parte dell’industria pesante. Più tardi comparvero piccoli e maneggevoli motori a vapore in grado di far funzionare piccoli macchinari, e i laboratori artigianali difesero le posizioni conquistate sviluppandosi sempre più e adeguandosi al boom che arrivò col ritorno ai normali livelli d’occupazione e del potere d’acquisto; anzi, aumentarono di dimensioni al punto che non pochi fra essi furono in grado di rivaleggiare con le fabbriche più grosse in termini di produzione, battendole sul piano della qualità.

Sì, vi furono sofferenze durante il periodo del riadattamento economico, ma molto meno di quante ce n’erano state durante la grande depressione dei primi anni Trenta. E la ripresa fu più rapida.

La ragione era ovvia. Nel combattere la depressione negli anni Trenta i legislatori si erano trovati a lavorare al buio. Essi non ne conoscevano le cause, e meno ancora potevano conoscerne la cura. Erano ostacolati dall’idea che la faccenda fosse temporanea e si sarebbe curata da sola se la si fosse lasciata stare, e le mille cause in conflitto fra loro che l’avevano provocata si sarebbero neutralizzate a vicenda. In breve, con tutta franchezza, non sapevano di che si trattava, e mentre operavano a tentoni il crollo diventò una valanga irrefrenabile.

Ma nel 1957 la situazione che si trovò ad affrontare il paese (e anche tutti gli altri paesi) era ovvia e ben definita. L’elettricità non ci sarebbe stata mai più. Bisognava riadattarsi al vapore e ai cavalli.

Chiaro e semplice, senza se o ma. E tutta la gente, salvo per la solita manciata di svitati, appoggiava i comitati.

Nel 1961…

Era una piovosa giornata d’aprile e George Bailey stava aspettando sotto la tettoia della stazioncina ferroviaria di Blakestown, Connecticut, per vedere chi sarebbe arrivato col treno delle 15 e 14.