Il treno arrivò sbuffando alle 15 e 25 e si fermò con un rantolo. Tre vagoni passeggeri e un bagagliaio. La portiera di quest’ultimo si spalancò, il sacco della posta fu lanciato fuori, e la portiera tornò a chiudersi. Niente bagaglio, perciò nessun passeggero sarebbe…
Poi alla vista di un uomo alto, bruno, che scendeva dalla piattaforma dell’ultimo vagone, George Bailey si lasciò sfuggire un grido di contentezza. — Pete! Pete Mulvaney! Cosa diavolo…
— Bailey! Santo cielo, cosa fai qui?
George gli strinse la mano. — Io? Vivo qui già da due anni, ormai. Ho comperato nel ‘59 il Blakestown Weekly per un tozzo di pane, e ho cominciato a dirigerlo. Sono direttore, cronista, fattorino. Ho trovato un tipografo che mi ha dato una mano per la stampa e Maisie si occupa delle rubriche e della posta dei lettori. È…
— Maisie? Maisie Hetterman?
— Maisie Bailey adesso. Ci siamo sposati quando ho comperato il settimanale e ci siamo trasferiti qui. Ma Pete, che cosa ci fai tu, da queste parti?
— Affari. Soltanto per una notte. Devo incontrare un uomo di nome Wilcox.
— Oh, Wilcox, il nostro pazzoide… Ma non fraintendermi: non c’è dubbio che è un tipo ingegnoso. Bene, potrai incontrarlo domani. Adesso verrai a casa mia per la cena e ti fermerai per la notte. Maisie sarà felice di vederti. Vieni, ho qui il calessino.
— Ma certo. Ma… non dovevi far qualcosa, qui alla stazione?
— Oh, sì. Dovevo informarmi su chi arrivava col treno. E sei arrivato tu, perciò possiamo andare.
Salirono sul calesse. George afferrò le redini e intimò alla cavalla: — Al lavoro, Bessie. — Poi: — Cosa stai facendo adesso, Pete?
— Ricerca. Per una compagnia del gas. Stiamo lavorando per una reticella catalizzatrice più efficiente, che dia più luce e duri più a lungo. Questo Wilcox ci ha scritto dicendo d’aver ottenuto qualcosa in questo campo, così la compagnia mi ha mandato a dare un’occhiata. Se ciò che dice Wilcox è vero, lo porterò di peso a New York e lo lascerò in pasto agli avvocati della compagnia perché trattino con lui.
— Per il resto, come vanno gli affari?
— Benissimo, George. Il gas: questo è il futuro. Ogni nuova casa viene collegata con la rete di distribuzione e anche moltissime di quelle vecchie. E tu?
— A vele spiegate. Per fortuna avevamo una di quelle vecchie linotype che fondono i caratteri con un bruciatore a gas, perciò eravamo già collegati. E la nostra abitazione è subito sopra la redazione e la tipografia, così abbiamo dovuto soltanto prolungare il tubo del gas d’una rampa di scale. Gran bella cosa il gas. E New York com’è?
— Splendida, George. Ormai è discesa a un solo milione di abitanti e si sta stabilizzando su quella cifra. Niente affollamento, e spazio per tutti, in abbondanza. Quell’arto, diamine, è migliore che ad Atlantic City, senza le esalazioni di benzina.
— Ci sono già abbastanza cavalli per andare tutti in giro?
— Quasi. Ma sono le biciclette a farla da padrone; le fabbriche non riescono mai a produrne abbastanza per star dietro alla domanda. C’è un club ciclistico quasi in ogni isolato e tutti quelli fisicamente capaci la usano per andare e tornare dal posto di lavoro. E gli fa anche bene alla salute; qualche anno ancora e i medici, cominceranno a far la fame.
— Hai una bicicletta?
— Certo. Una pre-vasori. Ci faccio una media di sette-otto chilometri al giorno, e mangio come un cavallo.
George Bailey ridacchiò. — Dirò a Maisie di aggiungere un po’ di fieno alla cena. Bene, eccoci arrivati. Ferma, Bessie.
Una finestra al primo piano si spalancò e Maisie si affacciò guardando in basso. Gridò subito: — Ciao, Pete!
— Metti un altro piatto in tavola, Maisie, — l’invitò George. — Saliremo non appena avrò messo via la cavalla e avrò fatto vedere a Pete il pianterreno.
Dal fienile guidò Pete fino all’ingresso posteriore della tipografia.
— La nostra linotype! — esclamò con orgoglio, indicandogliela.
— Come funziona? Dov’è il vostro motore a vapore?
George sogghignò. — Non funziona ancora; componiamo ancora a mano. Sono riuscito finora a procurarmi una sola macchina a vapore e ho dovuto usarla per la stampa. Ma ne ho ordinata una per la linotype, e arriverà tra un mese o giù di li. Quando la riceveremo il mio tipografo, Pop Jenkins, perderà il posto non appena mi avrà insegnato a farla funzionare. Con la linotype in funzione posso fare tutto da solo.
— Un po’ dura per Pop?
George scosse il capo. — Pop non aspetta altro. Ha sessantanove anni e vuole andare in pensione. Rimarrà soltanto fino a quando non potrò fare a meno di lui. Ecco la stampatrice: una piccola Miehle che è un gioiello, e ci facciamo anche qualche lavoretto extra. E qui davanti c’è la redazione. Caotica ma efficiente.
Mulvaney si guardò intorno a sogghignò. — George, credo proprio che tu abbia trovato la tua nicchia. Eri tagliato su misura per fare il direttore di un settimanale di provincia.
— Tagliato? Ci vado pazzo. Nessuno ci si diverte più di me. Che tu ci creda o no, lavoro come un mulo e mi piace. Vieni di sopra.
Sulle scale, Pete gli chiese: — E il romanzo che volevi scrivere?
— È fatto per metà, e non è male. Ma non è il romanzo che volevo scrivere. Allora ero un cinico. Adesso…
— George, credo che gli ondifagi si siano dimostrati i tuoi migliori amici.
— Ondifagi?
— Oh, Signore, ma quanto ci vuole perché lo slang di New York arrivi nelle campagne? I vasori, naturalmente. Qualche professore fra quelli che si sono specializzati in materia ne aveva descritto uno come un movimento ondulatorio dell’etere, chiamandolo “ondifago”, e la parola ha fatto presa… Ciao, Maisie, ragazza mia. Sei uno splendore.
Cenarono con tutto comodo. Quasi scusandosi George tirò fuori alcune bottiglie di birra in ghiaccio. — Mi spiace, Pete, non ho niente di più forte da offrirti. Ma di recente ho smesso di bere. Indovina…
— Sei diventato astemio, George?
— Non proprio astemio. Non ho fatto giuramenti o altro, ma è quasi un anno che non ho più bevuto niente di forte. Non so perché, ma…
— lo lo so, — l’interruppe Pete Mulvaney. — So esattamente perché non bevi… poiché neppure io bevo molto, per la stessa ragione. Non beviamo perché non c’è più niente che ci spinge a farlo… Ehi, ma quella non è una radio?
George ridacchiò: — Un ricordo. Non la venderei neanche per un milione. Di tanto in tanto mi piace guardarla e pensare a quante sudate mi son fatto per scrivere tutte quelle fesserie. Poi mi avvicino, l’accendo e non succede niente. Silenzio, e basta. Il silenzio a volte è la cosa più bella che ci sia al mondo, Pete. Certo non potrei godermelo se ci fosse corrente, perché allora riceverei i vasori. Suppongo che siano tuttora in affari, là fuori?
— Sì. L’Ufficio Ricerche fa un controllo ogni giorno. Cercano di produrre corrente con un piccolo generatore mosso da una macchina a vapore. Ma non c’è niente da fare: i vasori se la succhiano nel medesimo istante in cui è generata.
— Pensi che se ne andranno un giorno?
Mulvaney scrollò le spalle. — Helmetz pensa di no. È convinto che si moltiplichino in proporzione con la corrente disponibile. Anche se qualche altro pianeta nell’universo sviluppasse le trasmissioni radio, attirandoli come abbiamo fatto noi, alcuni rimarrebbero qui e si moltiplicherebbero come mosche nel preciso momento in cui tentassimo di usare di nuovo l’elettricità. E nel frattempo possono vivere dell’elettricità statica che c’è nell’aria. Cosa fate qui alla sera?
— Cosa facciamo? Leggiamo, scriviamo, ci facciamo visita… c’è anche una discreta filodrammatica: Maisie è presidente degli Attori di Blakestown, e anch’io di tanto in tanto faccio qualche piccola parte. Spariti i film, tutti vanno pazzi per il teatro, e abbiamo scoperto qualche autentico talento. E poi c’è il club scacchistico, e le escursioni in bicicletta, le scampagnate… In verità, non c’è tempo di annoiarsi. Per non parlare della musica. Tutti, qui, suonano uno strumento, o per lo meno ci provano.