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Rimase seduto lì a sonnecchiare. Il trucco gli stava ormai colando dal volto. Ogni tanto riapriva gli occhi per lanciare una occhiata alla china della montagna che si stendeva sotto di lui. Poi, alla luce di un lampo, vide qualcosa avanzare in direzione della grotta.

Si alzò di scatto con la pistola in mano, e aspettò un altro lampo. Allora poté vedere il freddo metallo lucente, le luci rosse e verdi e i tentacoli metallici che si afferravano alle rocce per salire la china della montagna.

Era una macchina simile a quella che Barrent aveva vinta nell’Arena del Dipartimento della Giustizia. Ora sapeva ciò che Rend aveva cercato di dirgli. E poté capire come mai fossero pochi quelli che riuscivano a scampare anche abbandonando la città. Questa volta Max non aveva certo i comandi controllati per rendere meno impari il combattimento. E valvole a portata di mano.

Come Max giunse a tiro, Barrent sparò. Il colpo raggiunse lo scudo corazzato della macchina senza provocare alcun danno e Barrent fu costretto a uscire dalla grotta per riprendere la salita.

La macchina lo seguì, arrancando sul pendio bagnato della montagna. Allora il giovane cercò di far perdere le sue tracce su un tratto molto frastagliato, ma non servì. Barrent si rese conto che Max doveva seguire un tipo di odore che lui emanava, forse l’odore della vernice indelebile che portava sulla faccia.

Su di un tratto molto ripido, Barrent fece rotolare dei sassi verso la macchina, nella speranza di provocare una valanga. Max riuscì a schivare la maggior parte dei ciottoli, e quelli che lo colpirono non ottennero alcun effetto.

Alla fine Barrent si trovò in una gola chiusa. Impossibile ormai proseguire la salita. E aspettò. Quando la macchina lo ebbe raggiunto sollevò la pistola contro lo scudo di metallo e sparò.

Max vibrò per un attimo sotto il colpo ravvicinato dell’arma, poi fece cadere la pistola dalle mani di Barrent, e allungò un tentacolo afferrandolo al collo. Il metallo si strinse, e Barrent si sentì soffocare, ma ebbe il tempo di chiedersi se il tentacolo lo avrebbe strangolato o se gli avrebbe rotto il collo.

Improvvisamente la pressione cessò. La macchina si era ritirata di alcuni passi. Nello stesso istante Barrent vide le prime luci dell’alba.

Era sopravvissuto alla Caccia. La macchina era programmata in modo da non uccidere dopo il sorgere del sole. Ma non liberò la stretta. E lo tenne prigioniero contro la montagna finché non giunsero i Cacciatori.

Barrent venne scortato a Tetrahyde dove una folla plaudente e frenetica lo accolse come un eroe. Dopo una sfilata di due ore lui e altri quattro sopravvissuti vennero portati all’ufficio del Comitato di Premiazione. Dopo un breve discorso inneggiante all’abilità e al coraggio da loro dimostrato, il Presidente assegnò a ciascuno il titolo di Hadji e diede l’orecchino d’oro distintivo del nuovo rango.

Alla fine il Presidente augurò a tutti una morte senza dolore nelle Gare.

XVIII

Le guardie fecero uscire Barrent dall’ufficio del Comitato e lo scortarono fino a una cella situata sotto l’Arena. Gli dissero di essere paziente: le Gare erano già cominciate e il suo turno sarebbe venuto presto.

C’erano nove uomini stipati in quella cella costruita per ospitare al massimo tre persone. Tutti erano seduti o sdraiati in silenziosa apatia, quasi rassegnati alla morte. Uno solo sembrava non essersi conformato alla situazione e, come Barrent entrò, gli si fece incontro.

«Joe!»

Il piccolo truffatore sorrise con amarezza.

«Un brutto posto per rivederci, Will.»

«Cosa ti è accaduto?»

«Su Omega la politica è una brutta faccenda» disse Joe. «Specialmente nei periodi vicini alle Gare. Pensavo di essere al sicuro, invece…» Scosse le spalle. «Sono stato scelto questa mattina per le Gare.»

«C’è possibilità di non farle?»

«Sì» rispose Joe. «Ho detto di te alla tua ragazza. Forse i suoi amici possono fare qualcosa. Per me, sono in attesa di una sospensione.»

«È possibile?» chiese Barrent.

«Tutto è possibile. Comunque è meglio non sperare.»

«Come sono le Gare?» chiese Barrent.

«Esattamente ciò che ci si può aspettare» rispose Joe. «Combattimenti contro altri uomini, battaglie contro vari tipi di flora e di fauna di Omega, duelli con pistole a raggi e a calore. Tutto è stato copiato dai vecchi spettacoli sulla Terra, così mi hanno detto.»

«E se qualcuno sopravvive» disse Barrent «passa al dilà della legge.»

«Esatto.»

«Ma cosa vuol dire?»

«Non lo so» rispose Joe. «Pare che nessuno sappia molto su questo argomento. Tutto quello che sono riuscito a scoprire è che i vincitori delle Gare vengono presi dal Nero. E sembra che non sia una cosa piacevole.»

«Ben poche cose di Omega sono piacevoli.»

«Non è un brutto posto» disse Joe. «Tu non sei ancora entrato nell’ordine…»

Fu interrotto dall’arrivo di un distaccamento di guardie. Era ormai tempo di entrare nell’Arena.

«Niente sospensioni» sospirò Barrent.

«Be’, è andata così» commentò con amarezza Joe.

Furono fatti allineare dietro la porta di ferro che separava l’ala delle celle dall’Arena vera e propria. Ma un attimo prima che il capitano delle guardie facesse aprire la porta, videro giungere di corsa da un corridoio laterale un uomo grasso e ben vestito, che agitava un foglio.

«Cos’è?» chiese il capitano.

«Un’ordinanza» disse il grassone porgendo la carta al capitano. «Qui troverete l’ordine di sospensione e di estinzione» disse togliendo altre carte dalla tasca. «Qui la dichiarazione del fallimento, l’ipoteca sui beni mobili, l’ordine di habeas corpus, e il pignoramento del salario.»

Il capitano spinse indietro l’elmetto e corrugò la fronte.

«Non riesco mai a capire quello che voi avvocati dite. Cosa significa?»

«Che deve essere rilasciato» disse il grassone indicando Joe.

Il capitano guardò le carte con un’occhiata distratta.

«Va bene» disse «portatelo via. Ai vecchi tempi non succedevano cose simili! Niente avrebbe potuto fermare l’ordine fissato delle Gare.»

Con un sorriso trionfante Joe uscì dalla fila dei prigionieri e si avvicinò all’avvocato.

«Non avete nessuna ordinanza per Will Barrent?»

«No. Il suo caso è all’esame di altre persone. Mi spiace, ma non potrà venir presa alcuna decisione prima della fine delle Gare.»

«Allora forse sarò morto» borbottò Barrent.

«Questo, ve lo posso assicurare, non impedirà che il caso venga escusso» disse l’avvocato, con orgoglio. «Vivo o morto, otterrete i vostri diritti.»

Il capitano si volse ai prigionieri.

«Bene, andiamo» ordinò.

«Buona fortuna» gridò Joe. Poi la fila dei prigionieri oltrepassò la soglia dell’Arena.

Barrent sopravvisse ai duelli a corpo a corpo in cui un quarto dei prigionieri morì.

Poi, uomini armati di spada, vennero messi a confronto con la fauna più feroce di Omega. Tra quegli animali c’erano l’hintolyte e l’hintosced, pachidermi dalle enormi zanne che abitavano il deserto a sud di Tetrahyde.

Alla morte del quindicesimo prigioniero, tutti gli animali erano stati uccisi.

Barrent combatté contro un saunus, nero rettile volante delle montagne dell’ovest. Per un attimo quasi venne sopraffatto da quella creatura dai denti avvelenati. Poi, appena in tempo, riuscì a trovare la soluzione. Smise di colpire il corpo del rettile e concentrò tutti i suoi sforzi sulle ali, più delicate. E quando finalmente riuscì, il saunus perse l’equilibrio di volo e andò a cozzare contro il muro che divideva l’Arena dagli spalti. Allora fu relativamente facile vibrare il colpo di grazia nell’unico occhio del rettile.

Subito si levò all’indirizzo di Barrent l’applauso entusiastico della folla.