Il giovane si ritirò in panchina per una pausa, e prese a osservare quelli che stavano combattendo contro i trichometredi, piccole creature della grandezza di un topo, incredibilmente veloci, e di una voracità spaventosa. Furono impegnate cinque squadre di prigionieri.
Dopo un breve interludio di duelli a corpo a corpo, l’Arena venne sgomberata.
E fecero il loro ingresso i criatins. Erano animali anfibi, molto lenti, ma protetti da una corazza di scaglie spesse parecchi centimetri. Avevano una lunga coda a frusta che, oltre a servire da antenna, risultava inesorabilmente fatale, a chiunque si fosse avvicinato. Barrent dovette combattere contro uno di questi animali che aveva liquidato quattro suoi compagni.
Aveva osservato attentamente i combattimenti che avevano preceduto il suo, e aveva scoperto l’unico punto a cui l’antenna del criatin non poteva giungere. Barrent aspettò il momento opportuno poi balzò proprio di fronte all’animale. E come lo scudo si aprì per permettere all’animale di spalancare la gigantesca bocca, Barrent menò un fendente proprio nell’apertura. Il criatin spirò con prontezza veramente lodevole, e la folla manifestò la sua ammirazione lanciando i cuscini nell’Arena.
La vittoria lasciò Barrent solo sulla sabbia insanguinata. Tutti gli altri prigionieri erano morti, o feriti in maniera troppo grave per poter continuare il combattimento. Rimase ad aspettale, chiedendosi quale animale il Comitato delle Gare gli avrebbe messo di fronte.
Un viticcio spuntò dalla sabbia, e poi un altro. In pochi secondi un grosso tronco crebbe nell’Arena. Altri viticci vennero spinti sulla sabbia. E come incontravano carne, viva o morta che fosse, la portavano a cinque piccole bocche situate alla base del tronco. Si trattava di un carrion delle paludi dell’estremo nord, trasportato con grandi difficoltà. Si diceva fosse vulnerabile al fuoco, ma Barrent non aveva fuoco a disposizione.
Brandendo la spada con entrambe le mani Barrent mozzò alcuni tentacoli, ma subito altri crebbero al loro posto. Allora cominciò a colpire all’impazzata, per evitare di essere circondato. Era stanco, e i tentacoli tornavano a crescere più veloci che mai. Quella maledetta pianta sembrava indistruttibile.
La sua sola speranza stava nei pigri movimenti dell’albero. Uscì dall’angolo nel quale stava per essere intrappolato, e si lanciò verso una seconda spada che giaceva seminascosta nella sabbia, a una ventina di metri. La raccolse e in quel momento sentì il grido di avvertimento della folla.
Un tentacolo gli afferrò la caviglia. Subito se ne liberò con un colpo di spada, ma altri tentacoli gli avevano circondato la vita. Allora puntò i talloni nella sabbia, e picchiò le spade una contro l’altra nel tentativo di provocare una scintilla.
Ma al primo colpo una delle spade si ruppe a metà.
Provò ancora, mentre i tentacoli lo trascinavano verso le bocche, e alla fine una pioggia di scintille sprizzò dall’acciaio. Una toccò un tentacolo.
Con incredibile rapidità la liana venne avvolta dalla fiamma, che poi si spostò verso la pianta. Le cinque bocche si contorsero mentre il fuoco stava per raggiungerle.
Se la situazione si fosse protratta, Barrent sarebbe morto bruciato in mezzo all’Arena. Ma le fiamme avevano cominciato a lambire le pareti di legno che cingevano lo stadio, e le guardie furono costrette a intervenire per salvare gli spettatori, e di conseguenza lui.
Barcollando per la stanchezza Barrent si portò in mezzo all’Arena, chiedendosi cosa lo aspettava adesso. Ma nulla accadde. Dopo alcuni istanti, dal palco del Presidente venne fatto un segnale e tutta la folla proruppe in un applauso.
Le Gare erano finite. Barrent era sopravvissuto.
Tuttavia nessuno abbandonò il proprio posto.
Gli spettatori erano in attesa di vedere Barrent passare al dilà della legge.
Poi udì la folla mormorare riverente, e si girò di scatto. Allora vide un piccolo punto luminoso apparire a mezz’aria. Crebbe, e divenne troppo brillante per essere fissato. Barrent ricordò le parole di Zio Ingemar. “A volte il Nero ci ricompensa apparendo davanti a noi in tutta la sua spaventosa bellezza di fuoco. Sì, Nipote, io ho avuto il privilegio di vederlo. Due anni fa apparve dopo la conclusione dei Giochi. E nella stessa occasione apparve l’anno precedente…”
Il punto era diventato una sfera rossa e gialla del diametro di circa sei metri. A un tratto il centro si assottigliò, e la parte superiore divenne scura. C’erano due globi, adesso. Uno luminoso e uno nero, congiunti da un sottile filamento.
E mentre Barrent fissava il globo nero, lo vide trasformarsi nella inconfondibile testa cornuta del Nero…
Cercò di fuggire ma la mostruosa figura si lanciò in avanti e lo avvolse. Cercò di gridare. Ma svenne.
XIX
Riprese conoscenza in una stanza dal soffitto molto alto immersa nella penombra. Era coricato su di un letto e due persone, intente a discutere, gli stavano accanto.
«Non c’è più tempo per aspettare» disse uno dei due. «Dovreste capire l’urgenza della situazione.»
«Il dottore ha consigliato altri tre giorni di assoluto riposo.»
Era una voce di donna. Dopo un attimo Barrent riconobbe la voce di Moera.
«Tre giorni possiamo aspettare.»
«Inoltre deve venire istruito.»
«Mi avete detto che è intelligente. L’istruzione non dovrebbe richiedere molto tempo.»
«Potrebbe durare settimane.»
«Impossibile. L’astronave atterra fra sei giorni.»
«Eylan» disse Moera «voi volete affrettare troppo i tempi. Non possiamo farlo ora. Al prossimo Giorno dell’Atterraggio saremo molto più preparati…»
«La situazione potrebbe non essere più sotto controllo» ribatté l’uomo. «Mi spiace, Moera, dobbiamo usare Barrent immediatamente, o rischieremo di non poterci affatto servire di lui.»
«Usarmi per cosa?» chiese Barrent. «Dove sono? Chi siete voi?»
L’uomo si volse verso il letto. Nella debole luce Barrent vide un vecchio magro che si chinava verso di lui.
«Sono felice che vi siate risvegliato» disse il vecchio. «Mi chiamo Swen Eylan. Sono il Comandante del Gruppo Due.»
«Cos’è il Gruppo Due?» chiese Barrent. «Come avete fatto a portarmi fuori dell’Arena? Siete agenti del Nero?»
Eylan sorrise.
«Non esattamente agenti. Vi spiegherò tutto in poche parole. Prima, però, è meglio che mangiate e beviate qualcosa.»
Un’infermiera entrò con un vassoio. E mentre Barrent mangiava Eylan prese una sedia e parlò del Nero.
«Il nostro Gruppo» disse Eylan «non può essere considerato il propagatore della religione del Male. Sembra che questa si sia divulgata spontaneamente. E dato che c’era, noi, occasionalmente, ne abbiamo fatto uso. I preti sono stati ottimi collaboratori. Dopo tutto i predicatori del Male considerano la corruzione un valore positivo. Inoltre, agli occhi dei preti di Omega, l’apparizione di un falso Nero non è anatema. Al contrario, nella ortodossa adorazione del Male, il culto delle false immagini è tenuto in gran conto, specialmente se sono grandi, sinistre, impressionanti come quella che vi ha raccolto nell’Arena.»
«Come avete fatto a produrre quella visione?» chiese Barrent.
«È stata ottenuta per frizione di superfici e piani di forza» rispose Eylan. «Per maggiori particolari dovreste chiedere ai nostri tecnici.»
«Perché mi avete salvato?» chiese Barrent.
Eylan si rivolse a Moera, ma la ragazza si strinse nelle spalle.
«Vorremmo servirci di voi per un lavoro importante» rispose Eylan, agitandosi, a disagio. «Prima di parlarvi di questo però penso che dobbiate sapere qualcosa sulla nostra organizzazione. Dovreste avere una certa curiosità.»
«Infatti» rispose Barrent. «Siete una specie di élite di criminali?»