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Si asciugò, si vestì e si guardò allo specchio. Aveva un aspetto abbastanza presentabile. Un uomo grasso non ha bisogno di sembrare pulitissimo. I chirurghi plastici che avevano progettato la sua pelle avevano fatto in modo che la sua faccia avesse sempre l’aria di una faccia rasata da tre ore, così da non avere la necessità di radersi nuovamente prima di un’altra mezza giornata. Non avevano ancora risolto il problema della crescita, nel senso che la sua barba non cresceva, ma Bridger non se ne preoccupò.

Ed ora, all’inseguimento di quei tre Dirnani…

Uscì dalla stanza e si recò al pianterreno. Il motel aveva una sala cocktail annessa, proprio sotto la strada; un locale fantasioso con una cascata che cadeva scrosciando sopra una barriera di vetro. Ancora acqua! Bridger entrò nella sala. Vide gruppetti di uomini, tre o quattro per volta, intenti a bere le loro bevande. Erano vestiti in modo molto formale: capì che erano uomini d’affari. Prese posto al bar, ed una ragazza si diresse verso di lui per prendere la sua ordinazione. Il suo ridottissimo costume metteva in mostra un bel po’ di carne, e Bridger osservò con un certo fascino che i suoi seni pressoché nudi erano rivestiti da una strana sostanza fluorescente. Nella fioca luce del locale, il bagliore verde-azzurro del suo petto creava un effetto vistoso. Un nuovo stile, eh? Non era di suo gusto, ma in fondo i Kranazoi non erano mammiferi, e lui non riusciva ad apprezzare affatto il significato erotico di quei seni.

La ragazza protese le sue mammelle luminose verso di lui e gli chiese: — Desidera?

— Sherry con ghiaccio — rispose Bridger.

Ne ricavò un’occhiata perplessa. Evidentemente nessun vero uomo avrebbe bevuto qualcosa di così leggero. Bridger si limitò a fare una smorfia. Sapeva che lo sherry era soltanto un vino rafforzato, con un contenuto alcolico inferiore al dieci per cento. Bene. Per il suo metabolismo l’alcool era un veleno, e meno ne consumava meglio era. Aveva bisogno di bere qualcosa, per inserirsi in qualche modo nelle conversazioni della sala cocktail, ma era bene che fosse il più leggero possibile.

La ragazza gli porse il suo sherry. Lui la pagò, e lei si diresse ancheggiando verso il prossimo cliente. Bridger sorseggiò lentamente la sua bevanda.

Poi si mise ad ascoltare. Il suo sistema auditivo era molto sensibile.

— … aumentato il dividendo per quattro anni di fila, ed ho la loro parola che in aprile triplicheranno i profitti…

— … e così l’ha portata nella stanza, capisci, ma quando le ha tolto i vestiti si è accorto che…

— … i Braves non hanno la minima possibilità, se Pasquarelli parteciperà alla Tournee in Giappone…

— … qualsiasi cosa dicano a proposito di quella dannata palla di fuoco, io mi rifiuto di credere che fosse solo…

— … in quella sottodivisione sono rimasti sette lotti, ma tre di loro sono già mezzi venduti a…

— … come si fa a discutere di guadagni di sei bigliettoni per azione?…

— … quarantuno fuori campo con un polso slogato…

— … e allora lei ha detto, dammi cinquanta testoni, o chiamo un poliziotto, e allora lui…

— … disco volante…

— … aumentare gli utili azionari, quelle sì che sono spese extra…

— … sottobanco adesso, ma verranno ammesse alle contrattazioni tra…

— … certo che credo a quella storia! Stammi a sentire, amico, si trovano dappertutto, ora…

— … hanno preso questo giocatore messicano, no, cubano…

— … le ha dato un bel calcio nel sedere…

— … quando la banca interverrà, potremo…

Bridger bevve con cautela un altro sorsetto del suo sherry. Poi scese pesantemente dallo sgabello ed attraversò la sala, facendo del suo meglio per darsi un contegno amichevole e gioviale. Si soffermò un attimo accanto ad un capannello di quattro persone, che non gli fecero molto caso. Una cameriera con le cosce color porpora gli passò vicino. Gli uomini erano giovani, giudicò Bridger, ma non troppo. Quando due di loro alzarono gli occhi verso di lui, l’agente Kranazoi fece un ampio sorriso e disse, con la voce più affabile che gli riuscì di tirar fuori: — Scusatemi l’intrusione, amici, ma non ho potuto fare a meno di sentire i vostri discorsi su quel disco volante…

CAPITOLO TREDICESIMO

Mirtin sapeva che stava violando le regole, per il modo in cui aveva stretto amicizia con il ragazzo indiano. Un Dirnano costretto ad atterrare sulla Terra avrebbe dovuto, in generale, evitare qualsiasi contatto con i terrestri; erano consentite alcune eccezioni per proteggere la propria vita, ma lui aveva abbondantemente oltrepassato i limiti. Tra le cose che non avrebbe dovuto fare c’era il rivelare gli scopi della missione Dirnana, parlare dell’ubicazione e della civiltà di Dirna, o consentire a qualsiasi terrestre di accedere all’attrezzatura in dotazione all’osservatore che era atterrato. Mirtin aveva fatto tutte queste cose.

Eppure non si sentiva molto in colpa. Aveva servito il pianeta madre con efficienza e fedeltà per lungo tempo. Per un periodo che, in base al conteggio usato dalla razza di Charley Estancia, corrispondeva a centinaia di anni, Mirtin aveva rispettato tutte le regole. Adesso che era vecchio gli si poteva consentire qualche piccola distrazione.

Inoltre c’era da considerare Charley. Mirtin vedeva il ragazzo crescere e maturare da una sera all’altra. La materia prima era buona: una mente sveglia e curiosa, una natura assetata di conoscenza e di esperienza. L’ambiente aveva ostacolato Charley collocandolo in un «enclave» dove venivano conservate delle caratteristiche volutamente primitive. Mirtin aveva l’impressione che l’universo dovesse a Charley Estancia qualcosa di un pochino più grande del suo villaggio di fango. Se, come era accaduto, l’universo aveva scelto Mirtin di Dirna come strumento di riscatto del ragazzo, Mirtin non poteva che accettare quel fatto, senza preoccuparsi troppo dei regolamenti di sicurezza. A volte il mero patriottismo doveva cedere il passo di fronte a necessità più elevate.

Charley se ne stava accucciato accanto a lui, e giocherellava con gli strumenti rilucenti che Mirtin gli aveva permesso di estrarre dalla tuta.

— A che serve questo? — domandò il ragazzo.

— Quello è… be’, noi lo usiamo come generatore portatile. Produce elettricità.

— Ma io posso tenerlo in mano. C’è dentro un piccolo magnete, da qualche parte? Come funziona?

— Attinge al campo magnetico del pianeta — spiegò Mirtin. — Tu sai che ogni pianeta è come una grande calamita?

— Già, sì, certo che lo so.

— Questo strumento crea linee di forza che si dirigono in senso contrario al campo magnetico del pianeta. Tu spingi quella leva ed esso attraversa le linee magnetiche, inducendo una corrente. Noi lo chiamiamo il «borsaiolo», Charley, perché sembra rubare energia dall’aria rarefatta. Naturalmente non la ruba, la prende solo in prestito.

— Posso provarlo?

— Fai pure. Ma in che modo?

Il ragazzo indicò la borraccia. — Hai lasciato un po’ d’acqua. Se davvero questo strumento crea corrente, dovrei riuscire a scinderla, no? In idrogeno e ossigeno. Com’è il termine? Elettro… elettri…

— Elettrolisi — concluse Mirtin. — Sì, funzionerà. Ma sii prudente.

— Ci puoi scommettere.

Mirtin mostrò al ragazzo come si estraevano gli elettrodi. Con grande precisione Charley preparò lo strumento per l’uso ed infilò gli elettrodi nell’acqua. Poi attivò il generatore. Entrambi osservarono divertiti la corrente che frantumava le molecole d’acqua secondo le previsioni.

— Ehi, funziona! — esclamò Charley. — Senti, posso aprirlo? Voglio vedere che cosa c’è lì dentro che crea la corrente.

— No — rispose deciso Mirtin.

— Non vuoi proprio? Lo rimetterò a posto subito, così come è adesso. Non farò nessun danno.