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Due giorni trascorsero in quel modo.

Vennero i danzatori della Società del Fuoco e scelsero Tomas Aguirre, quel grosso sciocco. Lo iniziarono, e poi presero Mark Gachupin. Di solito sceglievano solo tre nuovi membri ogni anno. Charley si domandò che cosa avrebbe fatto se fossero venuti a prendere lui. Sarebbe andato con loro, per poi scoppiare a ridere nel bel mezzo dei sacri riti? O si sarebbe semplicemente voltato e sarebbe corso via? Lo avrebbero chiamato con il suo nome indiano, Tsiwaiwonyi, un nome che non usava mai. Alcuni dei vecchi tentavano di chiamare la gente con il nome indiano, ma Charley era attaccato al suo nome di battesimo. Se gli dicevano «Tsiwaiwonyi, vieni con noi al kiva», lui rimaneva lì a bocca aperta.

Ma naturalmente non vennero da lui; non lo volevano. Il mattino del terzo giorno scelsero José Galvan, e Charley seppe che per un altro anno poteva stare tranquillo. Adesso poteva tornare nel deserto e scusarsi con Mirtin, e raccontargli della cerimonia, e magari anche restituirgli il laser, poiché Charley si sentiva molto in colpa per averlo preso. Incartò un bel po’ di tortillas, riempì una borraccia d’acqua, e lasciò tranquillamente il villaggio mentre nessuno era in vista.

Era a metà del tragitto che conduceva alla caverna di Mirtin, quando si accorse che qualcuno lo seguiva.

Dapprima udì uno scricchiolio di ramoscelli secchi alle sue spalle. Poteva trattarsi di qualsiasi cosa, da un coniglio selvatico diretto alla sua tana ad una lince in cerca di preda. Charley si fermò e si voltò, ma non vide nulla di strano. Tuttavia non era convinto. Dopo qualche altro passo gli sembrò di udire un colpo di tosse soffocato. I conigli non tossivano. Charley si girò all’improvviso e scorse la figura alta e magra di Marty Moquino che si trovava ad una decina di metri dietro di lui.

— Ciao — disse Marty, gettando via il mozzicone di sigaretta ed accendendone un’altra. — Dove te ne vai, Charley?

— A spasso.

— Tutto solo nel cuore dell’inverno?

— Quello che faccio non ti riguarda — replicò Charley, cercando di nascondere il panico. Perché Marty lo aveva seguito dal villaggio? Sapeva della caverna e del suo occupante? Se lo avesse scoperto, sarebbe stata la fine di Mirtin. Senza alcun dubbio Marty lo avrebbe venduto al governo. Oppure ai giornali.

— Perché non mi porti dove stai andando? — gli chiese Marty Moquino.

— Sto solo facendo una passeggiata.

— Già. Pare che tu la faccia tutte le sere. Ti ho tenuto d’occhio, ragazzo. Cosa c’è là fuori, dunque?

— N… niente.

— E che cos’hai in quel pacchetto che porti con te? Fammi dare un’occhiata.

Marty fece un paio di passi avanti. Charley strinse a sé l’involto con le tortillas ed indietreggiò. — Lasciami in pace, Marty. Non ho niente a che spartire con te.

— Voglio sapere che cosa succede.

— Per favore, Marty…

— Hai un amico nascosto laggiù? Magari un prigioniero evaso di prigione, e te ne prendi cura? Forse c’è una taglia su di lui, eh? E tu invece sei così scemo da assisterlo. Come stanno le cose, Charley?

Charley fu scosso da un leggero brivido. Marty continuava ad avanzare verso di lui, e Charley ad indietreggiare, ma la cosa non poteva proseguire a lungo. Se si fosse messo a correre, non sarebbe mai riuscito a distanziare Marty Moquino, con quelle gambe lunghe che aveva. L’unica cosa da fare era fingere.

— Non c’è niente da sapere — asserì ostinato Charley. — Non so di che cosa stai parlando.

Un braccio magro scattò, e dita robuste afferrarono la carne di Charley. Marty Moquino torreggiava su di lui, volgare e crudele. — Ti ho tenuto d’occhio — gli disse — fin da quella notte in cui sei capitato addosso a me e Maria. Quando scende il buio, tu prendi una borraccia, riempi un pacchetto di cibo, forse, e te ne vai nel deserto. Dunque hai un amico laggiù, vero? Stavolta dovrai portarmi da lui, altrimenti te ne farò pentire.

— Marty…

— Portami là.

— Lasciami… andare…

Le dita affondarono ancor più nel braccio di Charley, il quale, dimenandosi come un forsennato, riuscì però a liberarsi. Scappò via e fece una dozzina di passi di corsa, poi si fermò. Naturalmente Marty Moquino lo inseguì. Ma Charley estrasse il laser dal nascondiglio sotto la camicia e lo puntò al petto di Marty come se fosse una pistola.

— Che diavolo hai lì? — gli domandò Marty.

— Un raggio della morte — rispose Charley. Gli tremava tanto la voce che le parole gli uscirono a fatica. — Una leggera pressione e ti faccio un buco nella pancia. Dico davvero.

Marty sghignazzò. — Adesso so che sei proprio matto, ragazzo!

Però non si mosse. Charley continuò a tenergli puntato addosso il laser.

— Voltati e ritorna al villaggio, Marty. Sennò farò fuoco. Ti ucciderò, te lo giuro. — Il cuore gli batteva all’impazzata, e sul momento era convinto di ciò che diceva. Gli sarebbe piaciuto un mondo far fuori Marty Moquino. Con il laser avrebbe potuto fare un lavoro così completo che non sarebbe rimasto assolutamente nulla del suo corpo, e non avrebbero mai potuto arrestarlo.

Sorridendo beffardamente, Marty disse: — Metti via quello stupido giocattolo.

— Non è un giocattolo. Vuoi vedere? Vuoi che ti bruci la mano sinistra, tanto per incominciare?

Marty incominciò ad avanzare. Charley vide la sua gamba destra che muoveva il primo passo.

Attivò il laser e lo puntò verso una grossa iucca. Il raggio disintegrò in un attimo la pianta, aprendo un cratere profondo trenta centimetri e largo quasi un metro. Marty Moquino fece un salto all’indietro e si fece il segno della croce.

— Giocattolo, eh? — esclamò eccitato Charley. — Giocattolo? Ti taglierò le gambe! Ti spaccherò a metà!

— Che diavolo…

— Vattene! Di corsa! — Charley girò il laser e lo puntò verso terra, circa mezzo metro davanti ai piedi di Marty, bruciandogli con il bordo del raggio la punta degli stivali. Marty non attese ulteriori dimostrazioni. Divenne verde in faccia, poi se la diede a gambe. Charley non aveva mai visto qualcuno correre tanto veloce. Proseguì senza fermarsi giù per l’arroyo, poi su lungo la sponda opposta, oltre la sottostazione, finché scomparve in distanza. Charley gli lanciò dietro delle imprecazioni mentre l’altro si dileguava.

Poi si rese conto di essere debolissimo per la tensione. Si accasciò un attimo sulle ginocchia, finché non ebbe smesso di tremare. Sapeva di essere stato ad un pelo dall’uccidere Marty Moquino. Se soltanto fosse stato un po’ più arrabbiato, o un po’ più impaurito, avrebbe potuto deviare di pochi gradi l’angolo di mira del laser e ridurre Marty in molecole. Solo all’ultimo Charley era riuscito a controllarsi, altrimenti ora avrebbe avuto un cadavere sulla coscienza.

Si rialzò e ripose nuovamente il laser dov’era prima. Mordendosi forte le labbra, corse verso la caverna di Mirtin. Non sapeva con esattezza che cosa sarebbe successo ora, tranne che doveva assolutamente avvisare Mirtin dell’accaduto. Marty Moquino era fuggito in preda al terrore, ma avrebbe potuto ritornare e curiosare nei paraggi. Mirtin non era più al sicuro lì. Avrebbe dovuto trasferirsi in un’altra caverna, oppure chiamare i suoi amici perché lo portassero via. Altrimenti, senza alcun dubbio, Marty Moquino avrebbe scoperto in qualche modo la sua esistenza ed avrebbe avvisato quelli del governo.

Charley emerse dall’ultimo arroyo e si precipitò dentro la caverna di Mirtin.