Ma non poteva strisciare.
Non poteva muoversi affatto.
Era difficile valutare l’entità del danno fisico con il suo sistema nervoso in larga parte disinserito, ma Mirtin ipotizzò una frattura perpendicolare della spina dorsale. Braccia e gambe sembravano a posto, ma non reagivano agli stimoli motori, il che implicava una lesione alla spina dorsale. Con un po’ di tempo a disposizione, avrebbe potuto ripararla. Per prima cosa si sarebbe dovuto saldare l’osso, poi lui avrebbe dovuto rigenerare i fasci nervosi. Ci sarebbero voluti, ad occhio, un paio di mesi, tempo locale. Il suo corpo interiore, quello Dirnano, era fondamentalmente sano, perciò non doveva far altro che ricreare il guscio.
Sdraiato sulla schiena, lì all’aperto, però? In inverno? Senza cibo?
Il suo corpo aveva molte capacità particolari sconosciute sulla Terra, ma non poteva sopravvivere per un tempo indefinito senza cibo. Mirtin calcolò che sarebbe morto di fame molto prima di essersi ripreso al punto da potersi alzare e procurarsi da mangiare. Quello era comunque un discorso accademico; una settimana senz’acqua lo avrebbe spacciato prima. Aveva bisogno di un riparo, di cibo e di acqua, e nelle sue condizioni non era in grado di ottenere nessuna di quelle cose senza l’aiuto di qualcuno, il che significava che aveva bisogno di qualcuno che venisse in suo soccorso.
Vorneen? Glair? Se anche erano vivi, dovevano avere i loro problemi. Mirtin non era in grado di attivare il suo comunicatore, installato di lato proprio sopra l’anca, e non c’era alcun modo di trasmettere loro dei segnali. La sua unica speranza consisteva nell’arrivo di qualche terrestre dalle intenzioni amichevoli. E, in quel deserto, Mirtin non la riteneva una eventualità troppo probabile.
Si rese conto di essere destinato a morire.
Non ancora, però. Decise di aspettare tre giorni, e di vedere che cosa succedeva. A quel punto, la mancanza d’acqua avrebbe cominciato a tormentarlo seriamente, ed allora gli sarebbe rimasta solo la forza per disconnettere il resto del suo sistema nervoso, e scivolare così in una morte tranquilla. Il suo cadavere si sarebbe dissolto presto, anche in quel clima secco, ed un giorno avrebbero scoperto solo la sua tuta vuota. Quei corpi artificiali da terrestre erano stati progettati per putrefarsi rapidamente, ossa e tutto il resto, dopo che la scintilla vitale Dirnana si era spenta; gli organizzatori avevano preso le loro precauzioni per evitare che gli osservati venissero a conoscenza dei loro osservatori.
Mirtin attese.
Giunse il mattino, un lento incedere di chiarore che spuntava dal burrone. Attese con pazienza. Un altro mattino, poi un altro ancora, e tutto sarebbe finito. Rivide la sua vita. Pensò a Glair ed a Vorneen, a quanto profondamente li aveva amati. Si domandò, con la massima tranquillità, se era stato utile donare così la sua vita per quel mondo.
Alla fine si rese conto che qualcuno si stava avvicinando.
Mirtin non se lo aspettava. Era già rassegnato a rimanere sdraiato con la schiena spezzata in mezzo al deserto per i tre giorni da lui scelti volontariamente, lasciando che il tempo passasse, e consumandosi poco a poco. Invece sembrava che sarebbe stato scoperto.
Benché non fosse in grado di sollevare la testa, poteva girare gli occhi. Scorse ad una certa distanza un terrestre ed un piccolo animale domestico che si dirigevano verso di lui, seppure senza intenzioni apparenti. Si muovevano con circospezione, l’animale saltellando e dimenandosi, il terrestre fermandosi ogni tanto per lanciare delle pietre nel burrone. Mirtin discusse tra sé e sé la miglior condotta da seguire. Una morte rapida, subito, prima di essere scoperto? Se esisteva il minimo rischio che potesse essere condotto di fronte alle autorità, era impegnato da un giuramento ad uccidersi. Ma il terrestre sembrava giovane. Poco più che un ragazzo. Mirtin si costrinse a pensare in inglese, a mutare l’intero suo sistema di riferimenti. Che cos’era quell’animale? Aveva dimenticato gran parte di quello che sapeva sui mammiferi locali. Gatto, topo, pipistrello? Cane. Cane. Il cane aveva ormai identificato il suo odore. Una piccola e snella creatura bruna con una lunga coda dal ciuffetto bianco, un naso ruvido, occhi giallastri. Puntava su di lui, annusando. Mirtin poteva scorgere le ossa che sporgevano dal dorso della bestia. Il ragazzo lo seguiva.
Il muso nero era ormai davanti alla sua visiera. Il ragazzo era in piedi sopra di lui, con gli occhi sgranati, e la bocca aperta. Mirtin fece appello alle sue cognizioni. Il ragazzo era nell’età prepuberale; aveva forse dieci o undici anni. Capelli neri, occhi bruno-scuri, carnagione bruno chiaro. Membro di un gruppo negro? No. I capelli erano lisci, le labbra sottili, il naso stretto. Un membro degli aborigeni superstiti di quel continente. Parlerà inglese? Avrà intenzioni malvage? La bocca non era più spalancata. Adesso era chiusa, con gli angoli ripiegati all’insú. Un sorriso. Un segno amichevole. Anche Mirtin cercò di sorridere, e si accorse con sollievo che i suoi muscoli facciali funzionavano.
— Ciao — disse il ragazzo. — Sei ferito?
— Io… sì. Sono ferito molto gravemente.
Il ragazzo si inginocchiò accanto a lui. Occhi neri e scintillanti fissarono i suoi. Il cane, agitando la coda, annusò intorno a Mirtin, punzecchiandolo. Con una rapida manata il ragazzo fece allontanare l’animale. Mirtin provò simpatia per il giovane terrestre.
— Da dove vieni? — domandò il ragazzo con un filo di voce. — Sei caduto da un aeroplano?
Mirtin evitò la domanda imbarazzante. — Ho bisogno di cibo… di acqua…
— Già. Che cosa dovrei fare? Chiamare il capo? Possono far venire un camion, o forse portarti in ospedale ad Albuquerque.
Mirtin si irrigidì. Ospedale? Esame interno? Non poteva correre un rischio del genere. Se avesse lasciato che un medico terrestre gli puntasse sul corpo una delle sue macchine a radiazioni, e si accorgesse di quel che c’era sotto, il gioco era fatto. Sarebbe stato costretto ad uccidersi.
Scegliendo con cura le parole, Mirtin disse: — Potresti portarmi qui del cibo? Qualcosa da bere? Aiutami ad arrivare in quella caverna, vuoi? Solo finché non starò meglio.
Vi fu un lungo silenzio.
Poi — un colpo a caso, un guizzo di intuizione, forse? — il ragazzo strinse la bocca, emise una specie di fischio e disse: — Ehi, ho capito! Sei caduto dal disco volante!
Fu un centro pieno, e Mirtin lo accusò. Non era preparato ad una cosa del genere. Automaticamente disse: — Disco volante? No… no, non un disco volante. Io ero a bordo di una macchina. C’è stato un incidente. Sono stato lanciato fuori.
— E allora dov’è la macchina?
Gli occhi di Mirtin guardarono verso il burrone. — Laggiù, credo. Non lo so. Sono svenuto.
— Non c’è nessuna macchina. E da queste parti non è possibile guidare alcun veicolo. Stammi a sentire, signore, tu sei venuto da quel disco volante. Non prendermi in giro. Da quale pianeta vieni, eh? E come mai assomigli tanto a un terrestre?
Mirtin ebbe voglia di ridere. C’era tanta intelligenza in quel piccolo viso angoloso e schiacciato, una mente così acuta e scettica dietro quegli occhi scintillanti. Il ragazzo gli piaceva moltissimo. Poco più che uno straccione, che non parlava nemmeno troppo bene l’inglese, eppure Mirtin avvertiva un potenziale dentro di lui, una scintilla di qualcosa. Desiderò di poter essere onesto con il ragazzo, e di lasciar crollare il suo complicato castello di bugie.
Mirtin disse: — Puoi procurarmi del cibo? Qualcosa da bere?
— Intendi dire, portartelo qui?
— Sì. Se solo potessi stare dentro quella caverna… finché non mi sentirò di nuovo bene…
— Ma io potrei trovare aiuto giù al villaggio. Ti potremmo portare all’ospedale.
— Non voglio andare in un ospedale. Voglio solo restare qui… da solo.
Silenzio per un attimo.