— Sì. Sono atterrato — sorrise. I suoi occhi erano vivi, penetranti, ironici. Era di una bellezza improbabile, con le sembianze artificialmente piacenti di una stella del cinema. Kathryn si tenne a distanza. Si rendeva conto, non senza disagio, della bianchezza della sua pelle, del proprio abbigliamento piuttosto succinto, e della figlia addormentata nella stanza accanto. Cominciò a desiderare di non aver ceduto al folle impulso di portarlo dentro casa. L’uomo le chiese: — Dov’è il resto del suo gruppo sessuale?
— Il mio gruppo sessuale? — ripeté perplessa.
Lui rise. — Perdoni la mia stupidità. Il suo compagno. Suo… marito.
— È morto — rispose con un filo di voce Kathryn. — È rimasto ucciso l’altr’anno. Io vivo con mia figlia.
— Capisco. - Cercò di alzarsi, ma strinse i denti non appena provò a muovere la gamba sinistra. Kathryn si diresse verso di lui e protese una mano.
— No. Resti giù. Ha una gamba rotta.
— Pare di sì — replicò lui, costringendosi a sorridere.
— Lei è un medico?
— Ho un po’ di esperienza medica. Prima di sposarmi facevo l’infermiera. La sua gamba guarirà, ma non deve sottoporla ad alcuno sforzo per un po’ di tempo. In mattinata telefonerò ad un dottore, e lui gliela ingesserà.
L’amabilità abbandonò il volto dello straniero. — Deve proprio farlo?
— Che cosa?
— Chiamare un dottore. Non potrebbe prendersi cura lei, di me?
— Io? Ma io… lei…
— È moralmente proibito? Una donna già sposata che accoglie in casa sua un estraneo? Posso pagarla. C’è del denaro nella mia tuta. Mi lasci restare solo finché la mia gamba non starà meglio. Non le causerò alcuna noia, glielo prometto. Io… — Una fitta di dolore improvviso lo aggredì. Unì le mani, intrecciando le dita e protendendole verso l’esterno.
— Beva un po’ di questo — gli disse Kathryn, porgendogli l’anestetico.
— Non mi farebbe alcun bene. Io posso… vedermela da solo…
Lei lo osservò, disorientata, mentre era impegnato in qualche silenzioso processo interiore. Qualunque cosa stesse facendo, sembrò funzionare. I segni della fatica svanirono dal suo volto; si rilassò di nuovo, e gli tornò quell’espressione di distaccata ironia.
— Posso restare qui? — domandò.
— Forse. Per un po’. — Non osò chiedergli ora da dove provenisse, o chi fosse. — La sua gamba le fa molto male?
— Ce la farò. Credo che le vere lesioni siano interne. Ho preso una brutta botta quando… quando sono caduto. — Sembrava molto tranquillo in proposito, pensò lei. L’uomo riprese: — Non dovrà far molto per me. Ho bisogno di cibo e riposo, e di un po’ d’aiuto. La disturberò solo per poche settimane. Perché mi voleva togliere la fascia lombare?
Kathryn avvampò. — Per farla stare più comodo. E… e nell’eventualità che dovesse andare al bagno. Ma non ci sono riuscita. Non si apriva, ed io non sono stata capace di tagliarla. Poi si è svegliato.
La mano di lui corse al fianco sinistro e fece qualcosa che Kathryn non riuscì a seguire; la fascia gialla si aprì e cadde giù, così rapidamente che lei si portò la mano alle labbra per l’inaspettata sorpresa. Stranamente, nella sua nudità non c’era nulla di insolito. Non sapeva che cosa si fosse aspettata di scoprire — forse qualche organo alieno, o più probabilmente una distesa di pelle liscia ed asessuata come quella di una bambola — ma lui aveva degli attributi piuttosto convenzionali. Kathryn guardò, poi distolse lo sguardo.
— Lei ha un forte tabù del nudo? — le chiese.
— Non proprio. Il fatto è che… oh, tutto questo è così strano! Dovrei aver paura di lei, ed invece non ne ho, e dovrei chiamare la polizia, ma non lo faccio, e… — Si riprese. — Le darò una padella per ammalati. Vuole che le cucini qualcosa da mangiare? Un po’ di minestra, o dei toast, magari? E mi faccia sfilare quella tuta da sotto il suo corpo; dormirà meglio senza.
Mentre gli toglieva l’indumento, l’uomo fece una breve smorfia di sofferenza, ma non disse nulla. Gli tolse nello stesso modo anche la fascia lombare. Sdraiato nudo e snello sul letto, le rivolse un sorriso di gratitudine. Kathryn lo coprì. Se la stava prendendo con molta calma, ma certo doveva soffrire più di quanto desse a vedere.
L’uomo disse: — Metterà al sicuro la mia tuta? In un posto dove nessuno possa mai trovarla?
— Va bene il retro del mio ripostiglio?
— Per il momento — rispose lui. — Voglio che nessuno tranne lei ne conosca l’esistenza.
Nascose la tuta dietro i vestiti estivi, sempre seguita dallo sguardo dell’altro. Rimboccandogli la coperta, gli domandò: — E adesso, qualcosa da mangiare?
— Domattina, direi. — La sua mano sfiorò quelle della donna. — Come si chiama?
— Kathryn. Kathryn Mason.
Lui non le disse come si chiamava, e Kathryn non riuscì a trovare la forza per chiederglielo.
— Posso fidarmi di lei, Kathryn?
— In che senso?
— Per mantenere segreta la mia presenza qui.
Lei fece una risatina chioccia. — Non sto cercando di creare uno scandalo nel vicinato. Nessuno saprà che lei è qui.
— Eccellente.
— Adesso le porterò la padella.
La donna provò un certo sollievo nell’allontanarsi da lui. La spaventava, e la sua paura stava crescendo, invece di diminuire, col trascorrere del tempo. La sua calma, soprattutto, era ciò che l’atterriva più di ogni altra cosa. Sembrava irreale, sintetico; tutto in lui suonava falso, dal viso troppo bello alla voce troppo morbida con i suoi accenti troppo dolci. E il fatto di essere passato in un quarto d’ora dall’incoscienza del delirio alla piena razionalità, in quel modo, era ancora più strano. Era come se avesse girato un interruttore dentro di sé, deviando altrove gli impulsi dolorifici.
Kathryn tremava. Prese la padella dal ripostiglio della cucina e la sciacquò.
In casa sua c’era una persona insolita, il che era sconvolgente.
In casa sua c’era uno straniero che poteva anche non essere un uomo, e questo era ancora più sconvolgente.
Ritornò da lui, e gli sorrise mentre infilava la padella sotto le lenzuola. Cercando di ritrovare la sua antica efficienza da infermiera, Kathryn gli chiese: — C’è qualcos’altro che posso fare per lei?
— Può darmi qualche informazione.
— Certamente.
— Alla radio, alla Tv, stanotte, hanno trasmesso notizie particolari da questa zona?
— La meteora — rispose lei. — L’ho vista anch’io. La grossa sfera di fuoco nel cielo.
— Dunque si trattava di una meteora.
— Così hanno detto alla televisione.
L’uomo rifletté per un attimo. Kathryn rimase in attesa, aspettandosi qualche rivelazione, magari la schietta ammissione della sua origine. Invece l’altro non si lasciò sfuggire nulla, limitandosi a guardarla in silenzio.
— Preferisce che spenga la luce? — gli chiese Kathryn.
Lui annuì.
La donna oscurò la stanza, e soltanto allora si rese conto che non le era rimasto alcun posto per dormire. L’uomo occupava quasi tutto il letto: non restava che uno spazio ristretto accanto a lui.
Si rannicchiò sul divano del soggiorno. Ma non riuscì a dormire, e quando, parecchie ore prima dell’alba, ritornò in camera sua, vide che anche lui aveva gli occhi aperti, e che il suo viso era nuovamente contorto in una rigida smorfia di dolore.
— Glair? — le domandò.
— Kathryn. Che cosa posso fare per lei?
— Solo tenere la mia mano fra le sue — sussurrò lui, e Kathryn fece ciò che le aveva chiesto. Rimasero così fino al mattino.
CAPITOLO SESTO