Glair non sapeva che cosa fosse una corte marziale, ma il terrestre sembrava chiaramente prossimo ad un collasso. Con voce dolce gli disse: — Ha bisogno di riposo. Non deve aver dormito per niente, mentre si prendeva cura di me. Ha l’aria afflitta.
Lui si inginocchiò accanto al letto, e le sollevò la coperta fino al mento, come se la vista dei suoi seni lo disturbasse o addirittura lo disgustasse. Il suo volto era vicinissimo a quello di Glair, e quest’ultima scorse il tormento negli occhi dell’uomo.
Con voce bassa e tagliente, lui bisbigliò: — Che cosa sei?
La storiella che si era improvvisata le salì spontaneamente alle labbra. — Sono iscritta ad un corso di pilotaggio. Sono decollata subito dopo cena dall’aeroporto di Taos insieme al mio istruttore, e sopra Santa Fe abbiamo cominciato ad avere noie al motore…
Le mani dell’uomo si chiusero in pugni massicci. — Stammi a sentire; la tua storiella è ben congegnata, ma io non la bevo. Sei stata qui in casa mia per tre giorni, nuda. Ti ho fatto da infermiere. Ho avuto tutta l’opportunità di esaminarti. Io non so che cosa tu sia, ma so quello che non sei. Non sei una bella ragazza di Taos che ha dovuto gettarsi col paracadute quando il suo jet è rimasto in panne. Non sei affatto umana. Non fingere. Per l’amor di Dio, dimmi che cosa sei, da dove vieni! Ho vissuto le pene dell’inferno, da quando sei qui dentro!
Glair esitò. Conosceva le regole che si dovevano osservare in caso di contatto accidentale con un terrestre. Bisognava evitare a tutti i costi di farsi scoprire per ciò che si era, soprattutto da parte di qualsiasi autorità governativa. Ma le regole non erano inflessibili. Si potevano intraprendere i passi che si ritenevano necessari per salvare la propria vita, e in certi casi si poteva addirittura ritenere ammissibile una giudiziosa rivelazione della propria vera identità. Lo scopo era quello di sopravvivere, e di abbandonare la Terra il più presto possibile. Ma, nelle sue condizioni fisiche, non poteva andare da nessuna parte, e quell’uomo costituiva la sua unica possibilità di sopravvivenza. Glair interpretò le regole nel senso che poteva confidarsi con lui in nome della sua salvezza, presumendo che una volta riuscita a sfuggire nessuno avrebbe prestato comunque fede alla storia dell’uomo.
— Che cosa pensi che io sia? — gli domandò.
— Sei atterrata nel deserto dopo il più clamoroso avvistamento di un globo di fuoco che si sia mai verificato. Non avevi un paracadute, ma solo una specie di tuta elastica piena di strani congegni. Farfugliavi qualcosa in una lingua che non avevo mai udito prima. D’accordo, potevo ancora pensare che tu fossi una spia di qualche paese straniero. Ma ti ho portato a casa. Non avrei dovuto farlo, e non so perché l’ho fatto, ma l’ho fatto lo stesso, ed ho fatto anche trasferire il guidatore del mio cingolato nel Wyoming perché non dicesse nulla, ti ho messo nel mio letto, ti ho sfilato la tuta, ed anche quella fascia che portavi sotto. Mentre facevo tutto ciò, continuavo a cercare di convincermi che tu fossi un essere umano.
Si alzò e si diresse verso la finestra, stringendo le grosse mani l’una nell’altra. Glair udì un rumore secco, mentre lui faceva schioccare le nocche.
Poi l’uomo riprese: — Ti ho esaminato. Le due gambe rotte. Mentre ne stavo osservando una, semplicemente toccandola per capire l’entità della lesione, ho sentito l’osso che scivolava al suo posto. Che razza di ossa hai, a proposito? Dovevano essersi spezzate di netto, eppure si sono rimesse in sesto da sole. Tu non sudi nemmeno. E non espelli rifiuti organici. L’attrezzatura è là, ma tu non te ne servi. La temperatura del tuo corpo è di ventinove gradi, e quanto al polso, non sono stato in grado di misurarlo. Quando ho cercato di praticarti delle iniezioni intravenose per nutrirti, non sono riuscito a trovare neanche una vena giusta, perciò ho dovuto infilarti il cibo nella bocca. Ma non so neppure se tu ne avessi davvero bisogno. — Tornò verso di lei e la fissò direttamente negli occhi. — Tu non sei un essere umano. Sei il perfetto guscio di plastica di una splendida ragazza, che ricopre Dio solo sa che cosa. Sei umana solo all’occhio. E allora che cosa sei?
Con voce tranquilla, Glair rispose: — Sono un’osservatrice. Vengo da Dirna, un lontano pianeta di un altro sole. Sei contento di saperlo?
Lui reagì come se fosse stato trafitto da una lama. Fece un passo indietro, emettendo un leggero sibilo, ed indurendo i lineamenti per lo stupore. Sollevò rigidamente la mano portandosela al petto, e strofinandoselo come se provasse dolore. Poi le chiese, con voce metallica: — Vieni da un disco volante, vero?
— Voi chiamate così le nostre navi. Sì.
— Dillo! Tu vieni da un disco volante! Pronuncia tutta questa stupida frase!
— Io vengo da un disco volante — mormorò Glair, sentendosi sciocca nel dire quella cosa sciocca.
Il terrestre si allontanò di nuovo da lei. — Potrei andare giù in città e tenere un sermone al Culto del Contatto, adesso — disse con voce roca. — Potrei raccontare loro della bellissima donna proveniente da un disco volante che ho trovato nel deserto, di come l’ho portata a casa, e curata, e delle storie che lei mi ha raccontato sul suo lontano pianeta. Le solite fesserie da visionari, come tante altre. Solo che tu sei reale, no? Tutte queste non sono allucinazioni! Capisci che cosa sto dicendo?
— In buona parte.
— Tutto questo sta realmente succedendo?
— Sì — rispose Glair a bassa voce. — Vieni qui.
Lui si avvicinò. Glair protese la mano verso il ruvido, muscoloso pistone che era il suo braccio. Non aveva mai toccato prima la carne di un terrestre. Le sue dita affondarono, ma la carne solida resistette alla sua stretta.
— Toccami — gli disse.
Lei allontanò la coperta dal suo corpo e la gettò a terra. Il terrestre sbatté gli occhi come se fosse stato accecato da una luce improvvisa. Abbassando lo sguardo su se stessa, sulle colline e sulle valli di quel corpo che negli ultimi dieci anni le era divenuto ormai familiare, Glair scorse le leggere bende marroni che le ricoprivano le gambe dalla caviglia al ginocchio. L’uomo l’aveva curata bene, facendo affettuosamente tutto ciò che poteva per guarire i suoi arti spezzati.
Lui la toccò.
Con una timidezza che sembrava fuori luogo in un uomo dall’aria così matura, posò le mani sulle sue spalle e le fece scorrere lungo le braccia. Di sfuggita, e solo per un attimo, sfiorò le protuberanze elastiche dei suoi seni. Carezzò i lati del suo addome e le rigide colonne delle sue cosce. Aveva il fiato corto, ansimante, irregolare; le sue mani tremavano, e Glair sentì l’odore acre del suo sudore sovrapporsi a quello più gradevole della sua carne. Ormai si era impratichita nella tecnica del sorriso, ed il suo sorriso non ebbe cedimenti mentre le mani di lui le frugavano la carne. Alla fine l’uomo si ritrasse, raccolse la coperta e gliela mise di nuovo sopra.
— Sono reale, o sono un sogno? — gli chiese.
— Reale. La tua pelle è così morbida… così convincente.
— Gli osservatori devono assomigliare a dei terrestri. A volte dobbiamo mescolarci a voi. Non spesso. Ma quando succede, dobbiamo sembrare uguali a voi. C’è però sempre la possibilità che qualcuno di voi si avvicini un po’ troppo e scopra cosa c’è sotto la nostra pelle. Non abbiamo alcun modo di cambiare la nostra natura interna e di riprodurre la vostra.
— Dunque è vero? Esseri provenienti dallo spazio osservano la Terra dai… dai dischi volanti?
— Da molti anni. Osserviamo la terra da molto prima che tu nascessi. Da molto prima che io nascessi. Le prime pattuglie giunsero qui molte migliaia di anni fa’. Oggi facciamo osservazioni assai più accurate di un tempo.
Il terrestre si portò le mani sui fianchi con un movimento istintivo, meccanico. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono.