Fredric Brown
Gli strani suicidi di Batlesville
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La mente usò il suo senso di percezione per studiare gli strani luoghi sconosciuti in cui era capitata. Non aveva né gli organi della vista né quelli dell’udito, ma il suo senso di percezione era altamente perfezionato. Poteva «vedere» distintamente ciò che la circondava entro un raggio di venti metri, e aveva una visione, per quanto offuscata, di tutto quello che si trovava entro una distanza di quaranta. Ma la sua «vista» non si fermava contro gli oggetti che formavano ostacolo. Poteva vedere la corteccia attaccata alla parte posteriore di un tronco di albero con la stessa chiarezza con cui vedeva quella della parte frontale. E poteva vedere nel terreno alla stessa distanza, e con la stessa chiarezza, con cui vedeva in ogni altra direzione. La sua abilità di avvertire le vibrazioni, poi, le permetteva di arrivare molto più lontano, ed era estremamente acuta.
Non riusciva soltanto a «vedere» ma anche a «udire» i vermi che scavavano la terra sotto il suo guscio. Ecco, i vermi l’avevano lasciata perplessa perché quella era una forma di vita inesistente su tutti gli altri mondi che la mente conosceva. Ma non le sembrava che rappresentassero un pericolo. La stessa cosa poteva dire dei piccoli uccelli che volavano in alto tra gli alberi. Quegli animali le erano quasi familiari. La vita degli uccelli tendeva a evolversi più o meno parallelamente su tutti i pianeti caldi con atmosfera sufficientemente densa da permettere un volo naturale. (Ma su quali mostruosi alberi si posavano! Alberi molte e molte volte più grandi di qualsiasi altro che la mente avesse mai conosciuto.) E c’era uno strano animale, a quattro zampe, addormentato in una profonda galleria nel terreno apparentemente scavata dall’animale stesso. Si trovava solo a una decina di metri di distanza.
Dato che il quattro-zampe dormiva, la mente capì che avrebbe potuto penetrare nel cervello dell’animale e impossessarsene. Ma sembrava non esserci nulla da guadagnare. Dove esistevano piccole creature dovevano certo vivere anche esseri più grandi, dotati di maggiore forza e capacità cerebrale. Forse anche…
Sì! Un secondo esame dei dintorni rivelò qualcosa che in un primo tempo la mente non aveva notato. A cinque o sei metri di distanza, in mezzo all’erba, c’era un coltello a serramanico dalla lama spezzata e arrugginita, evidentemente gettato via, o perso da qualcuno. Non lo riconobbe come un coltello a serramanico, ma, qualsiasi cosa fossef era chiaro che si trattava indubbiamente di una cosa artificiale. E le cose artificiali sottintendono una vita intelligente!
E significavano anche pericolo. La forma di vita intelligente poteva essere ostile, e la mente, dentro il suo guscio, era piccola e vulnerabile. Doveva assolutamente scoprire qualcosa su quella forma di vita intelligente, e cercare di sorprendere il primo esemplare nel sonno, così da poter entrare nel cervello della creatura. Così avrebbe potuto imparare molte più cose che non con la semplice osservazione.
Era in posizione alquanto esposta, vicino a quello che sembrava un sentiero. Doveva spostarsi almeno di qualche metro e mettersi in mezzo all’erba alta, dove non sarebbe stato possibile vedere il guscio. Questa mimetizzazione sarebbe stata inutile contro gli altri esseri della sua razza che si servivano della percezione anziché della vista. Ma c’era una possibilità contro mille che le creature intelligenti di questo pianeta, qualunque fosse il loro aspetto, avessero un altro senso parallelo a quello della vista. Sapeva che in nessuno delle migliaia di pianeti che conosceva, esistevano degli esseri con sviluppati sia il senso della vista che quello della percezione. Avevano o l’uno o l’altro. E sul quel pianeta, gli uccelli e il quattro-zampe avevano gli occhi.
Cercò di levitare per spostarsi di quei pochi metri, ma si accorse di non poterlo fare. Tuttavia non ne provò sorpresa. Da diversi segni aveva avuto il sospetto che questo pianeta, a differenza del suo mondo, fosse di forte gravità. E la sua specie, anche sul suo pianeta d’origine, aveva quasi perso il potere di levitare. La levitazione era una fatica e, dato che tutti loro avevano degli ospiti-schiavi, quando si presentava la necessità di muoversi preferivano farsi trasportare appunto da questi schiavi. Così il loro potere, non utilizzato, aveva finito col perdersi, allo stesso modo in cui si atrofizzano i muscoli che non vengono usati.
Dunque non aveva possibilità. Almeno finché non avesse trovato uno schiavo forte abbastanza da poterla muovere. E l’unica creatura addormentata nelle vicinanze, l’unica che la mente avrebbe potuto catturare, era troppo piccola e probabilmente non riusciva a pesare che la metà del peso della mente. Avrebbe potuto ridurre questo suo peso cercando di levitare mentre il quattro-zampe…
All’improvviso percepì qualcosa di nuovo, e concentrò tutta la sua attenzione da quella parte. Se si stava avvicinando un pericolo, mancava il tempo per provare se il piccolo animale sarebbe riuscito a portare il guscio in un buon nascondiglio.
In un primo tempo fu solo una vibrazione. Una vibrazione che poteva essere di passi. Passi, o qualche altra cosa equivalente. Poi ci fu un altro tipo di vibrazione. Questa volta giunse dall’aria e non attraverso il terreno. Era simile ai suoni che certi tipi di creature, normalmente intelligenti, usavano per comunicare tra loro. Sembrava che ci fossero due voci. Nella scala delle vibrazioni un tono era più alto dell’altro, e i due toni si succedevano, alternati. Naturalmente le parole non avevano nessun significato per la mente, e d’altra parte la creatura non poteva leggere nel pensiero. La sua specie era in grado di comunicare per via telepatica, ma soltanto fra esseri della stessa razza.
Poi vennero nel raggio della sua percezione-visiva. Erano due. Uno leggermente più grosso dell’altro, ma tutti e due di una certa grandezza. Evidentemente erano esseri della razza intelligente, o di una razza intelligente, dato che entrambi indossavano indumenti, e solo le razze intelligenti, durante un certo periodo dello sviluppo, portano indumenti. Stavano eretti, e avevano due gambe e due braccia. E anche due mani… Sarebbero stati degli eccellenti ospiti-schiavi, ma non c’era il tempo di pensarci, in quel momento. Doveva sopravvivere, fino a quando fosse riuscita a trovare una di quelle creature addormentate.
Erano di una specie a due sessi. Percepiva i loro vestiti, ma la sua percezione non si limitava a questi. Poteva studiare i loro organi interni allo stesso modo in cui osservava i loro corpi, e quelle due creature erano di sesso differente. Ed erano mammiferi.
Ma la cosa più importante era che si stavano avvicinando. Camminavano lungo il sentiero che passava a pochi centimetri dal guscio. L’avrebbero visto senz’altro.
Con disperazione si attaccò alla mente dell’unico schiavo possibile, il piccolo quattro-zampe. Non perse tempo a studiarlo. Svegliò il piccolo animale e lo fece correre come impazzito fuori dalla sua galleria. Bisognava intercettare i due stranieri. Cosa sarebbe accaduto, non poteva ancora saperlo, ma non aveva niente da perdere. Con quel piccolo schiavo, la mente era comunque meno sola che senza alcuno. Forse, ma era poco probabile, la piccola forma di vita poteva rappresentare un pericolo per i due esseri grandi. Forse era velenosa, o mortale in qualche altro modo. In tutta la galassia c’erano pianeti dove piccole forme di vita potevano, in un modo o nell’altro, terrorizzare creature molto più grandi. D’altra parte era anche possibile che gli esseri a due gambe cercassero di cacciare il quattro zampe per mangiarlo. In questo caso, la mente sperò che la piccola creatura sapesse correre velocissima. Avrebbe potuto far correre i due bipedi lungo il sentiero finché fossero stati molto lontani da lei. Poi, anche se fossero riusciti a prendere l’animaletto e a ucciderlo, la mente sarebbe stata salva. Il piccolo animale sarebbe stato ucciso o si sarebbe ucciso, in ogni caso. Come l’unico mezzo per farsi un ospite-schiavo era quello di penetrare in un cervello durante il sonno della creatura, così l’unico modo per uscirne era quello di provocarne la morte. E quello schiavo era troppo piccolo e debole perché la mente desiderasse di tenerlo più del necessario.