Alla fine decise di non preoccuparsi più del caso di Hoffman fino al pomeriggio del giorno dopo, quando avrebbe telefonato al laboratorio per sapere il rapporto su Buck. Se il cane fosse risultato affetto da rabbia, cosa che avrebbe spiegato almeno «una» delle tre morti, non avrebbe più pensato a quella storia e si sarebbe goduto le cinque settimane di vacanza che ancora gli restavano. Ma se Buck non risultava idrofobo…
Bevve l’ultimo sorso di birra, e si mise a letto. Pochi minuti più tardi dormiva.
7
La mente era ancora nella cavità dell’albero. Non si era più mossa dal momento in cui il cane l’aveva messa lì per poi andarsi a buttare sotto le ruote della macchina.
Da allora era entrata in un solo ospite-schiavo, ma soltanto per una esplorazione. Voleva una visione della zona più chiara di quella acquisita grazie a Tommy. Una visione a volo d’uccello. Così, poco prima dell’alba, dal suo nascondiglio, prese possesso di un corvo (sapeva che era un corvo per una immagine trovata nel cervello di Tommy). Aveva aspettato fino al sorgere del sole, poi l’uccello era partito per un ampio giro, in modo che la mente potesse vedere con gli occhi dell’animale. Volando molto in alto arrivò sopra la strada, e cominciò a seguirla cercando di ricordare con esattezza la posizione di ogni fattoria che sorvolava. Collegandosi ai ricordi di Tommy riuscì a ricostruire il numero degli abitanti della maggior parte delle fattorie, ognuno con le sue caratteristiche. Andò in volo fino alla casa che si trovava al termine della strada. Tommy aveva sempre creduto che fosse vuota, ma si era sbagliato. Nell’area davanti alla casa era parcheggiata una macchina.
Il corvo tornò indietro, seguendo la strada fino a Bartlesville, passando sopra la fattoria di Hoffman e dei Garner. Quando raggiunse la periferia del paese la mente lasciò che il corvo si riposasse su una pianta. Poi gli fece compiere un volo circolare sul paese, cercando ancora una volta di collegare ciò che vedeva con i ricordi di Tommy.
Un negozio per le riparazioni radio e televisive fu la cosa che l’interessò maggiormente. Certo il proprietario di quel negozio doveva avere qualche nozione di elettronica, e con tutta probabilità sarebbe stato un ottimo ospite. Per un po’ almeno. Ma Tommy non aveva saputo né il nome di quell’uomo, né dove abitasse, anche se sapeva che non dormiva in negozio. Le ci sarebbe voluto parecchio tempo per scoprire tutti questi particolari. Inoltre le serviva uno schiavo umano che la portasse in città, in un punto da dove il suo raggio di percezione potesse arrivare al radiotecnico addormentato.
Il corvo non le serviva più, quindi lo fece cadere dall’alto mandandolo a schiacciarsi sul selciato. Non c’era scopo di farlo tornare fino al bosco. E la mente rientrò immediatamente in sé stessa, nel cavo dell’albero.
Era stata fortunata nella scelta del suo secondo nascondiglio. In quel punto il bosco era più inaccessibile della grotta. E numerose creature passavano nelle vicinanze, a una distanza sufficiente per essere studiate con attenzione. Era passato un cervo, e anche un orso. Un gatto selvatico e una puzzola. E molti uccelli, inclusi quei due che la mente già conosceva, e che erano in grado di trasportarla: un gufo e un falco. Trasporto aereo diurno o notturno, a seconda dei suoi desideri. Da quel momento in avanti una qualsiasi di quelle creature avrebbe potuto diventare sua nel momento opportuno.
C’erano anche animali più piccoli, e c’erano i serpenti, ma questi non la interessavano gran che: si spostavano troppo lentamente… e morivano lentamente. Uno schiavo duro a morire era una scomodità.
Così trascorse il tempo fino al pomeriggio, poi accadde, o meglio, cominciò ad accadere qualcosa per cui capì di dover fare immediatamente la mossa successiva.
Aveva fame. O meglio, dato che non mangiava nel senso in cui noi intendiamo il mangiare, aveva bisogno di nutrimento. Sul suo pianeta, prima e durante le giornate che l’avevano portata all’esilio, il tempo doveva essere passato molto rapidamente. Adesso non ricordava con esattezza quando si era nutrita l’ultima volta. Aveva pensato di avere tutto il tempo di stabilirsi sulla Terra (quando aveva saputo che era abitata da esseri intelligenti), prima di doversi preoccupare della fame. Ma si era sbagliata.
La sua specie si era sviluppata nell’acqua, ed era vissuta assorbendo direttamente i microrganismi esistenti nell’acqua. Un sistema digestivo vero e proprio non si era mai sviluppato. Quando l’evoluzione aveva fornito le menti di un guscio protettivo, questo guscio, nonostante la sua durezza, aveva mantenuto sufficiente porosità da permettere loro di assorbire il nutrimento come avevano sempre fatto. Prima di avere il guscio, la loro unica protezione contro i nemici naturali era stata la velocità. Su un pianeta a bassa gravità, la levitazione, che permetteva di muoversi in qualsiasi direzione, aveva fornito un mezzo di fuga veramente efficace. Questa qualità, e il senso di percezione, erano sempre state le particolarità della loro razza.
L’abilità di controllare altre menti, di prendere il sopravvento mentale su altre creature, si era sviluppata in seguito, con il crescere della loro intelligenza. Questa nuova qualità aveva permesso ai più intelligenti di abbandonare le profondità delle acque per vivere vicino alle spiagge. Sulla terraferma, l’evoluzione era avvenuta in modo differente. E c’erano creature che a volte dormivano tanto vicine alla spiaggia da poter essere fatte schiave. Erano creature più utili di qualsiasi altra che vivesse nelle profondità delle acque. Infatti possedevano mani… non erano, in fondo, molto diverse dalle nostre scimmie… e se dirette con intelligenza, potevano fare e costruire qualunque cosa.
Con l’aiuto di questi schiavi la specie a cui apparteneva la mente aveva sviluppato una civiltà e la scienza. In un primo tempo la sua razza doveva stare nell’acqua e dirigere gli schiavi che operavano sulla terraferma. Alla fine però erano riusciti a sviluppare una tecnica che eliminava questo inconveniente: avevano scoperto che immergendosi in una soluzione nutriente, potevano assorbire il loro nutrimento più in fretta e con maggiore efficacia che non stando di continuo immersi nell’acqua. Adesso, con l’aiuto dei loro schiavi, potevano vivere molto distanti dall’acqua e soddisfare il loro bisogno di cibo facendosi immergere dagli schiavi nella speciale soluzione nutriente. Un’ora circa di bagno, ogni due o tre mesi. Alcuni di loro vivevano ancora nell’acqua, ma si trattava di gruppi civilmente arretrati, specie di aborigeni australiani o pigmei dell’Africa in confronto agli scienziati atomici.
Ma i gruppi civilizzati della sua specie erano stati nutriti per migliaia d’anni con quella soluzione, e avevano perso l’abilità di vivere con ciò che potevano assorbire dall’acqua. La loro situazione era in un certo senso analoga a quella di un umano tenuto in vita per diversi anni con iniezioni, e che non può vivere tornando a prendere il cibo nel modo che una volta gli era normale.
La mente avrebbe potuto farsi preparare il nutrimento usando gli animali del bosco, ma l’operazione sarebbe stata lunga e difficoltosa, e si sarebbe dovuto ricorrere a tutta una serie di schiavi, ciascuno adatto, o abbastanza adatto, a una particolare fase del compito.
Uno schiavo umano, in una normale cucina, avrebbe invece potuto preparare in breve tempo la soluzione nutriente. Gli esatti ingredienti non avevano importanza, bastava che fosse ricca di proteine. Il suo corpo avrebbe assorbito solo le sostanze che gli erano necessarie. Quello del gusto era un fattore trascurabile, dato che la creatura non aveva un equivalente del senso del gusto. Una zuppa di verdure, o del sugo di carne sarebbero serviti egregiamente. Anche il latte era indicato, ma le sarebbe stata necessaria una immersione più lunga di quella richiesta in una soluzione di carne.
Resasi conto che doveva procurarsi il nutrimento con una certa urgenza, la mente decise di farlo immediatamente. Valeva la pena di togliersi il pensiero del nutrimento per diversi mesi, anche se doveva correre il piccolo rischio di usare uno schiavo umano prima di quanto avesse progettato.