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I due si allontanarono, e dopo alcuni istanti l’uomo fece ritorno con una carabina calibro 22. Mirò tra gli occhi del gufo.

E il gufo rimase fermo in attesa del colpo.

La mente ritornò nel suo guscio, ma continuò ad osservare ciò che stava accadendo, questa volta con il suo senso di percezione.

Gross toccò il gufo con la canna del fucile, poi lo raccolse da terra e lo gettò fuori attraverso il vetro rotto della finestra. Quindi tornò in camera e andò a mettere la carabina in un angolo. La moglie era già coricata. Lui si mise al suo fianco e spense la luce.

— Maledetto gufo — borbottò. — Doveva essere pazzo. O cieco.

— Ma i suoi occhi…

— Gli uomini o gli animali possono diventare ciechi e avere gli occhi che sembrano normali. Ricordi il cavallo che abbiamo ucciso cinque anni fa perché era diventato cieco? Sembrava che ci vedesse benissimo, a guardarlo. Perché non può essere la stessa cosa con un gufo?

— Forse hai ragione. L’hai lasciato nella stanza?

— L’ho buttato dalla finestra — rispose Gross. — Domani mattina gli scaverò una fossa. Maledetto — borbottò ancora. — Dovremo andare in paese a prendere una lastra di vetro.

— Siamo in estate. Non c’è fretta — disse la moglie. — Possiamo aspettare fino a sabato. Per evitare che entrino le mosche metteremo un pezzo di tela. Se tu avessi messo la zanzariera metallica…

— Perché avrei dovuto farlo? Non usiamo la stanza, e la finestra può benissimo stare chiusa. Oltre tutto il gufo sarebbe riuscito a sfondare anche quella, così avrei avuto due cose da riparare. Hai visto che ore sono?

— Sì, è appena passata mezzanotte.

— Bene, dormiamo.

Nella stanza si fece il silenzio, e la mente distolse la sua attenzione. Voleva che la donna fosse profondamente immersa nel sonno in modo che l’uomo potesse scendere al piano terreno senza svegliarla. Si concentrò sulla stalla.

Lungo un lato c’era il recinto dei maiali. Di fronte, il pollaio con le galline. Ma ignorò questi due tipi d’animali. Sapeva che non le sarebbero stati di nessun aiuto.

Ma nella stalla, oltre a diversi topi, c’erano anche tre mucche, un cavallo e un gatto. Trascurò i topi. Erano quasi identici a quello già studiato nel bosco, e sapeva con esattezza quali erano i loro limiti.

Le mucche erano più interessanti, e perse tempo ad esaminarne una. Se non altro possedevano una considerevole forza fisica. Intelligentemente diretta una mucca sarebbe riuscita a uscire da una stalla sollevando il paletto con le corna oppure sfondando la porta a cornate. E se il battente avesse opposto troppa resistenza, sarebbe stata capace di uccidersi insistendo nel tentativo. Quindi non c’era niente da perdere. Inoltre la mucca poteva diventare un efficiente strumento di morte. La carica di un simile quadrupede poteva essere molto pericolosa. Durante il giorno sarebbe stato ancor più facile prendere possesso di uno di quegli animali. Al pascolo le mucche si fermano spesso a sonnecchiare o addirittura a dormire all’ombra delle piante. E nessun recinto avrebbe potuto resistere all’impeto di una mucca in corsa.

Passò al cavallo. Anche questo animale poteva esserle utile. Forse anche più della mucca. Era più veloce, molto più veloce. E poteva saltare i recinti, o eventualmente abbattere con le zampe anteriori quelli troppo alti. E aveva zoccoli micidiali quanto le corna della mucca.

Per ultimo, il gatto. Mentre lo stava esaminando (come aveva fatto con tutti gli altri animali) corredava i suoi studi con tutte le notizie sulle caratteristiche e sulle capacità dell’animale imparate nel cervello di Tommy. E a poco a poco si rese conto di trovarsi di fronte, per certi scopi speciali, a un ospite-schiavo quasi perfetto.

Poteva entrare quasi in ogni posto senza essere notato. Era veloce e silenzioso. Poteva vedere di notte come il gufo, ma al contrario del gufo era in grado di vedere perfettamente anche di giorno. E aveva un udito eccellente. Dato che c’erano dozzine di gatti tra quella fattoria e il paese (altre dozzine vivevano poi nel paese stesso), e dato che i gatti dormivano sia di giorno che di notte, le sarebbe stato possibile entrare in uno di quegli animali in qualsiasi momento.

Allora decise, visto che ne aveva tutto il tempo, di sperimentare immediatamente l’efficacia del felino. Ed entrò nel cervello del gatto che dormiva nella stalla.

Aprì gli occhi. Sì, per quanto la capacità visiva fosse leggermente inferiore a quella del gufo, poteva vedere con chiarezza anche al buio di quella stalla illuminata soltanto da un debole raggio di luna che filtrava dalla finestra aperta. Guidò il gatto verso la finestra, gli fece raggiungere il davanzale, e con un salto si trovò all’aperto.

Fece diverse volte il giro della casa. Le zampe del gatto non producevano nessun rumore, solo un lieve fruscio quando si spostava sulla ghiaia del viale Ne provò la velocità. Poteva correre velocissimo, ma per brevi tratti. Nello scatto avrebbe distanziato facilmente un cane. In un inseguimento prolungato però sarebbe stato probabilmente raggiunto, a meno che non avesse trovato una pianta su cui arrampicarsi.

Su di un albero dietro la stalla sperimentò l’abilità di arrampicarsi. Eccellente.

Dalla cima, guardando tra le foglie dell’albero, vide una luce accesa alla finestra di una fattoria vicina. Non aveva cominciato con l’intenzione di tenere il gatto per tanto tempo, né di spingerlo così lontano, ma in quel momento le si presentava un’ottima occasione di provare le capacità del gatto come mezzo di spionaggio.

Lo fece scendere dall’albero e lo diresse di corsa verso la fattoria vicina. Si muoveva nella notte come un’ombra.

Quando raggiunse la casa, notò che c’erano due finestre illuminate al primo piano. Evidentemente due finestre di una unica camera d’angolo. Quella vista dalla fattoria dei Gross era la finestra che dava sul lato. L’altra aveva il davanzale a pochi centimetri dal tetto del portico che correva lungo tutta la facciata. E c’era un albero vicino al portico. Il gatto si arrampicò agilmente su per il tronco, passò sul tetto, superò il lieve pendio e si mise a sedere sul davanzale.

Strinse immediatamente gli occhi per guardare nella stanza illuminata. In un lettino un bambino tossiva in modo convulso. Una donna in vestaglia e pantofole era china su di lui. Sulla soglia un uomo in pigiama la stava osservando. Dalla loro conversazione, che il gatto poteva udire anche stando dietro i vetri della finestra, la mente apprese che il bambino aveva la gola infiammata. L’uomo stava chiedendo alla donna se riteneva che fosse il caso di telefonare al dottor Gruen.

Per la mente quella scena non aveva alcun interesse, tuttavia ora sapeva di aver avuto ragione nel ritenere il gatto un perfetto schiavo-spia.

Se non avesse avuto bisogno di nutrirsi avrebbe tenuto la bestia fino al giorno seguente, per conoscere meglio tutti gli abitanti delle fattorie vicine. E forse mandarlo anche in città per pedinare il proprietario del negozio di apparecchi televisivi e scoprire dove dormiva. Ma per prima cosa doveva nutrirsi. E in fondo lì c’era una grande abbondanza di gatti.

Il problema era come liberarsi di questo. Era stata con lui per circa un’ora, molto più di quanto fosse nelle sue intenzioni. Esaminò i pensieri del gatto per trovare un modo rapido e sicuro di morire. E trovò subito la risposta.

In quella fattoria c’era un cane feroce che veniva tenuto alla catena in un angolo della stalla. (Perché poi, si chiese, tenere un cane alla catena quando il suo compito doveva essere quello di fare la guàrdia!)

Fece scendere il gatto dal portico e lo mandò di corsa verso il retro della stalla. Anche lì c’era una finestra aperta. Il cane cominciò ad abbaiare furiosamente appena vide comparire il gatto nel riquadro della finestra. Rimase un attimo sul davanzale per abituare gli occhi al buio della stalla e vedere dove si trovava il cane. Poi saltò, corse verso il cane, e si lanciò tra le mascelle del nemico.