Attraverso gli occhi di Gross la mente guardò l’ora, e decise di essere stata nella soluzione per un periodo sufficiente. Aveva dovuto affidarsi all’orario perché quando si trovava nel cervello di uno schiavo non aveva la sensazione del suo corpo.
Gross si alzò e tolse il guscio dalla soluzione ormai fredda. Poi si diresse verso la porta. All’ultimo momento ricordò qualcosa e raggiunse il lavandino per lavare accuratamente il guscio. Poi l’asciugò. La mente si era ricordata che l’odore della soluzione avrebbe potuto attirare qualche animale, col rischio di essere tirata fuori da sotto i gradini. Personalmente non emanava alcun odore. Lo aveva saputo dalla mente di Buck quando l’aveva tolta dalla grotta per andarla a nascondere nel buco dell’albero.
Gross uscì di casa, e ancora una volta lasciò la porta aperta per avere un po’ di luce. Questa volta la mente volle rendere più sicuro il suo nascondiglio, e si fece ricoprire con alcuni centimetri di terra. Poi Gross cancellò tutte le impronte di piedi nudi lasciate sul terreno.
E infine rientrò in casa per morire.
Prima però fece sparire tutte le prove di ciò che aveva fatto. Gettò nel lavandino ciò che era rimasto della soluzione e lavò i tre utensili che gli erano serviti. Mise la scodella del sugo al suo posto, e la zuppiera assieme alle altre zuppiere. Naturalmente Elsa si sarebbe meravigliata per la scomparsa del brodo e del sugo, ma a questo non c’era rimedio. Per fortuna negli ultimi tempi Elsa aveva perso la memoria, e lo sapeva. Con tutta probabilità avrebbe pensato di avere già usato sia il brodo che il sugo, e di essersene dimenticata. Oltre tutto, per distrarla da una questione così banale, ci sarebbe stato lo shock della sua morte. Non avrebbe provato un gran dolore, ma ogni avvenimento improvviso che cambia la vita di una persona è sempre uno shock. Poi si sarebbe resa conto che aveva fatto bene a uccidersi. Vendendo la fattoria, la somma ricavata le avrebbe permesso di trascorrere una vecchiaia tranquilla.
Doveva scriverlo sulla lettera? Perché questa volta una lettera avrebbe dovuto esserci. L’aveva imparato con la morte di Tommy. La morte silenziosa del ragazzo aveva sollevato troppa curiosità, tanto da spingere Hoffman e Garner fino alla grotta e far venire loro l’idea di scavare la sabbia del fondo. Il suicidio di Gross doveva apparire assolutamente normale, in modo da non sollevare curiosità.
Mandò Gross a prendere dei fogli di carta e una penna, e lo fece sedere al tavolo della cucina. Poi pensò alle parole che Gross avrebbe scritto se fosse stato lui a decidere di mettere fine ai suoi giorni.
Gross cominciò a scrivere lentamente e con fatica.
«Non posso resistere ai dolori dell’artrite. Mi uccido».
Firmò con nome e cognome.
Poi andò a prendere la pistola che teneva in un cassetto della cucina e la caricò. Tornò a sedere e mise la canna in bocca, tenendola verso l’alto. Premette il grilletto.
Ancora una volta nel suo guscio, ben nascosto sotto i gradini, la mente riprese a osservare con il suo senso percettivo.
Udì Elsa gridare il nome del marito, poi la vide accendere la luce e scendere al piano terreno.
9
Staunton si svegliò lentamente. Si rigirò nel letto e sollevò un braccio per guardare l’orologio che aveva al polso. Erano le dieci passate, ma non si stupì. Era andato a letto molto tardi la sera precedente. Il pomeriggio del giorno prima da Bartlesville aveva telefonato al laboratorio di Green Bay, e gli avevano detto una cosa che lui sapeva già.
Il cane Buck non era idrofobo. Inoltre, questo era stato stabilito con il sezionamento, a parte le ferite che avevano causato la sua morte, aveva un organismo perfetto. La corsa del cane davanti alla macchina non poteva essere spiegata da motivi fisici accertabili.
Il dottor Staunton si era lasciato sfuggire un sospiro, poi aveva telefonato a Wilcox cercando di mettersi in comunicazione con lo sceriffo. Ma non lo trovò, né in ufficio, né a casa. Lo scienziato rimase a cena nel migliore dei due ristoranti del paese, poi tentò ancora una volta di parlare con lo sceriffo, ma il risultato fu il medesimo.
Allora era entrato in un bar per passare qualche ora, e subito lo avevano invitato a una partita di poker che stava per cominciare. Hans Weiss, un negoziante presso cui Staunton faceva le sue compere, lo presentò agli altri e garantì per lui. Le poste erano tali da rendere il gioco interessante. Nella prima mezz’ora Staunton perse dodici dollari senza aver fatto un solo piatto, poi le sorti cambiarono, e lui rimase in vincita per tutto il tempo. Ancora due volte, alle otto e alle nove, cercò dello sceriffo, ma senza riuscire a trovarlo. Quando guardò l’orologio la terza volta era ormai mezzanotte. Troppo tardi per telefonare. In quel momento era il trionfatore della serata. Si trovava con una vincita di circa settanta dollari e non poteva chiedere di smettere il gioco, a meno che l’idea non partisse da qualcun altro.
Questo accadde alla una e mezzo, e lui era arrivato a casa alle due. Con ancora quaranta dollari di vincita. Durante la partita era diventato amico di tutti, e aveva accettato l’invito di giocare un’altra volta. Dopo tutto doveva dar loro la possibilità di rivincere i loro soldi.
Adesso era il giovedì mattina. Sbadigliò. Poteva benissimo andare a Bartlesville prima di mezzogiorno e telefonare allo sceriffo, fissare un appuntamento, e se per caso fosse stato libero andare fino a Wilcox. A meno che lo sceriffo non dovesse venire a Bartlesville. In questo caso avrebbe potuto pranzare insieme.
Si preparò una tazza di caffè, e raggiunse il paese verso le undici e mezzo. Dal telefono del droghiere telefonò a Wilcox, e questa volta riuscì ad avere la comunicazione.
— Sono Staunton, sceriffo — disse. — Se mi potete concedere alcuni minuti avrei qualcosa da dirvi. Dovete venire per caso da queste parti, o devo venire io a Wilcox nel vostro ufficio?
— Stavo proprio uscendo quando è suonato il telefono. Vengo a Bartlesville — rispose lo sceriffo.
— Benissimo. Pranziamo insieme?
— Volentieri. In che ristorante ci troviamo?
— Troviamoci al bar. Un bicchiere prima di mangiare non può far male.
Lo sceriffo disse che sarebbe arrivato entro mezz’ora.
Staunton si avvicinò al banco del droghiere per fare alcune compere. Era una delle persone con cui aveva giocato a poker la sera prima.
— Ho sentito che avete parlato con lo sceriffo — disse il droghiere. — Niente di grave, spero.
— No, volevo semplicemente dargli alcune informazioni.
— Non sulla nostra partita di poker, spero. Voi abitate sulla Bascombe Road, vero?
— Sì. L’ultima casa. Perché?
— C’è stato un altro suicidio. Questa notte. Ne avete già sentito parlare?
Staunton si sentì afferrare la nuca da una morsa gelida.
— No. Non ancora. Sono appena arrivato in paese. Chi era?
— Un certo Siegfried Gross. Non è una gran perdita, comunque. Un tipo poco socievole, che non aveva amici. Vive… viveva in una fattoria a circa cinque chilometri dal paese. A tre chilometri dalla vostra casa.
Staunton fece qualche domanda ma venne a sapere due sole cose. Siegfried Gross si era ucciso durante la notte con una pistola, e aveva lasciato una lettera in cui diceva che si uccideva perché soffriva d’artrite.
Lo scienziato uscì dal negozio, mise i pacchi in macchina ed entrò nel bar. Mike, il barista, stava parlando del suicidio con due clienti, ma nessuno di loro sapeva niente di più di ciò che aveva detto il droghiere.