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Sorseggiò la birra che si era fatta servire al banco. Poi, quando vide arrivare lo sceriffo, bevve l’ultimo sorso, e insieme, i due uomini andarono a sedere allo stesso tavolino dell’altra volta.

— Niente birra, oggi, — disse lo sceriffo. — Voglio qualcosa di forte, Mike. Doppio whisky, e acqua gelata!

Staunton ordinò una seconda birra e il barista tornò al banco.

— Immagino che abbiate già sentito di Siegfried Gross — esordì lo sceriffo, sbadigliando. — Mi sono dovuto alzare in piena notte e non sono più tornato a letto. E non appena avrò finito di mangiare dovrò tornare alla fattoria di Gross.

— Vi spiace se vengo con voi? — domandò lo scienziato.

— Se volete. Era qualcosa a proposito di Gross che mi volevate dire?

— No. Quando vi ho telefonato non sapevo ancora niente. Volevo parlarvi del cane di Hoffman. Non era idrofobo.

Lo sceriffo inarcò le sopracciglia.

— Volete dire che lo avete fatto esaminare? Per quale motivo? Non aveva morso nessuno. O sì?

— No. Non aveva morso nessuno. Ma trovavo strano, specialmente dopo che mi avevate detto di quella sua paura delle macchine, che si fosse lanciato sotto le ruote della mia macchina. Se fosse stato idrofobo la cosa si sarebbe spiegata.

— Diavolo, Staunton, i cani corrono tutto il giorno. Forse stava inseguendo una lepre. Teneva il naso a terra e non si è guardato attorno. Non si può fare un caso per un cane che finisce sotto le ruote di una macchina.

— Forse no, ma… Sceriffo, c’è stato qualcosa di insolito nel suicidio di Gross?

— Tutto in perfetta regola. Si è messo la canna della pistola in bocca e ha tirato il grilletto. Il nostro becchino è accorso e ha impiegato un’ora per pulire la cucina. Dio, che spettacolo!

— Ci sarà un’inchiesta?

— Con una lettera scritta dalla mano di Gross? Sarebbe sprecare i soldi dei contribuenti! Be’, beviamo un altro bicchiere e poi andiamo a mangiare.

Soltanto dopo la frutta e il caffè Staunton tornò a chiedere se c’erano state circostanze insolite o strane collegate al suicidio.

— Durante la notte sono avvenuti due fatti strani, ma non hanno niente a che vedere con il suicidio — rispose lo sceriffo. — Un gufo ha rotto i vetri di una finestra ed è finito in una stanza. Gross ha dovuto ucciderlo perché aveva un’ala rotta.

— Con la stessa pistola?

— No. Ha usato una carabina calibro 22. È successo circa tre ore prima del suicidio. Immagino che non sia riuscito ad addormentarsi a causa dei dolori, e che alla fine abbia deciso di mettere fine a ogni sofferenza, come aveva fatto con il gufo. È sceso in cucina e si è sparato.

Staunton corrugò la fronte.

— C’è stato qualche contatto fisico tra Gross e il gufo?

— Soltanto quando il gufo era morto. Dopo avergli sparato lo ha gettato dalla finestra, poi ha detto alla moglie che lo avrebbe sepolto il mattino seguente. — Lo sceriffo bevve un sorso di caffè. — Loursat, un suo vicino, è andato a seppellirlo questa mattina. Assieme al gatto. Durante la notte il gatto di Gross è entrato nella stalla di Loursat ed è stato ucciso dal cane.

Staunton trasse un profondo sospiro. Poi cominciò a parlare sottovoce. Tanto piano che lo sceriffo lo poté appena udire.

— Mister Gufo e il signor Gatto giunsero al mare, su una bellissima barca verde…

— Come avete detto?

— Niente. È una frase del libro di Edward Lear. Sceriffo, avete mai sentito di un gufo che vola attraverso i vetri di una finestra?

— Di un gufo, no. Ma gli uccelli vanno a sbattere contro i vetri a ogni momento. A casa ho una finta finestra contro cui gli uccelli sbattono continuamente… Be’, diciamo una volta o due alla settimana. Per lo più si tratta di passeri. Di solito rimangono intontiti per qualche minuto, di tanto in tanto però qualcuno si rompe il collo. Bene, possiamo andare. Venite con me, o volete prendere la vostra macchina in modo da poter tornare a casa subito dopo?

10

La mente imparò alcune cose che la sorpresero alquanto.

Dal momento in cui Siegfried Gross si era ucciso, aveva passato la maggior parte del tempo volutamente senza ospite-schiavo, in modo da poter star chiusa in sé stessa sotto la scala, e usare la sua percettività per sentire e udire tutto quello che succedeva dentro o attorno alla fattoria.

Capì soprattutto di essere stata poco cauta, e di aver suscitato curiosità con ciò che aveva fatto fare ai suoi ospiti, umani o animali, e soprattutto per il modo in cui li aveva fatti suicidare.

Prima non aveva nemmeno sospettato il caos e l’agitazione che sempre provoca il suicidio di un essere umano, anche quando il suicida lasciava un biglietto per dire che aveva voluto morire di sua volontà.

Ciò che era successo alla fattoria dal momento in cui Siegfried si era ucciso nella cucina, aveva messo al corrente la creatura sugli usi e i costumi dei terrestri.

La confusione era cominciata immediatamente dopo il colpo di pistola. Elsa Gross si era precipitata giù per le scale, dimostrando molta più angoscia di quanto le mente avesse previsto dato che, come aveva letto nel cervello di Gross, tra l’uomo e la donna non c’era amore.

Passato il primo momento, e il peggiore, la donna si era infilata le scarpe e il soprabito sopra la camicia da notte, ed era corsa fuori verso l’abitazione più vicina, quella dei Loursat, proprio quella attraverso le cui finestre la mente aveva precedentemente visto l’uomo e la donna nella camera del bambino malato.

Mezz’ora più tardi Elsa era tornata, con Loursat. Da quello che si erano detti la mente aveva capito che l’uomo aveva telefonato allo sceriffo, il quale sarebbe arrivato da lì a un’ora. Anche la moglie di Loursat li avrebbe raggiunti se non avesse dovuto restare in casa con il figlio malato.

Loursat aveva consigliato a Elsa di salire a vestirsi e mentre lei era di sopra aveva esaminato la cucina quanto più attentamente gli era stato possibile senza mettere i piedi nelle macchie di sangue. Poi aveva letto e riletto la lettera del suicida, scuotendo la testa. Ma non aveva spostato né toccato niente.

Infine era passato in soggiorno, stanza che restava entro i limiti di percezione della mente, e lì aveva aspettato il ritorno di Elsa. Avevano parlato a lungo in quella stanza, da dove non si vedeva il cadavere.

Dalle loro parole la mente comprese che, nonostante la lettera, Elsa Gross era rimasta incredula. Non si spiegava l’improvviso gesto dei marito. Siegfried soffriva d’artrite, è vero, ma non poteva essere stato quello il motivo del suicidio! Inoltre, verso mezzanotte, quando il gufo li aveva svegliati rompendo il vetro della finestra, Siegfried le era sembrato del tutto normale e non certamente sofferente in modo particolare Loursat le aveva chiesto spiegazioni sulla storia del gufo, e la donna gli aveva raccontato lo strano fatto.

— Mai sentita prima una cosa simile — commentò Loursat. — C’è da domandarsi se non si sia scatenato un attacco di pazzia collettiva. Anche… Avete sentito, no, di Tommy Hoffman?

Elsa non ne sapeva niente, e l’uomo le raccontò del ragazzo.

Poco dopo le tre arrivò lo sceriffo con il magistrato inquirente e l’ambulanza.

Così la mente aveva imparato quale importanza i terrestri davano al suicidio di un loro simile.

Il giorno seguente imparò qualcos’altro. I vicini fecero a gara per offrire il loro aiuto alla signora Gross e per dimostrarle la loro simpatia. Tornò anche Loursat con la cattiva notizia della morte del gatto dei Gross. E venne altra gente ancora.

A mezzogiorno la signora Gross si accorse che non c’erano più il sugo e il brodo messi da parte la sera prima. La mente capì che la donna li cercava perché la vide guardare in tutti gli scomparti del frigorifero.

Poco dopo mezzogiorno tornò lo sceriffo, accompagnato questa volta da uno sconosciuto. Lo sceriffo disse alla signora Gross che ci sarebbe stata un’inchiesta, pura formalità, naturalmente, per via del biglietto lasciato dal suicida. L’inchiesta avrebbe avuto luogo nel pomeriggio, all’obitorio, e lui sarebbe passato a prenderla con la macchina e poi l’avrebbe riaccompagnata.