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Mentre lavorava, Willie cominciò a parlare col gatto. E gli parve di sentirsi compreso quando, messa a posto la valvola, si accorse che l’apparecchio continuava a non funzionare. Allora cominciò a spiegare al gatto tutte le nuove operazioni che stava facendo, controllo delle resistenze, dei condensatori e la ricerca di corti circuiti.

Poi, avendo trovato nel gatto un ascoltatore perfetto, cominciò a raccontargli i suoi problemi personali, le sue preoccupazioni per il negozio e la madre e tutti i suoi dubbi sul futuro. Trovò che era un sollievo poter dire a un gatto cose che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire a un essere umano.

Il gatto rimase ad ascoltare fino alla fine. Poi saltò giù dal banco. Raggiunse la porta e si fermò a miagolare e a raschiare il vetro con la zampa. Willie si alzò con riluttanza e lo fece uscire.

— Gatto — disse — torna pure quando vuoi. Stessa finestra e stesso segnale. Sarò felice di poter dividere con te la mia colazione.

Non pioveva più. Dai vetri Willie rimase a osservare il gatto che attraversava di corsa la strada per sparire in una via traversale.

Evidentemente aveva già una casa. Willie pensò che forse un giorno avrebbe avuto un gatto tutto per sé. Non doveva poi costare molto, nutrirlo. E sarebbe stata la prima stravaganza che si permetteva.

Ma non avrebbe mai saputo, mai sospettato, di essere stato sotto giudizio e trovato «interessante» e di aver passato un’esperienza che l’aveva portato vicino alla morte.

12

Il dottor Staunton aveva passato tutta la mattinata a prendere appunti sui due casi di suicidio e sui fenomeni che sembravano connessi alle due morti, con particolare cura per il tempo e il luogo. Ma voleva qualcosa di più delle semplici note. Si era trovato presente all’inchiesta e a diversi colloqui, specialmente quello avvenuto alla fattoria dei Gross, e voleva trascriverli sulla carta, parola per parola. Ma scrivere tutto sarebbe stata una grossa fatica dato che non aveva una dattilografa e che lui batteva a macchina con estrema lentezza. Impiegò mezz’ora per scrivere a mano tutto ciò che riguardava la morte del cane. E riempì tre pagine. Quando stava cominciando il resoconto della deposizione di Charlotte Garner, gli venne un crampo alla mano. Si rese conto che per scrivere tutto avrebbe dovuto riempire dalle trenta alle cinquanta pagine. Per non contare le sue deduzioni e i suoi ragionamenti che non gli permettevano di accettare i fatti collaterali (gli animali che sembravano essersi suicidati e la sparizione del brodo e del sugo dalla cucina della signora Gross) come fenomeni isolati e coincidenze fortuite che non avevano niente a che vedere con le morti degli esseri umani. Sarebbe stato come scrivere tutto un libro a mano.

Eppure era necessario avere tutto scritto fedelmente, finché i ricordi erano freschi nella sua mente. Pensò di andare a Green Bay e noleggiare un registratore. Ma odiava quel genere di apparecchi, specialmente per il fatto che a lui piaceva dettare camminando avanti e indietro. Oltre tutto avrebbe dovuto poi assumere una dattilografa che trascrivesse quello che era inciso sui nastri. Meglio quindi trovare una stenografa in grado di seguire il suo dettato, e poi farle trascrivere tutto a macchina.

Probabilmente avrebbe trovato la persona adatta a Green Bay, comunque avrebbe prima domandato a Bartlesville.

Il direttore di «Clarion», il giornale settimanale di Bartlesville, avrebbe potuto dargli l’informazione che cercava. Staunton lo conosceva perché era una delle persone con cui aveva giocato a poker. Forse Ed Hollis conosceva qualcuno a Wilcox, città molto più grande di Bartlesville e molto più vicina a Green Bay.

Poco prima di mezzogiorno, quando Staunton entrò negli uffici del giornale, Hollis stava correggendo un articolo.

— Un secondo, Staunton — disse. Finì la frase poi si rivolse al visitatore: — Che c’è di nuovo? Ci siete anche voi al poker di questa sera? Hans mi ha appena telefonato, e ho detto che non c’è modo di raggiungervi per telefono. Se volete vincere un altro po’ dei nostri quattrini…

— Farò il possibile, Ed. A ogni modo sono venuto qui per un altro motivo. In paese c’è qualcuno che sappia stenografare e battere a macchina?

— Certo. C’è la Talley. La signorina Amanda Talley.

— È impiegata?

— No, fa solo lavori saltuari. Insegna lettere alle scuole superiori. D’estate, dopo un breve periodo di vacanza, accetta tutti i lavori che le possono capitare.

— Stenografa velocemente?

— Sì. Anch’io sono ricorso a lei diverse volte. Prima di passare all’insegnamento vero e proprio dava lezioni di stenografia. E in seguito è sempre rimasta in esercizio.

— È quanto di meglio potessi desiderare — commentò Staunton. — Sarà libera?

— Posso telefonare. — Ed Hollis sollevò il microfono, ma prima di comporre il numero tornò a girarsi verso Staunton: — Quanto durerà il lavoro? Un’ora, una settimana…

— Penso che si tratterà di quattro o cinque ore di dettato, e un giorno o due per battere il tutto a macchina…

Hollis fece un cenno con la testa, poi fece il numero.

— Signorina Talley? Un mio amico avrebbe da farle fare un paio di giorni di lavoro. Si tratta di stenografare e scrivere a macchina. Potete farlo? Bene. Un attimo, prego.

Mise la mano sul microfono, e si rivolse a Staunton.

— Dice che può cominciare quando volete. Ora è mezzogiorno. Volete che fissi un appuntamento per l’una? Vi posso insegnare la strada. È a pochi isolati di distanza.

— Benissimo.

Hollis tornò a parlare al telefono.

— D’accordo, signorina Talley. Verrà da voi verso l’una. È il dottor Staunton… D’accordo.

Hollis fissò Staunton e sorrise.

— Mi ha raccomandato di dirvi la sua tariffa. Pensa che vi possa spaventare. Dieci dollari al giorno. Un dollaro e mezzo all’ora per lavori di breve durata.

— Mi sembra una pretesa piuttosto ragionevole. Volete venire a pranzo con me, Ed?

— Vorrei, ma devo finire un lavoro che mi terrà impegnato per più di un’ora. E ho già telefonato a casa di preparare più tardi.

Diede a Staunton l’indirizzo della Talley, lo accompagnò fino alla porta e gli indicò la strada che avrebbe dovuto prendere.

All’una Staunton raggiunse la casa di Amanda Talley, un piccolo cottage. Nel vialetto di fianco alla casa vide parcheggiata una Wolkswagen.

Bussò, e quando la porta venne aperta, Staunton si trovò di fronte a una donna parecchio più alta di lui. In compenso era magrissima. Amanda Talley era di età indefinita, fra i cinquanta e i sessantacinque anni, e Staunton decise per una via di mezzo. Portava occhiali con la montatura in ferro, vestita completamente in grigio, con abiti che non erano né antichi né moderni, e aveva i capelli arrotolati dietro la nuca.

Con un vecchio cappello e un ombrello in mano sarebbe stata il ritratto della donna-investigatrice di Stuart Palmer, Hildegarde Withers. Ma aveva l’aria della donna che sa il suo lavoro, e dopo tutto lui non era venuto per invitarla a un ricevimento.

— Il dottor Staunton? — Come lui fece un cenno affermativo, la Talley si tirò da parte. — Volete accomodarvi?

— Ecco… signorina Talley, potrei benissimo dettare qui, ma penso di distrarmi, e preferisco farlo a casa mia. È a otto chilometri dal paese. Se a voi non spiace… Battere a macchina potrete benissimo farlo qui da voi.

— Ma perderemo del tempo!

— Naturalmente — disse Staunton — cominceremo a calcolare il tempo da questo momento. Dall’una. Se volete andare a prendere fogli e penna…

Chiusa la porta di casa, Amanda Talley insisté per prendere anche la sua automobile, così lui avrebbe evitato di rifare la strada per accompagnarla a casa. Non volle credere (e aveva ragione) che Staunton dovesse comunque tornare in paese sul tardo pomeriggio. Alla fine si lasciò convincere e salì in macchina con lo scienziato.