Meravigliosi schiavi i gatti. Silenziosi, veloci, con l’udito finissimo, e con la prerogativa di poter andare in qualsiasi posto senza che la gente se ne stupisca.
Con diversi gatti, uno alla volta, la mente aveva visitato tutte le fattorie tra quella dei Gross e il paese. Tutte, tranne due, custodite da cani piuttosto feroci.
Ma non si preoccupò per quelle due fattorie. In tutte le altre non aveva appreso niente di interessante. Aveva poi cominciato a ispezionare il paese. Logicamente aveva cominciato dalla persona che in teoria avrebbe dovuto essere uno schiavo perfetto: il radiotecnico, ma si era accorta che non sarebbe stato molto utile, se non altro per le sue difficoltà finanziarie.
Il gatto nero che aveva diviso la colazione con Willie Chandler aveva trascorso il resto del pomeriggio a esplorare il paese e ad ascoltare ciò che veniva detto in giro. Ma non apprese nulla d’importante. A un tratto la mente si ricordò dell’ometto chiamato Staunton, che aveva visitato la fattoria dei Gross assieme allo sceriffo. Decise di lasciar perdere tutto e di cercare quell’uomo.
Con gli occhi del passero, quando aveva cercato di seguire Staunton, aveva visto due macchine che si allontanavano in opposte direzioni. Poiché era probabile che lo sceriffo si fosse diretto verso Bartlesville, per poi raggiungere il suo ufficio di Wilcox, quella di Staunton doveva essere la macchina che si era allontanata in direzione opposta al paese.
Da quella parte c’erano solo una decina di fattorie. Le avrebbe ispezionate il mattino seguente.
Fece uscire il gatto dalla città, ma dopo un tratto di strada l’animale cadde a terra, esausto. Era sfinito, e aveva le zampe tagliate. Anche il riposo di tutta una notte non sarebbe stato sufficiente a ristabilirlo. Allora la mente forzò il gatto ad alzarsi e lo fece correre in mezzo ai campi finché non cadde a terra, morto.
Il mattino seguente prese un altro schiavo. Un piccolo gatto grigio che viveva nella terza fattoria dopo quella dei Gross. Subito ispezionò i ricordi dell’animale, e si accorse di essere stata fortunata. Quel gatto aveva esplorato in lungo e in largo la zona, e grazie ai suoi ricordi la mente evitò di perdere tempo a cercare Staunton nelle cinque fattorie dopo quella del gatto.
Non rimanevano da esplorare che tre fattorie.
Cominciò a camminare stando sul ciglio della strada in modo da non lasciarsi sfuggire Staunton nel caso in cui si fosse allontanato dalla fattoria in macchina.
E fu proprio ciò che accadde. Verso le undici sentì il rumore di una macchina che s’avvicinava, e poco dopo una vecchia berlina passò accanto al gatto. Al volante della macchina c’era il dottor Staunton.
Ora la mente, mettendo insieme diverse cose, tra cui i ricordi di Tommy Hoffman, seppe con certezza che Staunton abitava nell’ultima casa. Staunton, per il suo aspetto, per il suo modo di parlare quando lo aveva sentito alla fattoria dei Gross, non poteva essere un contadino. E solo i campi dell’ultima fattoria non erano coltivati.
Ispezionò le due ultime fattorie senza troppa attenzione, e giunse alla casa in fondo alla strada.
Sul terreno si vedevano tracce recenti di una macchina. Poi si vedevano altri segni che mostravano come la casa fosse stata abitata in quegli ultimi giorni. Ma Staunton se n’era andato forse per sempre?
Per fortuna sembrava che non ci fossero cani. Così poté avvicinarsi senza pericolo alla casa. Dalle finestre della cantina giungeva il ronzio di un generatore elettrico. Ciò significava che Staunton non se n’era andato per sempre. Ma viveva solo, o c’era qualcun altro in quella casa?
Il gatto fece il giro dell’isolato, guardando in tutte le finestre. Non c’era nessuno. Tutte le finestre del piano terreno erano aperte, ma solo di pochi centimetri. Una sola era spalancata, ma si trovava al primo piano.
La mente si rese conto che per fare ulteriori indagini avrebbe dovuto aspettare il ritorno di Staunton. Ma ciò sarebbe forse avvenuto il pomeriggio tardi, o forse la sera, quindi cominciò a esplorare la zona circostante. Cercando di mantenersi nascosto il più possibile, il gatto fece diversi giri nei dintorni. L’unica altra costruzione oltre la casa era una piccola baracca di legno, che forse era servita come deposito degli attrezzi, ma era senza porta, e dentro non c’era niente. Si vedevano i segni delle fondamenta di quella che una volta doveva essere stata la stalla, ma della costruzione non restava altro. Forse la stalla si era incendiata, o era stata demolita per recuperare il materiale.
Tornò verso la casa e si fermò sotto le finestre per sentire eventuali rumori o voci. Ancora niente.
La mente mandò il gatto dietro alcuni cespugli e lasciò che si coricasse per dormire. Dopo l’esperienza fatta con il gatto nero aveva scoperto che non conveniva spingere uno schiavo a compiere sforzi superiori alle sue possibilità. Inoltre sapeva che si sarebbe svegliato al minimo rumore.
L’attesa fu meno lunga del previsto. Il gatto dormiva da solo mezz’ora quando venne svegliato dal rumore di una macchina che si stava avvicinando alla casa. La mente aprì gli occhi del gatto e lo fece girare attorno al cespuglio.
Era la macchina di Staunton, e Staunton stava al volante. Ma c’era una donna con lui. Una donna alta, magra e piuttosto anziana.
La mente la conosceva. Dai ricordi di Tommy Hoffman sapeva che si trattava di Amanda Talley. Era amica di Staunton? E Staunton, era forse anche lui un professore? Poi vide che la donna aveva in mano dei fogli di carta e una penna, allora ricordò che di tanto in tanto la Talley arrotondava lo stipendio d’insegnante con lavori di stenografia o di contabilità. Questa doveva essere la ragione per cui Staunton l’aveva portata con sé. Era un’ottima cosa. Se doveva dettare delle lettere, la mente sarebbe riuscita a sapere parecchie cose.
Appena l’uomo e la donna scomparvero nella casa, il gatto uscì rapido dal suo nascondiglio e andò a mettersi sotto le finestre. Da quella che doveva essere la finestra della cucina udì le loro voci, ma non poteva distinguere le parole. Si raccolse per spiccare un salto sul davanzale, ma non riuscì a raggiungere la finestra.
Quel maledetto gatto era troppo piccolo. Considerò subito l’opportunità di liberarsi di quell’ospite. Ma tutti gli altri gatti disponibili si trovavano a diversi chilometri di distanza. Troppo lontani per farli giungere prima che Staunton finisse di dettare le lettere.
Fece rapidamente il giro della casa per arrivare alla porta della cucina. Ma il legno del battente era troppo grosso, e anche da lì poteva sentirli parlare senza afferrare ciò che stavano dicendo.
Compì un altro giro attorno alla casa. La finestra del primo piano era ancora aperta. Poi vide una cosa cui prima non aveva fatto caso. Proprio accanto alla casa c’era un olmo, e uno dei suoi rami raggiungeva quasi la finestra. Da lì forse il gatto sarebbe riuscito a raggiungere il davanzale.
Si arrampicò sulla pianta e si spinse sull’estremità del ramo. Sì, da quella posizione il salto risultava abbastanza facile. Prima però volle guardare nella stanza, era la camera da letto, per accertarsi che anche la porta fosse aperta. Sarebbe stato seccante spiccare il salto e trovarsi chiuso in una camera da letto.
Saltò. Quando fu sul davanzale si volse per osservare il ramo. Come aveva sospettato, sarebbe stato impossibile uscire da quella parte.
Il ramo, che si era leggermente piegato sotto il peso del suo corpo, in condizioni normali era leggermente alto per poter essere raggiunto. Comunque avrebbe trovato un modo per uscire. Staunton avrebbe pur aperto a un certo momento qualche finestra del piano terreno.
Raggiunse il piano terreno e si fermò dietro l’angolo del piccolo corridoio che portava alla cucina.
Da quella posizione poteva sentire perfettamente tutto ciò che i due umani stavano dicendo.