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Accese la luce e si guardò attorno. Poi ricordò la farina sparsa sul pavimento.

C’erano le tracce di un gatto.

Allora cominciò a parlare.

— Va bene, gatto. Se vuoi qualcosa da mangiare o da bere vieni avanti. Non ti voglio far del male, ma non uscirai di qui finché non ti avrò visto.

Andò al frigorifero e si preparò un panino imbottito, poi prese una scatola di birra.

Si mise a sedere davanti al tavolo, e mentre mangiava cominciò a pensare. Pensieri poco piacevoli. Aveva paura, senza sapere il motivo per cui doveva essere spaventato. Sapeva ad esempio che non avrebbe spento volentieri la luce della cucina per salire poi le scale al buio. Per quanto conoscesse la casa alla perfezione, andò a prendere la pila che aveva visto nel cassetto della credenza. L’accese prima di spegnere la luce della cucina.

Mentre saliva la scala mosse continuamente il raggio di luce davanti a sé. Era alquanto ridicolo aver paura di un gatto, tuttavia si sentiva più tranquillo così.

Quando si trovò nella camera da letto chiuse la porta alle sue spalle e accese la luce. Poi cominciò a ispezionare tutti i possibili nascondigli. Questa volta guardò anche sotto il letto.

In qualunque posto fosse il gatto, non era in quella stanza. Per fortuna non faceva caldo, e lui non sarebbe stato costretto ad aprire porte e finestre. Comunque, non certo la finestra. Il gatto era entrato in casa saltando dalla pianta. Cos’altro avrebbe potuto entrare da quella stessa strada?

Si rammaricò di non aver preso un fucile.

Poi si addormentò. Profondamente.

15

Quando sentì dire dalla voce di Staunton: «Va bene, gatto…» la mente si spaventò.

Fu una reazione dovuta per lo più al fatto di scoprire che oltre a essere il miglior ospite-schiavo che potesse sperare di avere sotto il suo controllo, quell’uomo sospettava qualcosa molto vicino alla verità, e poteva quindi rappresentare un pericolo. Fino a quel momento aveva provato solo disprezzo per i cervelli umani già conosciuti.

Staunton era l’ospite perfetto… un elettronico di chiara fama, libero di viaggiare, scapolo e senza responsabilità familiari. La mente aveva ascoltato con interesse ciò che aveva dettato alla signorina Talley, e la conversazione che si era svolta tra i due umani.

Era poi certa che Staunton avrebbe potuto procurarsi quegli apparecchi a lei necessari. Facendo lavorare Staunton avrebbe potuto raggiungere il suo pianeta nel breve tempo di qualche settimana… e per aver scoperto un pianeta meritevole di colonizzazione sarebbe diventata l’eroe della sua razza.

Perché aveva commesso l’errore di nascondersi quando si era accorta che la signorina Talley stava fissando il gatto? Se solo si fosse ricordata di far agire il gatto come un qualsiasi gatto normale! Ma in quel momento era troppo eccitata per tutto ciò che aveva scoperto su Staunton. Non appena avevano scorto il gatto doveva farlo avanzare verso di loro. Se si fosse mostrato amico, e se loro amavano i gatti, lo avrebbero accarezzato, gli avrebbero offerto del latte, e lo avrebbero fatto uscire dalla porta. Nella peggiore delle ipotesi, cioè in cui i gatti non godessero la loro simpatia, lo avrebbero cacciato fuori a colpi di scopa. In tal modo sarebbe stata libera parecchie ore prima per far morire il gatto, tornare nel proprio corpo, e progettare la scelta del nuovo prigioniero.

Doveva essere uno schiavo in grado di trasportarla dalla fattoria dei Gross a quella di Staunton e nasconderla nelle vicinanze della camera da letto, in modo da avere Staunton addormentato nel raggio del suo senso percettivo.

Ecco, così avrebbe dovuto fare.

Invece si era nascosta. Era stato uno sbaglio. Aveva pensato di poter fuggire dalla prima porta o finestra lasciata aperta. Ma Staunton, maledetto lui, le aveva preclusa ogni possibile via di fuga. E ora, per colpa di quelle impronte lasciate sulla farina, Staunton sapeva con certezza che il gatto era ancora in casa.

Che altro sapeva Staunton? Per aver cosparso il pavimento di farina doveva sospettare qualcosa fin da prima di uscire di casa. Quando si era accorta che il gatto stava camminando su uno strato di farina, aveva pensato di stenderne un altro strato su quello calpestato. Ma era una cosa che il gatto non poteva assolutamente fare.

Il maggior terrore l’aveva provato al momento del ritorno di Staunton, quando lui si era rivolto al gatto come a un essere intelligente. La logica e la intuizione di quell’uomo l’avevano portato a scoprire che il gatto chiuso in casa era in effetti qualcos’altro? Le sembrava impossibile.

Ma poteva anche essere. Staunton, non doveva mai dimenticarlo, era uno scienziato. Gli unici veri contatti che la mente aveva avuti con cervelli umani erano stati quelli con Tommy e Gross. Con tutta probabilità nessuno di quei due conosceva cose che per Staunton erano invece elementari. Forse sulla Terra esistevano specie che potevano impadronirsi della mente di altri esseri. Proprio come faceva la sua razza. Forse alcuni esseri umani potevano dominare le creature meno intelligenti. Be’, avrebbe trovato la risposta nel cervello di Staunton. Se, e quando fosse riuscita a impadronirsi di lui.

Il problema immediato era quello di fuggire dalla casa. Il suicidio, anche se fosse riuscita a trovare un modo di compierlo, era assolutamente da escludere. L’inspiegabile serie di suicidii di uomini e animali aveva già destato la curiosità della mente scientifica di Staunton. Trovando il cadavere del gatto in casa sua, avrebbe avuto la conferma di ciò che per il momento forse non era, almeno la mente lo sperava, che un semplice sospetto.

C’era una sola cosa da fare. Aspettare il mattino seguente, comparire davanti a Staunton, e cominciare a comportarsi come un qualsiasi gatto normale. Avrebbe potuto essere pericoloso, ma non vedeva altra alternativa. Il pericolo non consisteva nel fatto che Staunton potesse uccidere il gatto, ciò l’avrebbe liberata immediatamente. Ma se Staunton aveva dei sospetti, non l’avrebbe certo fatto. Il pericolo era che Staunton mettesse il gatto in una gabbia per poterlo studiare. Sarebbe stata una enorme perdita di tempo, per la mente. Forse non sarebbe riuscita a uscire dalla gabbia fino al momento della morte naturale del gatto, e i gatti potevano vivere parecchi anni. Il pericolo poi sarebbe stato ancor più grande se Staunton, con i suoi esperimenti, fosse riuscito ad avere la conferma che si trattava di una creatura controllata.

E se Staunton fosse riuscito a scoprirlo… Dalla mente di Tommy aveva saputo dell’esistenza di un siero chiamato della verità. Iniettandolo al gatto avrebbe potuto costringere la mente a portarli dove era nascosto il suo corpo. E sarebbe stata davvero la fine.

Improvvisamente si rese conto che con il gatto in gabbia la sua fine sarebbe avvenuta comunque. Durante la vita naturale del gatto lei non avrebbe potuto nutrirsi. La soluzione in cui Gross l’aveva immersa sarebbe stata sufficiente per alcuni mesi, non mai per anni!

Passò la notte a vagliare tutte le varie possibilità. Pensò di saltare contro un vetro della finestra e di romperlo… ma avrebbe dato l’impressione di volersi uccidere, confermando i sospetti dell’uomo che la teneva prigioniera nella casa.

Poteva solo sperare che si trattasse di soli sospetti e che Staunton lasciasse andare il gatto. Sperare, e fare in modo che la bestia agisse nella maniera più naturale.

Il dottor Staunton era andato a letto molto tardi e il mattino si svegliò dopo le dieci. Aveva sognato continuamente, nel sonno, e rimase coricato cercando di rievocare i suoi sogni. Poi si ricordò del gatto.

Alla luce del giorno la situazione non gli sembrava sinistra come la sera prima. Forse aveva esagerato nel voler stabilire un legame tra il gatto che era entrato in casa e gli strani suicidii avvenuti nei giorni precedenti.

Cominciò a vestirsi, deciso a trovare il gatto.

Per precauzione mise in tasca un paio di guanti. Gli avrebbe evitato i graffi nel caso in cui avesse dovuto afferrare il gatto con la forza. A giudicare dalle impronte che aveva lasciato non doveva però trattarsi di una bestia molto grossa.